“Promising young woman” (it. “Una donna promettente”) è un esordio cinematografico girato dalla brillante Emerald Fennell, che si configura come una scomoda presa di posizione rispetto ad alcuni temi caldi dei nostri giorni e, in particolare, al difficile rapporto tra la generazione dei millennials e le derive del patriarcato – L’approfondimento

Promising young woman (it. Una donna promettente, regia di Emerald Fennell) non è solo una dark comedy su una giovane americana che ha abbandonato gli studi di Medicina per lavorare in una caffetteria di giorno e fingersi ubriaca in discoteca di notte, salvo poi terrorizzare il molestatore di turno che la adesca, la porta a casa e la forza ad avere un rapporto non consensuale.

È specialmente la storia di una persona sagace e piena di risorse, Cassie (Carey Mulligan), che vede intorno a sé solo uomini irrispettosi e violenti perché non ha ancora superato il trauma di un lutto subìto e quello di uno stupro con gravi conseguenze perpetrato ai danni della sua più cara amica, Nina.

E così Cassandra, che con il suo nomen rivela già molto di sé, dei suoi ruoli nella storia e del suo omen, non può che reagire alla forza con la forza, alle approssimazioni con l’approssimazione, alla spersonalizzazione con la spersonalizzazione: tutte le donne sono oggetti stuprabili, così come tutti gli uomini sono abusatori senza scrupoli, ecco l’unica tesi possibile per chi si ritrova nelle sue condizioni senza avere mai ricevuto l’aiuto concreto di familiari, amici, colleghi, istituzioni.

Nel suo mondo pastello, in cui l’aggressività e la supremazia sono letteralmente giochi di potere da portare alle estreme conseguenze, è dunque difficile osservare la complessità dei rapporti di genere e sanarne le contraddizioni, perché l’esposizione di Cassie a una perenne mascolinità tossica ha offuscato in lei ogni desiderio di lucidità, trasformando una giovane donna promettente nella cinica nemica di chiunque – dal fischiatore seriale a ogni apparente “bravo ragazzo”, passando per donne in carriera colluse fino al collo.

Locandina del film Una donna promettente

Il film avrebbe dei meriti già così, dal momento che denuncia due dei paradigmi più comuni fino agli ultimi anni per le donne: o soccombere ai soprusi del patriarcato, da vive o da morte, oppure diventare una mina vagante, sacrificando tutto pur di inseguire un sogno morboso e distruttivo, se non si è in una posizione di privilegio, di consapevolezza o di supporto tale da riaffermare il proprio empowerement.

E per di più non è tutto qui, perché Una donna promettente è anche un esordio (con il coraggio che ciò comporta per qualunque regista), è girato da una donna e si configura non solo come un disturbante dialogo con alcuni temi caldi dei nostri giorni, ma anche come una presa di posizione scomoda, pronta a diventare una provocazione.

La protagonista, infatti, è capace di conquistare l’empatia di chi segue la sua storia, man mano che proseguono le sequenze quasi teatrali (o seriali) della pellicola. Dopodiché, la sua delusione, le rivelazioni sul passato di Nina (e non solo) e le sue scelte conclusive ci risultano eccessive e grottesche, portandoci in una dimensione musicale e scenica che ha quasi del surreale, per quanto è cartoonizzata e macabra al tempo stesso.

Angelo vendicatore, crocerossina ambigua, giustiziera, vittima, carnefice: Cassie risulterebbe eccessiva per chiunque. Con i suoi calcoli freddi e manipolatori, si rifiuta di incarnare gli stereotipi di genere che vorrebbero cucirle addosso, e perfino quando si innamora e sceglie di lasciarsi andare resta fin troppo guardinga e consapevole per non sembrarci pericolosa (sfortunata e brillante, sì, ma pericolosa).

Non è, insomma, né una donna promettente né un’eroina da esaltare: è l’opposto di ogni ideale stilnovistico e contemporaneamente una Wonder Woman ancora acerba, con le manette al posto del lazo.

Finché era “solo” cruda e rabbiosa riusciva perfino a piacerci, mentre non la tolleriamo quando scambia certe rivendicazioni femministe per coercizioni misandriche, per poi ritrovarci costretti a ricrederci per l’ennesima volta appena capiamo come gira il mondo intorno a lei e come lei, fino alla fine, sia capace di prevederlo e di combatterlo – per quanto parzialmente e sommariamente.

Cosa può esserci di più complicato da digerire dell’abnegazione di una donna per un’altra, di una giovane per la sua stessa vita, di un talento per un pareggiamento di conti, e cosa può esserci di più vero e di più terribile del modo in cui la società l’ha sfigurata senza pietà, prima (e pure dopo) che lei arrivasse a sfigurare sé stessa?

I riferimenti a opere letterarie e cinematografiche preesistenti sarebbero di conseguenza innumerevoli da menzionare – due su tutte possono forse dirsi L’uomo che ride di Victor Hugo e il più recente Joker di Joaquin Phoenix, entrambe tuttavia con dei protagonisti maschili. Cassie e Nina, dal canto loro, rappresentano invece il rovescio della medaglia sessista, tanto negli atti più aperti e abominevoli quanto nell‘omertà più sommessa.

E ciò che a conti fatti sceglie di ottenere la protagonista, nonostante tutto, è uno spazio per sé, in un percorso di autoaffermazione sgangherato ma comunque combattuto, nel quale credere e per il quale impegnarsi, correndo qualunque rischio in nome della sua vendetta detonativa.

D’altronde, in un contesto in cui una donna promettente non ha che l’arma del ribaltamento a sua disposizione, negare e snaturare lo status altrui (al di là del proprio) è la sua sola possibilità di rivalsa. La stessa che porta Cassie a diventare, da modello esemplare quale poteva essere, l’emblema di una minaccia impossibile da neutralizzare, con tanto di ghignante e inaspettato occhiolino finale.

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