A 10 anni dalla morte di Gabriel García Márquez, autore (premio Nobel) di “Cent’anni di solitudine” e “L’amore ai tempi del colera”, è stato pubblicato per volere dei figli dello scrittore, che aveva chiesto di non farlo, “Ci vediamo in agosto”: un omaggio alla femminilità, una storia di libertà e di desiderio che non si sopisce con l’età e nemmeno con l’amore coniugale…

“Il mare era un ristagno d’oro sotto il sole del pomeriggio”.

Le spiagge di un’isola caraibica, vive del frullare d’ali e del baccano di uccelli, i colori delle vesti, il volo degli aironi sulla laguna: è stato un regalo inatteso ritornare nei luoghi e nei colori di Gabriel García Márquez. Ci vediamo in agosto (Mondadori, a cura di Cristóbal Pera, traduzione di Bruno Arpaia) è un breve romanzo, poco più di un racconto, che si apre con timidezza, con il rispetto per qualcosa che non dovevamo nemmeno avere per le mani.

Si inizia leggendo pianissimo, centellinando ogni parola, con la tentazione di ricercarlo subito lì dentro, il Gabo, di scovare connessioni, memorie, una chiave: poi inizia la musica, un passo di danza di bolero nella penombra di una notte d’estate, e Ana Magdalena Bach, la protagonista, prende tutta la scena di prepotenza, e ci spinge a non analizzare, ma solo a sentire.

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“La pelle senza traccia di cosmetici aveva il colore e la grana della melassa, e gli occhi di topazio erano stupendi con le loro scure palpebre portoghesi. Si triturò a fondo, si giudicò senza pietà, e si trovò quasi bella come si sentiva”.

Ana Magdalena è una donna vicino ai cinquant’anni, con una vita quadrata, un unico amore che è diventato suo marito, in un matrimonio affiatato. Ogni anno, il 16 di agosto, il mese del caldo e degli acquazzoni, il suo è un rituale consolidato: un traghetto, un taxi malridotto, un alberghetto, il solito mazzo di gladioli; la visita sulla tomba della madre, che ha scelto di essere seppellita proprio lì, è una consuetudine che Ana Magdalena ha scelto di vivere da sola.

Dalla cima del camposanto la vista del mondo è uno splendore da ammirare, in un silenzio che per Ana Magdalena ha il senso di una vicinanza complice con la madre, “in quell’unico luogo solitario dove non poteva sentirsi sola”. Il suo annuale pellegrinaggio le svelerà tanto sulla loro affinità.

Nel bar dell’albergo, la sera, Lui ha un abito di lino bianco, i capelli metallici, un’aria signorile e sembra solo al mondo. Ana Magdalena beve gin con ghiaccio, incrocia il suo sguardo e si scopre audace.

Quella notte segna una svolta, di indipendenza, di trasgressione, ma anche di frustrazione verso chi ha voluto svilire il ricordo di un’avventura fugace e felice con una banconota.

La mattina dopo Ana Magdalena riprende il traghetto per tornare a casa, ma ormai è cambiata per sempre.

Inizia così un’attesa, inquieta, proiettata verso l’estate successiva, un uomo nuovo, una nuova sé, capace di un desiderio che la riempie nell’incognita, in un’ansia trattenuta a stento, un misto di speranza e di timore: il ricordo di quella prima avventura le ha aperto gli occhi sulla realtà del suo matrimonio, sulla sua felicità convenzionale, sul suo bisogno di una zona dove essere vulnerabile.

Per Ana Magdalena diventa una nuova consuetudine avere ogni agosto una notte con un uomo sconosciuto, da conquistare e abbandonare all’alba: è il suo modo di vedere se stessa e la sua realtà con occhi nuovi, e di far emergere quella parte di lei repressa che non sapeva di avere.

L’isola diventa la sua area di libertà, di musica, e di emancipazione, ma anche il marchio di una solitudine che l’intensità del mare addormentato, dei gabbiani, dei colori degli splendidi huipil non possono placare.

“Con le prime canicole di luglio le cominciò in petto un fremito di farfalle che non le avrebbe dato tregua finché non fosse tornata sull’isola. Fu un mese lungo, allungato ancor di più dall’incertezza.”

Gli amori fugaci di una notte scatenano in Ana Magdalena un cambiamento reale, profondo, una riflessione intima, e un’esplorazione di sé, dei suoi sogni e dei suoi rimpianti. È sempre lei a dettare le regole della seduzione, ma sarà l’unico uomo ad averla umiliata a diventare la sua ossessione, e a condurla allo strappo.

Ci vediamo in agosto è un omaggio alla femminilità, alla sensualità matura, è una storia di libertà, di desiderio che non si sopisce con l’età e nemmeno con l’amore coniugale, ma che fa scoprire bisogni nuovi, resi reali nella sincerità della notte, che spezza le consuetudini, e fa vivere l’erotismo e anche la paura: fa della ciclicità la sua forza, dell’irrequietezza il suo centro e della musica il suo registro.

A celebrare i dieci anni della morte di Gabriel García Márquez, con un’uscita in contemporanea mondiale, queste pagine musicalissime ci regalano immagini appassionanti, sole di fuoco, ragazzine mulatte che cantano con sentimento, notti che ululano di vento, uomini in mocassini bianchi. Ma soprattutto ci restituiscono la poesia della narrazione, la delicatezza nel racconto dell’animo umano, la comprensione profonda dell’amore e delle sue complessità.

Ci vediamo in agosto non è stato amato da Gabriel García Márquez, che ne vedeva solo le imperfezioni e avrebbe voluto distruggerlo: non è Macondo, non ha la pretesa di esserlo e non merita di essere fatto oggetto di confronti. Per noi che lo leggiamo, resta un privilegio, e un bagliore dal passato: è un frullare di ali nella penombra verde di una laguna, improvviso e già finito.

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