Quanto amore può esserci nel dolore? E quanta bellezza regala il destino, anche quando si accanisce? Sono alcune delle domande che trovano risposta in “Come d’aria”, il toccante libro (nella dozzina del premio Strega 2023) di Ada D’Adamo, autrice venuta a mancare lo scorso 31 marzo, a soli 55 anni, dopo una malattia. Racconta una storia d’amore, di unione e di verità, ed entra nel vivo del rapporto tra la scrittrice e la figlia Daria, nata con una grave patologia…

Quanto amore può esserci nel dolore? E quanta bellezza regala il destino, anche quando si accanisce?

La vita non è stata clemente con Ada D’Adamo: una mancata diagnosi prenatale la consacra a un personale cataclisma, un’esistenza dedicata alla cura, alla fatica.

La figlia Daria nasce con una grave patologia, la oloprosencefalia: invalida al 100%, pluridisabile, per una malformazione cerebrale che le rende impossibile parlare, muoversi, stare dritta.

Non c’è coraggio o eroismo per una madre che si trova ad affrontare un eterno presente di difficoltà e strazio: si è naufraghi, condannati a sopravvivere, a tenere in piedi un equilibrio quotidiano che vacilla per un niente.

Consapevole delle famiglie sbriciolate, delle barriere della burocrazia, dell’indifferenza insensibile dei medici, dell’impotenza miope del sistema scolastico, Ada guarda se stessa, e tante donne come lei, e non teme le accuse dei benpensanti, quando firma parole dignitose e forti in una lettera pubblicata su La Repubblica. La sua è un’affermazione di diritto, che rivendica la possibilità di una scelta che a lei è stata negata: Ada a questa rotta della sua vita avrebbe rinunciato.

Come d'aria di Ada D'Adamo

L’aborto è una scelta dolorosa per chi la compie, ma è una scelta e va garantita. Anche se mi ha stravolto la vita, io adoro la mia meravigliosa figlia imperfetta. Ma se avessi potuto scegliere, quel giorno, avrei scelto l’aborto terapeutico.”

Avere un figlio disabile vuol dire trovarsi a lottare contro ogni cosa, in un susseguirsi di giorni che hanno senso solo per la cura che si riesce a donare, da soli. Perché di fronte a una sofferenza così grande, la Grande Fuga è immediata, la malattia spaventa tutti, e la solitudine amplifica ogni cosa, il senso di impotenza, lo stato di sospensione e di incertezza, l’insensatezza della parola “futuro”. Amplifica anche l’amore.

Come d’aria di Ada D’Adamo (Elliot) è una storia d’amore, di unione e di verità.

“Sei Daria. Sei D’aria. L’apostrofo ti trasforma in sostanza lieve e impalpabile. Nel tuo nome un destino che non ti fa creatura terrena, perché mai hai conosciuto la forza di gravità che ti chiama alla terra. Gravità, che ogni nato conosce non appena viene al mondo.”

Accanto a tutte le parole di sufficienza, agli sguardi di accusa o di compassione, alle ipocrisie e alle mediocrità, accanto alle proprie grida di accusa e di rabbia, di frustrazione e di rassegnazione, di odio per la vita degli altri coi figli sani, c’è il silenzio.

E il silenzio è la dimensione del dialogo di Ada con Daria, l’unico possibile, senza parole. Sono i corpi a esprimersi, in un’osmosi che incorpora la fragilità, la disabilità, le lacrime, il sudore, il moccio, i sorrisi: Ada e Daria parlano così, pancia contro pancia, testa contro spalla, respirando all’unisono in un’unica vibrazione. Diventano una cosa sola, un incastro di corpi e respiri, abbracciate, con un contatto continuo, a passeggiare in corridoio, o immerse nell’acqua, dove tutto diventa più sferico, leggero, senza peso. È un’adesione così totale, che non conosce la comunicazione verbale ma invade tutti i sensi, ed è naturale come aria: leggerla, con l’onestà e la sincerità delle pagine di Ada D’Adamo, lascia smarriti, come di fronte a qualcosa di sacro.

C’è il bellissimo sorriso di Daria e sono i bambini a riconoscerne la magia, quel soprannaturale che fa parte dell’amore, e che non si deve capire, ma solo accettare. I messaggi degli amici e dei compagni di scuola per Daria sono la dichiarazione più intensa.

“Per me sei luce nei momenti di buio,
sei la luna nella notte, sei la mia stella polare.
Al di là di tutto e di tutti ci siamo io e te.”

Ci vuole il fisico, per portare avanti un’esistenza di accudimento. E quando, a cinquant’anni, le viene diagnosticato un tumore, Ada deve affrontare una rottura di equilibrio. Spostare il suo centro, pensando a curarsi, è uno sbandamento, uno smarrimento. Il corpo che tradisce aumenta le distanze, impedisce quel contatto così importante, traccia la necessità di nuove strategie di dialogo tra madre e figlia.

Per Ada, che ha passato la vita a danzare e poi a guardare gli altri danzare, è ammettere una mancanza di controllo e di armonia: una figlia disabile e una madre con un corpo che ha bisogno di continua manutenzione. È un’imperfezione a cui lei non era abituata, e che pelle contro pelle, riesce a dare vita a un’unione nuova, armoniosa.

Parla al suo corpo malato e traditore, Ada, gli chiede di volerle bene: è un processo di identità che parte dalle ferite, dalle cicatrici, e diventa un canto d’amore incondizionato, la scoperta di una bellezza inaspettata in una nuova grammatica, nell’abbandono in un abbraccio, nella memoria dei legami e nella famiglia.

“L’urgenza della malattia toglie le forze, mette temporaneamente al riparo dall’agire, dal vivere. Poi c’è il tempo dilatato delle cure, durante il quale l’obiettivo è uno solo: combattere per sconfiggere il male. Ma poi, dopo un po’, se resti vivo, cominci a interrogarti sulla vita che ti è rimasta.”

Pancia contro pancia, ognuna con i propri limiti, Ada e Daria, compenetrate anche nei nomi, sono un mondo a parte, un passo a due d’amore, un amore d’aria: il loro è un linguaggio di corpi, concreto, caldo, vivo. Si chiama incorporazione, è un concetto che fa parte del mondo della danza, e Ada D’Adamo lo richiama per il suo inno al corpo come luogo di memoria, per creare e trasmettere conoscenza, visiva e emotiva, per sentire insieme, in un corpo-archivio che conserva una propria narrazione. La sua scrittura è poesia, chiara e limpida come la luce, arriva proprio dove vuole, a fare male e a carezzare, e al tempo stesso a raccontare che si può danzare, e continuare a farlo anche quando i passi non sono quelli che speravamo.

C’è tanta grazia nelle pagine di Come d’aria, c’è un’umanità che risplende di luce e di bruciante tenerezza, ci spoglia delle nostre certezze e ci lascia indifesi davanti a tanto dolore, e a tanta vita.

“Desideravo la bellezza e l’ho avuta: ho avuto te”.

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