“da Wenling” di Gemma Ruiz Palà ci porta in un campo per rifugiati vietnamiti, ma non è soltanto la storia della nascita dei primi nail salon, dell’arte della manicure. È anche e soprattutto il racconto di come quei luoghi fossero ritrovo e luogo di conforto per molte donne del quartiere: donne di diversa provenienza geografica ed estrazione sociale. Un romanzo che porta in scena il ruolo della parola scritta nell’uso brutale dei rapporti di forza. Una lingua forzatamente incomprensibile, razzista, escludente nel suo uso altisonante e burocratico, una lingua che per essere sciolta ha bisogno dell’intervento di chi ne conosce usi e costumi e sia intenzionato a mostrare un po’ di solidarietà…

Per parlare di questo libro, ci dice la sua autrice, bisogna per forza partire da Tippi Hedren. Per aiutare la memoria di chi non riesce a darle un volto, vi basterà sapere che Tippi Hedren interpretò Melanie Daniels nel film Gli Uccelli di Hitchcock e poi fu scritturata per Marnie.

Poi cadde quasi nell’oblio. Ruoli minori, secondari, fino a scomparire del tutto, fino all’intervista rilasciata da sua nipote, Dakota Johnson, che racconta il suo punto di vista sul caso della sua “damnatio memoriae”: l’attrice avrebbe tentato di resistere alle avance non richieste di Hitchcock che, dopo il gran rifiuto, avrebbe cercato di vendicarsi, facendole persino rischiare un occhio sul set degli Uccelli, dove sarebbe stata costretta a girare ripetutamente la famosa scena dell’attacco dei volatili nella camera da letto di casa Brenner per quasi una settimana consecutiva. Non esisteva la computer grafica. Gli uccelli erano veri. Le ferite riportate l’avrebbero costrinsero a una pausa di dieci giorni. Poi, Hitchcock si sarebbe vendidato nel più classico dei modi: ostacolando la sua carriera.

Ma non è questa la storia che vuole raccontare Gemma Ruiz Palà, autrice di da Wenling (edito da Voland, con la traduzione di Tiziana Camerani).

Da Wenling di Gemma Ruiz Pala

Ma non è questa la storia che vuole raccontare Gemma Ruiz Palà.

Tippi Hedren fu la mente dietro la nascita dei nail salon negli Stati Uniti.

In visita a un campo rifugiati vietnamiti in California il cui nome era tutto un programma, “Hope Village – Operation V.I.P., Vietnamese Integration Program”, Tippi Hedren gesticola parlando. E quel gesticolare produce la magia di incantare una platea di venti donne vietnamite, rapite dalla perfezione della sua manicure.

Così Tippi capisce, e chiama Dusty Coots. Manicurista di Hollywood e scultrice delle unghie della Hedren, Dusty accetta di insegnare alle venti prescelte l’arte dell’acconciare le unghie.

La storia ci dice che da quelle venti donne vietnamite nacque l’idea dei nail salon che si diffuse in tutto il mondo.

Ma cosa ci racconta, davvero, il romanzo di Gemma Ruiz Palà, e chi è la Wenling del titolo del romanzo?

Dopo essere emigrata dalla remota provincia rurale dello Qingtian fino al quartiere che lambisce il centro di Barcellona, Gràcia, Wenling apre un nail salon che presto diventa ritrovo e luogo di conforto per molte donne del quartiere, donne di diversa provenienza geografica ed estrazione sociale.

Donne con storie e vite radicalmente diverse, ma accomunate spesso da un’esigenza comune, quella di essere viste. Questo miracolo avviene nel salone di Wenling perché è un luogo protetto, perché lì dentro ci si può raccontare di esperienze terribili che diventano condivise ed essere capite.

Raccontata in brevi capitoli sotto forma di dialogo corale, la trama è incentrata sulle annotazioni e riflessioni di una regista di documentari televisivi a cui l’autrice opportunamente sceglie di non assegnare un nome.

Non perché non conti, ma perché il punto di vista del narratore costituisce non solo un osservatorio privilegiato, ma anche una voce universale che riassume la condizione di tutte.

Ed è così che scopriamo le difficoltà attraverso cui una donna migrante deve destreggiarsi per poter costruire una vita dignitosa, in un luogo in cui non c’è nulla di familiare, non i volti, non la lingua, non le leggi, non la burocrazia. Ma scopriamo anche Mireia e Kristin, sopravvissute a uno stupro e a un marito violento, entrambe con figli da crescere che per loro rappresentano la speranza del mondo.

E Hajun, figlia di Wenling, che deve fronteggiare il suo difficoltoso inserimento scolastico e contemporaneamente farsi donna.

E le signore Gripi, Mundeta, Eulàlia e Catalina, per età e consuetudine astenute tutte forzosamente dal piacere sessuale, avendo avuto matrimoni contratti al solo scopo procreativo e divenute oggetti di transazioni in cui non hanno mai trovato un briciolo di convenienza.

Un racconto senza sconti e senza giri di parole, che ricorda molto per stile e precisione chirurgica i libri di Lucia Berlin.

Sulle sfide di traduzione che pone questo testo rimando alla bellissima postfazione di Tiziana Camerani, che ha oggettivamente raggiunto vette di bravura considerevoli, affrontando il problema mimetico della resa in italiano di una lingua, il catalano, nella parlata di cittadini migranti, ma contemporaneamente si è occupata anche di un problema sociolinguistico, ovvero la resa del fenomeno del talking down.

E però bisogna evidenziare una consonanza di cui non so se l’autrice sia del tutto consapevole.

Questo romanzo infatti porta anche in scena il ruolo della parola scritta nell’uso brutale dei rapporti di forza. Una lingua forzatamente incomprensibile, razzista, escludente nel suo uso altisonante e burocratico, una lingua che per essere sciolta ha bisogno dell’intervento di chi ne conosce usi e costumi e sia intenzionato a mostrare un po’ di solidarietà. Esattamente come fu per Manzoni nei Promessi sposi e per la sua coraggiosa denuncia sociale così ben analizzata da Calvino nel saggio Il romanzo dei rapporti di forza

Un libro-mondo che lascia un’amara consapevolezza.

“Che si chiami provincia dello Zhejiang o Moianès, di esempi e varianti di morte in vita delle donne ce n’è in abbondanza e coprono ogni spanna di quella che abbiamo il fegato di chiamare umanità“.

La memoria delle donne è come quella degli elefanti. C’è una matriarca, per esperienza traccia la strada, lei sa dove stai andando perché ci è già stata, lei conosce la tua sofferenza e la prevede, a volte tenta di prevenirla. Non sempre le riesce. Ma il clan ha la forza del gruppo, e questa forza si chiama solidarietà.

La vera festa, da Wenling, inizierà quando la traiettoria delle nostre vite di donne potrà prendere finalmente e senza timori una piega imprevedibile e spensierata.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Fotografia header: Gemma Ruiz Palà, copy di Gemma Ruiz Palà

Libri consigliati