Da Cenerentola a Buffy, da Mulan a Xena, “Principesse – Eroine del passato, femministe di oggi” – l’ultimo libro di Giusi Marchetta – ci accompagna nella rilettura delle fiabe tradizionali, quelle che hanno cresciuto noi figlie degli anni Novanta, aiutandoci a intercettarne gabbie e storture, figlie di patriarcato, sessismo e razzismo…

Nel 1992 io nascevo in un paesino di mille abitanti nella provincia più dimenticata di Cuneo. Nello stesso anno usciva al cinema Aladdin, grande classico Disney che aggiungeva una nuova principessa al “brand ufficiale delle principesse Disney”. Jasmine avrebbe affiancato Biancaneve, Cenerentola, Aurora, Ariel, Belle, Pocahontas, Mulan e poi Tiana, Rapunzel, Merida e Vaiana. 

Stacco. Trent’anni dopo e oltre. Da pochi giorni è arrivato in libreria Principesse – Eroine del passato, femministe di oggi, il nuovo libro di Giusi Marchetta, edito da Add.

In questo saggio con confessioni autobiografiche, l’autrice – scrittrice e insegnante di scuola secondaria a Torino (e collaboratrice de ilLibraio.it, ndr) – ci accompagna nella rilettura delle fiabe tradizionali e delle grandi narrazioni femminili con le quali, noi figlie degli Anni Novanta, siamo diventate grandi.

Da Cenerentola a Buffy, da Mulan a Xena, da Elsa a Scully di X-Files, Giusi Marchetta ci aiuta a rintracciare le trappole di queste narrazioni che, senza grandi novità, hanno spesso a che fare con il patriarcato, il sessismo e il razzismo

principesse

Basta partire dalle basi per capirlo. Chi sono le Principesse, quelle con la “P” maiuscola?

Intanto, sono esseri passivi e vuoti. Funzioni più che protagoniste, che quasi mai agiscono, ma quasi sempre subiscono. Principesse salvate, baciate senza consenso, desiderate e violentate. Nessun viaggio dell’eroe per loro.

Poi sono belle, ovviamente. Belle e meglio se bianche, pure e candide. E la loro bellezza non è soltanto un simpatico attributo, ma una caratteristica necessaria alla storia. Biancaneve è “la più bella del reame”, Cenerentola tanto bella e delicata da essere bersaglio di matrigna e sorelle.

Infine, sono da sposare: non a caso il “vissero per sempre felici e contenti” è IL finale. Non serve aggiungere altro.

Ecco. È con questi modelli che siamo cresciute noi, giovani donne di oggi. E questi modelli, più o meno inconsciamente, ci hanno circondate di archetipi, aspettative, tensioni, obiettivi e paradigmi. 

“«La Sirenetta era la mia preferita» confesso. […] Ora so che l’amavo perché era l’unica a essere strana: bella come le altre, ma non del tutto umana, e quindi diversa, speciale. Non mi sarei mai stancata di vederla provare a essere felice anche se intuivo che non c’era possibilità di un finale alternativo: un’altra principessa aleggiava nella fiaba, già pronta a svolgere la funzione di sposa. Non era previsto quindi un altro posto nel mondo per la Sirenetta, un modo diverso di essere principessa senza sposarsi. Doveva morire”. Questa è Giusi Marchetta, con la sua principessa preferita.  

Leggendo il suo libro, mi sono domandata anche io quale fosse la mia di principessa preferita, il modello di donna di quella bambina nata nel ’92 in provincia di Cuneo. Per trovare risposta sono tornata ai miei travestimenti di carnevale. 1998: Flora, la fata de La bella addormentata nel bosco, quella vestita di arancione. 1999: Pocahontas. 2000: Esmeralda

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Ora, Flora – ne La bella addormentata nel bosco – aveva il ruolo di aiutante. Non era la protagonista, non era una principessa, ma piuttosto contribuiva alla salvezza di Aurora, salvezza che – ormai l’abbiamo imparato – aveva a che fare con un principe, un matrimonio e parecchia passività. Un punto outsider per me

Pocahontas, invece, ero io. Il mio era un paesino di campagna la cui principale fonte di reddito era, ed è, l’agricoltura. Niente cinema, niente mezzi di trasporto pubblici (esclusa un’unica linea di bus che lo collega con le scuole dei più grandi centri abitati vicini. Una corsa all’andata e una al ritorno. Stop.), niente teatri o luoghi di aggregazione. Però natura a non finire: frutteti, campi coltivati e da coltivare, fiumi, Monviso sullo sfondo e colline poco lontane. Pocahontas ero io, in dialogo con vento e alberi. E, soprattutto, Pocahontas ero io perché figlia di una comunità diffidente nei confronti dello straniero (dove lo straniero non era il bianco colonizzatore, nel mio caso, ma chiunque non fosse del paese per nascita o discendenza). Secondo punto outsider per me.   

E poi Esmeralda, che nella classifica delle outsider è la prima. “No, il mondo delle principesse brandizzate non contempla l’originalità o un’eccessiva diversità rispetto al modello tradizionale. Non è un caso che la prima a essere esclusa dal marchio ufficiale sia stata Esmeralda (dopo un primo momento in cui vi era stata inserita probabilmente a causa del successo de Il gobbo di Notre Dame uscito nel 1996). La giovane e sensuale donna rom al centro delle fantasie del comandante delle guardie Febo, del malvagio giudice Frollo e del protagonista, il gobbo Quasimodo, non può contare su nessuna nobiltà di lignaggio, né sulla bianchezza della pelle, né su un portamento da principessa tradizionale, quindi, nonostante il suo ruolo nel film sia molto attivo ed emancipato, o forse proprio per questo, rimane fuori dal canone delle principesse”. 

Dunque, Principesse a me ha insegnato che quel modello di donna lì era così lontano da ciò che ritenevo raggiungibile per me, che neanche riuscivo a prenderlo in considerazione. Non ero bella di quella bellezza, non ero il centro di nessun mondo, non vedevo principi all’orizzonte. Non ero una principessa e difficilmente lo sarei stata, e dunque tanto valeva muovermi lungo i bordi della storia.

Eppure per anni – fino all’inizio del mio percorso di psicanalisi, mettiamola così – quelle principesse che tanto mi sembravano lontane mi hanno lasciato l’idea di un amore senza sbavature – capace di funzionare senza bisogno di agire, “eterno finché dura”, si sarebbe detto. E per le vere principesse, l’amore dura per sempre. Mi hanno lasciato strutture patriarcali che avrebbero richiesto sforzi, tempo, sofferenze, lotte e un sacco di domande senza risposta per essere decostruite o, almeno, per provarci. Mi hanno lasciato un’idea di bellezza irraggiungibile, disumana, ingiusta. Mi hanno lasciata colpevole davanti alle violenze subite e impotente davanti ai torti.

Le principesse, anche alle outsider, hanno lasciato un’eredità che resiste, che è con tutte le trentenni e quarantenni d’oggi, almeno. E anche se, più tardi, sono arrivate Buffy, Xena, Sully ed Elsa – principesse guerriere e donne indipendenti, evviva! – la loro tenacia non è bastata a sovrastare del tutto gli esempi delle loro antenate. 

Leggere Principesse è un viaggio nell’infanzia – nella nostra e in quella delle bambine di oggi, che l’autrice ha intervistato nelle sue pagine – ma è anche un movimento verso il futuro, un futuro più consapevole e – sperando e agendo – più inclusivo. 

Per Giusi Marchetta questo libro non è certo il primo passo in questa direzione. Nel novembre 2022, sotto la sua cura, è nato Tutte le ragazze avanti (sempre Add editore), una raccolta di voci di dieci donne che “attraverso la scrittura, la ricerca, l’arte, il cinema, la musica, la danza, l’attivismo, mi hanno insegnato qualcosa sul mio essere al mondo”. Quel libro ha portato, tra l’altro, a momenti di dialogo e incontro intitolati Tavolo delle ragazze, a un Manifesto e a un podcast.

Insomma, quello che parte dalle principesse, arriva a noi e schizza verso il futuro è un percorso complesso e necessariamente condiviso e che, come tutti i percorsi, ha bisogno di consapevolezza e informazione per procedere. E, in questo senso, la lettura dell’ultimo libro di Giusi Marchetta è un’ottima spinta verso l’avanti.

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