Che fine hanno fatto le avanguardie letterarie? E cosa resta dei gruppi, dei movimenti, delle scuole? Oggi, secondo molti, quel tipo di atteggiamento non è più possibile, eppure… – L’approfondimento, a partire dalla “generación Nocilla” e dall’opera del suo esponente di punta, Fernández Mallo

Che fine hanno fatto le avanguardie letterarie?, e i gruppi, i movimenti, le generazioni, gli -ismi, gli epigoni e i capiscuola; i benedetti manifesti.

Per un modo argomentativo tipico delle storie della letteratura, chi si interessa delle cose di libri è abituato a queste categorie: la storia letteraria è una linea verticale di posizioni che si superano per strappi e discontinuità.

Ma quel mondo sembra essersene andato per tutta una serie di motivi sui quali la critica invece continua a discutere (tra i tanti: l’esaurimento dello slancio modernista, l’avanguardia come genere convenzionale e come nicchia di mercato, il cambiamento del contesto mediale, del ruolo dell’istituzione letteraria, del discorso sui libri, delle coordinate del mercato, del canone, dell’uso sociale dei libri e via dicendo).

Qualcosa resta: in modo autocontraddittorio o ironico o di estrema nicchia; in forma residuale o incapace di credersi possibile. È il caso della Generación Nocilla spagnola di cui la Paris Review  è tornata a parlare in un articolo di Thomas Bunstead in occasione della pubblicazione della raccolta Nocilla trilogy di Agustín Fernández Mallo (per Farrar, Giroux & Strout, tradotto da Thomas Bunstead).

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Fernández Mallo ne è caposcuola generazionale involontario. Classe ’67, fisico di professione, poeta (anzi, post-poeta; viene da quest’area di ricerca), scrittore “in guerra contro la realtà”. La Nocilla, invece, è il nome della finta nutella spagnola che negli anni Ottanta aveva una di quelle pubblicità molto anni Ottanta con il jingle “Nocilla ¡Qué merendilla!”, qui ripreso in chiave ironica. Un gesto da ‘etica punk’ di rifiuto del mondo del mercato ma, insieme, di riappropriazione nichilista dei suoi simboli più pop (Mallo dice che “la musa della post-poesia è il mercato”, più in generale è qualcosa di simile a quanto fatto da Ellis, o da noi, da Aldo Nove col bagnoschiuma Vidal, il quid della vaporwave, della musica trap).

Nocilla dream (2006), il primo libro della trilogia composta da Nocilla Experience (2008) e Nocilla lab (2009) in Italia è stato pubblicato da Neri Pozza – nel 2007; ora è introvabile –  fece abbastanza discutere in Spagna (“diventò virale”, “cambiò radicalmente l’idea di cos’era letteratura”), si tennero convegni e si raggruppò una generazione di scrittori (come Vicente Luis Mora, Jorge Carrión, Eloy Fernández Porta, Lolita Bosch, ecc.) d’accordo – come succede sempre – soltanto sull’idea di non essere parte di qualcosa di più grande.

Più che un libro sperimentale, a una lettura superficiale sembra l’idea di un libro sperimentale; ma un’idea volutamente eccessiva, libresca, da postmoderno, da massimalismo, con una quota di iperbole ironica a seminare sfiducia. Detto altrimenti, ci sono così tante suggestioni di aree sperimentali diversi che fa l’impressione di un quadro iperrealistico: sembra così reale, cioè così aderente a un set di aspettative convenzionali, da avere una quota di finzione.

La questione innanzitutto è formale, se è vero, come scrive Julio Ortega nella postfazione al Proyecto Nocilla, che essendo il romanzo un genere senza un canone rigido (“una figura sempre in processo”) qualsiasi rottura forte delle convenzioni del sistema è una critica radicale al modo in cui attraverso la lingua si può rappresentare il mondo.

Sulla forma c’è l’accento di maggior polemica: per Fernández Mallo i modi letterari tradizionali sono reazionari perché falliscono nello stare al passo con tutta la gamma di cambiamenti scientifici, sociali ed epistemologici avvenuti nella società. Nella pratica c’è veramente qualsiasi tipo di suggestione sperimentale, dei modi di scrittura di chi cerca in un libro “nuove possibilità della forma”, “un colpo al cuore della rappresentazione romanzesca”, come si è detto appunto di Nocilla.

La trilogia include inserti in prosa, pezzi di poesie, trascrizioni di materiali di diversa natura (saggi di urbanistica, trattati scientifici, manuali di cinema). Il tutto è scritto in una prosa asettica in modo tale da alludere continuamente a una determinata convenzione narrativa, ma frustrando sempre la possibilità di un suo sviluppo (un po’ post-poesia, un po’ Cortazar di Rayuela).

Non manca l’ironia (che “introduce un errore nel sistema”), i riferimenti alla cultura pop (nei modi dei cannibali, dell’avantpop), una visione frammentata (si parla di zapping) e frattale della realtà (alla Sebald, alla Wallace) e strutture narrative figlie di quella che Fernandèz Mallo chiama la struttura topologica della realtà, articolate con un modello – game, set, match – rizomatico.

Ovviamente, trattandosi di libri in spagnolo, non può mancare una specie di nostalgia esotica verso la possibilità di un progetto di vita in grado di cambiare radicalmente cos’è la vita (“l’heroismo sin alegriadei Detective selvaggi; di coloro che “quando prendevano la penna in mano si rivoltavano e si ribellavano: scrivere era rinunciare, era rinnegare, a volte suicidarsi. Era andare contro la famiglia”).

Le ragioni sono inattaccabili: per Fernández Mallo non si può rappresentare la realtà come si faceva trent’anni fa quando “conoscevamo il mondo in parti, mentre adesso sappiamo che tutte queste parti sono connesse attraverso un sistema di reti con una topologia molto concreta. Queste reti sono in ogni cosa: nel modo in cui una formica si connette a un elefante nella catena dell’essere, o nel modo in cui una persona è connessa al suo amico o alla sua amica, o i neuroni sono connessi nel cervello, o i nodi della rete in Internet; tutti seguono lo stesso modello di rete”.

C’è veramente tutta la gamma di opzioni, tecniche, riflessioni, parole chiave di tutta produzione sperimentale recente: John Trefry su 3:AM, la rivista perfetta, parlava di complex realism, l’etichetta perfetta. Insomma, c’è qualcosa di veramente scintillante, di eccessivo (voluto, di sicuro almeno in parte, se è vero che il punto della Nocilla generation è una sorta di critica o una reazione di fronte all’eccesso simbolico causato dai mezzi di comunicazione di massa).

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Ma quello che fa veramente saltare il tavolo è che anche la vicenda biografica di Fernández Mallo è in tutto e per tutto dentro i canoni della vita dell’artista da avanguardia. Nella Spagna postfranchista faceva il punk con l’eyeliner, vita violenta da Berlino est e scrittura all’alba, “cavalcando la tracotante sensazione di mandare tutto a puttane”. Di mestiere fa tutt’altro e vive e scrive ai margini della scena letteraria finché, dopo un incidente in Thailandia, passa un mese in ospedale e, trascorrendo il tempo a fare zapping sulla tv thailandese senza capirci nulla, si mette a scrivere Nocilla Dream su fogli sparsi, fazzoletti, tovaglioli – “non ho mai pensato che me l’avrebbero pubblicato” – che, per caso, rispetta la famosa struttura topologica della realtà; si prende il centro della scena, ispira una generazione di scrittori. Naturalmente rifiuta il ruolo di guida: non partecipa a un convegno neanche una volta. Certo, è solo un modo di raccontarla, ma è altrettanto vero che qualcosa di così simile a un’immagine già stratificato nel immaginario, finisce per sembrare qualcosa di più di reale, e per quanto quota di verità possieda genera una situazione paradossale.

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Il paradosso è questo: che ogni estetica in cui ci sono degli elementi convenzionali (“i cliché”, “il già visto”) viene percepita come dozzinale, quindi di massa, quindi compromessa con il mercato e quindi scadente: si premia la novità, ma, contemporaneamente, ogni gesto di rottura e di novità, di ribellione alle convenzioni è sia il modo attraverso cui si valida un’estetica, sia, per dirla con Alexander Galloway, la logica principale di accumulazione del mercato. Entrambe le possibilità non esistono mai in un vuoto di marketing e, per usare il solito Mark Fisher, resta la rabbia senza scopo di Kurt Cobain cosciente che “su MTV niente funziona meglio che la protesta contro MTV”.

Ed è vero anche che questo genere di riflessioni sono variazioni su un tema ormai vecchio di almeno cinquant’anni, fatto di discorsi raffinatissimi ma infiniti e apparentemente irrisolvibili. E che ha già prodotto delle opzioni a diverso grado di inventiva o rassegnazione a una data complicità: la più diffusa, onestamente, è lasciar perdere; poi c’è la scelta stoica della marginalità e quella contraria, da rapper, di puntare al massimo entro la logica del sistema.

C’è chi, come Wallace, invocava una generazione di scrittori neo-melodrammatici, chi, come Zadie Smith, sposta la prospettiva alle identità (riformulando la questione politica su altre basi) sostenendo che lo scrittore può inventare uno spazio di libertà per un’identità prima considerata impossibile (cita il Portnoy di Roth) fino a chi, come Ian Svevonious, provocatoriamente propone la censura, subito!, ma per tornare a essere liberi. E poi, certo, c’è Fernández Mallo e la sua Nocilla, avanguardista “riluttante” a cui – come tutti: i social, eccetera – tocca misurare lo spazio cavo che si spalanca tra sé e la sua immagine.

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