“Sono cresciuto a otto chilometri di distanza dal centro… banalmente, ho imparato ad amare la mia città più tardi e non vivendoci, ma leggendola… Sta di fatto che buona parte di Napoli, soprattutto la sua periferia nord, è, e mi auguro sarà per me, un’inesauribile fonte di storie”. In occasione dell’uscita del suo nuovo romanzo, “Polveri sottili”, su ilLibraio.it la riflessione dello scrittore Gianluca Nativo

Quando ho pensato di scrivere un libro che non fosse ambientato esclusivamente a Napoli ho tirato un sospiro di sollievo: ma si può fare? Sul serio me lo posso permettere?

Essere uno scrittore napoletano è una condanna, una categoria impossibile da destrutturare, tuttalpiù declinabile con una limitata serie di aggettivi: nel mio caso, e ancora per poco, giovane. Come se chiunque fosse nato nella mia città contraesse un pesante debito con la sua storia o forse da quella che gli altri si aspettano di sentire.

Sta di fatto che buona parte di Napoli, soprattutto la sua periferia nord, è, e mi auguro sarà per me, un’inesauribile fonte di storie, come credo valga per molti scrittori con i loro luoghi di appartenenza.

Sappiamo tutti dell’esistenza di una geografia letteraria italiana – c’è un abisso tra le atmosfere di Celati e quelle di Ortese – eppure quando sento molti scrittori allacciare parentele con autori del Novecento semisconosciuti ma validi all’occorrenza solo perché loro compaesani mi guardo intorno disorientato: ma perché?

Devo ammettere però che nella mia libreria da studente universitario, prima dei bookshelf tour, avevo dedicato uno scaffale solo agli scrittori napoletani, al quale tutt’oggi mi rivolgo non appena torno nella casa in cui sono cresciuto.

Ne sfoglio qualcuno a caso e sorrido alla devozione dei miei vent’anni. A molti di quei libri, da Domenico Rea a Starnone fino alle diverse antologie di racconti sulla città, devo forse molto di più che a tutti i manuali di filologia e critica letteraria studiati all’università.

Sono cresciuto a otto chilometri di distanza dal centro, in una periferia all’ombra di un acquedotto che per molti aspetti somiglia a un sobborgo malfamato di Los Angeles. Tra amici si faceva di tutto per sfuggire a tutta una serie di stereotipi e vitalità selvaggia che i nostri coetanei consumavano in sella ai motorini in angoli squallidi ai piedi di un traliccio arrugginito. A noi non interessava il luccichio del lungomare, noi volevamo bere caffè americano, leggere il nuovo Harry Potter in uno Starbucks, il sabato sera in un pub del Vomero a bere birra irlandese. A lungo l’Inghilterra ci è sembrata, contro il vuoto del nostro territorio economicamente depresso, un eldorado di efficienza. Una pretesa piccolo-borghese che col tempo qualcuno ha abbandonato, per altri invece è diventata una missione e adesso vivono felicemente sposati, contratti in regola, in qualche sobborgo di Liverpool.

Banalmente ho imparato ad amare la mia città più tardi e non vivendoci, ma leggendola. Incappando nei romanzi giusti ho capito che la piazza dove sorgeva il mio liceo non era un luogo di passaggio, da pendolare, ma un quartiere che poteva essere raccontato, tridimensionale, vero. E andava esplorato. Ai libri allora si sono aggiunti l’esperienza, gli amori, le perdite, e a queste corrispondevano quartieri, locali, case su case, in un’urbanistica sentimentale che ancora adesso, sballottato in macchina sui sanpietrini di Santa Teresa, mi commuove come fosse la prima volta.

Napoli non ti uccide ma ti ferisce a morte eccetera eccetera, davvero dobbiamo credere a queste cose? È tutta colpa di una città? Non è forse la forza del primo amore a lasciarci senza speranze per il resto della vita, inguaribili nostalgici che remano controcorrente risospinti senza tregua verso il passato?

Polveri sottili di Gianluca Nativo

L’AUTORE E IL LIBROGianluca Nativo, nato a Mugnano di Napoli nel 1990, vive e insegna a Milano. Ha pubblicato racconti su riviste letterarie come Nuovi Argomenti e Altri Animali, e un suo racconto è stato tradotto per The Stinging Fly, la rivista irlandese diretta da Sally Rooney. Nel 2021 è uscito per Mondadori Strade Blu il suo romanzo d’esordio, Il primo che passa.

Il suo secondo romanzo, Polveri sottili (Mondadori), racconta la storia di Eugenio e Michelangelo, due ragazzi che si incontrano nei vicoli del quartiere universitario di Napoli nel pieno dei loro vent’anni, con un piede nella vita adulta e uno ancora nell’adolescenza. Non sanno che quegli sguardi scambiati con leggerezza non sono altro che l’inizio della loro prima, vera storia d’amore. Eugenio, fresco di laurea in medicina, è ambizioso e razionale; Michelangelo invece “somiglia a un animale in letargo”, goffo e contemplativo, e passa le giornate a rifinire la sua tesi in filologia, crogiolandosi nel sogno della scrittura.

Le famiglie, gli amici e la città li accolgono con naturalezza, e insieme si sentono talmente invincibili da poter superare ogni ostacolo, anche la partenza di Eugenio per la specializzazione in Inghilterra. “E se venissi con te?” azzarda Michelangelo. Sei mesi dopo dividono una stanza in un sobborgo a sud di Londra. I turni massacranti in ospedale per Eugenio, uno scadente corso di lingua per Michelangelo, i pazienti che storcono il naso di fronte all’accento italiano, la sensazione avvilente di essere gli ultimi arrivati: visto da vicino, il sogno inglese rivela presto le prime crepe, ed è quando sta per infrangersi che Michelangelo riceve una proposta da Milano. È l’inizio di un inseguimento amoroso che si dipana fra tre città e infiniti voli aerei, nel tentativo di colmare una distanza che si allarga giorno dopo giorno.

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Fotografia header: Gianluca Nativo, nella foto di Riccardo Piccirillo

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