“Ho fatto la spia” della prolifica scrittrice ottantaduenne Joyce Carol Oates è un racconto angosciante e claustrofobico, che affonda le radici su tematiche come il maschilismo, il razzismo e le diseguaglianze sociali. Ma che alla fine lascia aperta una possibilità di speranza, mostrando come, anche dagli abusi e dalle sofferenze più inaccettabili, ci possa essere un riscatto – L’approfondimento

Alle bambine, quando sono piccole, viene insegnato a stare zitte. Non parlare, non fiatare, questa cosa meglio se te la tieni per te. Non ti esporre. Impara a non alzare la voce. Il silenzio è una forma di educazione, una sorta di merito: chi è silenziosa, secondo un’antica equazione, è anche la più brava.

Lo sa bene Violet Rue Kerrigan, dodici anni, ultima di sette figli. Una ragazzina timida, discreta, che sa farsi voler bene da tutti, specialmente dai suoi genitori. È la preferita del papà e la più amata dalla mamma, spupazzata da fratelli e sorelle maggiori. Si sente protetta e al sicuro, Violet, nella sua casa a South Niagara, nonostante non sia esattamente tutto tranquillo: la madre è schiva e a tratti respingente, il padre torna spesso ubriaco la sera, e i due fratelli più grandi sono violenti, rudi, quasi dei criminali. Una volta hanno violentato in branco una ragazza ritardata, riuscendo poi miracolosamente a evitare di essere accusati, e un’altra volta invece… un’altra volta hanno investito un ragazzo nero in bicicletta, sono scesi dalla macchina insieme a un paio di amici e lo hanno iniziato a picchiare selvaggiamente; hanno preso una mazza da baseball e lo hanno massacrato fino a ucciderlo.

Poi sono tornati a casa, hanno lavato la mazza insanguinata, si sono cambiati i vestiti, e si sono stappati una birra, eccitati. Violet li ha sentiti, mentre strofinavano la pelle per cancellare ogni traccia di sangue, è scesa dal letto ed è andata a vedere: ha visto ogni cosa. Le loro facce spaventate, i loro abiti sporchi e il luogo dove hanno seppellito l’arma del delitto. Ma deve stare zitta, lo sa. Glielo ripetono anche loro, appena si accorgono di lei.

Non deve dire a nessuno di quella notte, intesi? Chi parla è “un topo”, “una fica maledetta”.

Non si tradisce la famiglia, per nessun motivo: nemmeno se i tuoi fratelli sono assassini razzisti. Nemmeno se hai dodici anni e hai paura, e non ti accorgi di stare involontariamente raccontando tutto alla tua insegnante, in un momento di fragilità, rovinando per sempre la tua vita e quella di chi sta attorno.

Oates_HoFattoLaSpia

Da questo tradimento inizia Ho fatto la spia della prolifica scrittrice ottantaduenne Joyce Carol Oates (ha firmato oltre 100 libri, tra romanzi e raccolte di racconti), pubblicato in Italia dalla Nave di Teseo e tradotto da Carlo Prosperi.

Dopo che Violet denuncia i fratelli, inizia un racconto angosciante e claustrofobico, da cui il lettore non ha scampo fino alla fine del romanzo.

La vita della protagonista si trasforma in un castigo, un tragico domino di eventi che la portano all’autodistruzione, sorretta dalla profonda convinzione che per quello che ha fatto merita una punizione. Anche se gli assistenti sociali la portano lontano dalla sua città, anche se incontra nuove persone, anche se si diploma e si iscrive all’Università, la ragazza sentirà per sempre rimbombare nelle sua testa quella parola, “topastro“, che la marchia in quanto traditrice: “I topi si fanno la spia l’un l’altro, non le persone” (il titolo originale del libro, infatti, è My life as a rat).

I sensi di colpa della protagonista si traducono in uno stile di scrittura agitato, ricco di parentesi e di corsivi, in cui si affastellano pensieri, paure, parole censurate, provocazioni, desideri profondi e sconvenienti: tutto viene a galla in una narrazione che traballa, sposta di continuo la focalizzazione, mostrandoci il dolore senza sosta di una vittima che si sente colpevole, o che è colpevole di essere vittima.

A sue spese, Violet impara che è meglio stare zitta, piuttosto che parlare: “È la fossa mortale della vittima, il raccontare“. E così quando le chiederanno se il professore di matematica abusa di lei, Violet resterà in silenzio. Come resterà in silenzio quando accadrà la stessa cosa con lo zio, e con il dottore da cui si reca a fare le pulizie. Tanto comunque non le crederebbero; e anche se le credessero, la lascerebbero sola. Proprio come ha fatto la sua famiglia.

Condannata a scontare una pena ingiusta, di fronte alle violenze degli uomini che costellano la sua vita, l’unica arma di cui Violet si avvale è la risata: “Il potere che l’uomo ha su di te è quello di intimidirti, di farti vergognare. Il potere che invece hai tu su di lui è il potere della risata”. Un’affermazione che ricorda le parole di Margaret Atwood nel Racconto dell’ancella, un altro romanzo in cui, non a caso, le donne vengono messe a tacere: “Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro. Le donne hanno paura che gli uomini le uccidano“.

Ho fatto la spia è una storia violenta e dolorosa, che affonda le radici su tematiche come il maschilismo, il razzismo e le diseguaglianze sociali, ancora molto calde in America e non solo. Ma che alla fine lascia aperta una possibilità di speranza, mostrando come, anche dagli abusi e dalle sofferenze più inaccettabili, ci possa essere un riscatto.

Fotografia header: Joyce Carol Oates Getty Maggio 2020

Libri consigliati