“Le streghe possono essere sorelle e amiche solidali. Altre invece lanciano incantesimi e maledizioni. Usano il denaro come potere, e il potere è sempre controllo”. In occasione dell’uscita di “Strega comanda colore”, ilLibraio.it ha intervistato Chiara Tagliaferri, che esordisce nella narrativa con un romanzo che è un misto di verità e finzione. “È un racconto di formazione sentimentale. Ci sono nomi veri che hanno popolato la mia vita, altri che non esistono, altri che sono stati shakerati con persone incontrate realmente, ma non la definirei autofiction”. Con l’autrice, che ha scritto, insieme a Michela Murgia il podcast “Morgana”, abbiamo parlato di ricordi di famiglia e di amore, di scrittura e del rapporto con il marito Nicola Lagioia, di libri che le hanno cambiato la vita e di fidanzati immaginari…

State attenti, metteva in guardia il dottor S. nella prefazione de La coscienza di Zeno, perché le pagine che state per leggere sono “un misto di verità e bugie“. Allo stesso modo potrebbe essere definito il romanzo d’esordio di Chiara Tagliaferri, Strega comanda colore, edito da Mondadori.

“Aldo Busi diceva: ‘scrivo autobiografie non autorizzate’, e personalmente la trovo meravigliosa come definizione. Anche Elena Ferrante sostiene che la finzione letteraria sia fatta apposta per dire sempre la verità. Ed è vero, c’è il mio mondo in questo libro”, racconta l’autrice, originaria di Piacenza, a ilLibraio.it, “ma è un mondo distorto, un mondo rielaborato”. Un mondo fatto di frammenti che vengono a galla da quella matassa caotica e informe che è il passato. Bolle di ricordi che esplodono in mille colori, da quelli più cupi, come l’arancione tetro di alcuni palazzi di quartiere, a quelli più vivaci, come quelli dei vestiti giusti e luccicanti, che sanno di libertà.

Streghe, ricette, anelli, gatti, fidanzati, genitori, nonni, sorelle, amiche, amori. Di questa storia poco importa – come sempre – sapere ciò che è vero e ciò che non lo è, perché a emergere è un quadro tenerissimo e malinconico, dalla struttura un po’ anarchica e emotiva, come solo la memoria sa essere. Lo scopo? Quello di liberarsi da un vincolo, di interrompere certe maledizioni, anche a costo di dire qualche bugia, “ma bugie calorose, bugie di protezione, quelle che ti permettono di sentirti meno inadeguata, che ti aiutano a ripararti dal reale e a dargli un nuovo significato”.

strega comanda colore

Partiamo dal titolo del libro, che richiama il nome di un gioco che si faceva da bambini.
“Da bambina ero terrorizzata da questo gioco. Ogni volta che qualcuno gridava il colore da toccare, sentivo di avere il vuoto nella testa. Non riuscivo più a correre. Mi immobilizzavo. I colori dentro di me svanivano. La strega mi prendeva, facendomi sprofondare in un abbraccio. Era come essere divorati. Ecco, è proprio questa la sensazione che provo di fronte al passato: è come se mi inghiottisse”.

Senza lasciare traccia?
“Per vari motivi ho cancellato intere parti della mia vita. Eppure siamo il risultato di quello che abbiamo vissuto, in un modo o nell’altro sentivo che dovevo tornare indietro, per recuperare l’imbriglio, accogliere la confusione”.

Ma la scrittura può aiutare a fare i conti con il dolore.
“Tutti gli scrittori sono esorcisti dei loro demoni. E questo libro è il mio esorcismo”.

È la sua storia personale?
“È un romanzo. È un memoir. È un racconto di formazione sentimentale. Ci sono nomi veri che hanno popolato la mia vita, altri che non esistono, altri che sono stati shakerati con persone incontrate realmente, ma non la definirei autofiction”.

E la protagonista?
“È un corpo senza organi che deve ricostruire il suo percorso emotivo”.

Attraverso l’amore?
“L’amore mi ha salvato la vita”.

Un’immagine per descriverlo.
“Io abbracciata a mio padre su una bicicletta. Ho in mano un mazzo di margheritone gialle. Le stiamo portando a mia madre”.

Una figura a cui dedica molto spazio all’interno del libro.
“Non sono brava a disegnare, ma se lo fossi rappresenterei mia madre così: una sigaretta in una mano, un libro in un’altra. È una donna ancora molto bella ed elegante. Ha sempre letto tantissimo e per noi l’amore è anche questa roba qui: le scambiarci le parole attraverso i libri. È il nostro modo di comunicare”.

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E poi c’è l’amore di coppia.
“Non avrei mai detto che alla fine avrei avuto una relazione stabile. E invece sono sposata con Nicola (Lagioia, ndr) da dieci anni. Fidanzata da quindici. Le pagine su di lui non sono inventate. Lui è il primo uomo di cui mi sono davvero innamorata. Mi ha insegnato l’amore”.

Anche lui è scrittore. Come vivete la scrittura nel vostro rapporto?
“Amo molto la scrittura di mio marito. Vedo nascere i libri nei suoi pensieri, prima ancora che sulla carta. Ci siamo sempre aiutati. Sempre visti sprofondare e sparire nei nostri mondi. A volte ci smarriamo e ci andiamo a ripescare vicendevolmente dal regno dei morti, come Iside con Osiride”.

A proposito di regni dei morti e di città dei vivi. Nel capitolo Si passano molte cose dal sangue, lei fa riferimento all’omicidio dei genitori di Pietro Maso.
“Ero affascinata dalla figura di Pietro Maso. Il momento in cui lui ha ucciso i suoi genitori è coinciso con quello in cui la mia vita è andata in pezzi. Mio padre era morto, mia madre non sapeva come tenersi insieme. Io stavo affogando. Cercavo di capire qualcosa dei legami famigliari, che per me sono la cosa più misteriosa del mondo”.

E lui cosa rappresentava per lei?
“Pietro Maso era uno sbruffone, fumava i soldi, letteralmente: si accendeva le sigarette con le banconote da 100.000 lire, amava dare spettacolo perché voleva essere guardato, è stato il primo uomo a salire sul cubo di una discoteca. Leggendo notizie su di lui sentivo la sua rabbia, che vedevo pericolosamente confinante alla mia. In un’intervista in cui parlava della sua infanzia e dell’adolescenza diceva, ridendo, che era morto dentro. Raccontava che a cena, in famiglia, si buttava a tavola un ‘come va, tutto bene?’, e si rispondeva meccanicamente ‘sì, sì tutto bene’. Nessuno vedeva davvero nessuno, e in questo non conoscersi, non guardarsi, nascono i mostri. In molte case, durante i pasti, non si parla davvero. Ci nascondiamo dietro i nostri animali domestici – gatti, criceti, pesci rossi – ci prendiamo cura di loro per spostare l’attenzione da noi. Anche in casa mia accadeva. Non era una mancanza d’amore, ma una difficoltà nel farlo passare. Spesso chi non l’ha ricevuto fa fatica a gestirlo”.

Parliamo invece di streghe. Strega è una parola dal significato profondo. Una figura che ultimamente ha acquisito nuova vitalità, anche grazie al lavoro che lei e Michela Murgia avete svolto con il podcast di Storielibere Morgana (che ha ispirato anche due volumi di successo editi da Mondadori). Chi sono, per lei, le streghe?
“Morgana è nata per darci coraggio. È una narrazione di figure femminili capaci di deflagrare con la loro forza. Morgana è il personaggio più interessante del ciclo arturiano, sorella di Artù, la chiamano indifferentemente ‘fata’ o ‘strega’ a seconda delle situazioni. Quando utilizza il suo potere a favore del re è una fata, quando invece decide di usarlo per se stessa diventa una strega”.

E le streghe di questo libro?
“Alcune sono sorelle e amiche solidali. Altre lanciano incantesimi e maledizioni. Usano il denaro come potere, e il potere è sempre controllo. La protagonista vuole opporsi a questo, vuole spezzare un legame, qualcosa che è nel suo sangue”.

A un certo punto cita ‘il potere del trio non coincide più con il mio’, facendo riferimento a una celebre frase del telefilm cult Streghe. Quali sono le streghe che l’hanno più influenzata e che l’hanno aiutata a scoprire se stessa?
“Sicuramente le tre sorelle Brontë, che infatti io e Michela abbiamo trasformato anche in una puntata del podcast, una di quelle a cui sono più affezionata. Queste tre ragazze goffe e malvestite, estranee a ogni corrente letteraria, in piena epoca vittoriana, hanno rivoluzionato ogni regola dello scrivere. Sono morte tutte prima dei trent’anni, ma hanno scardinato i confini in cui la donna era stata relegata, influenzando generazioni di scrittori. Fanno parte della mia vita. Per esempio con Emily io ho un vero e proprio dialogo… nel senso che ci parlo per davvero”.

Cosa le dice?
“Quando sono in difficoltà l’unico oracolo a cui mi affido è Cime tempestose. Lo apro a caso, leggo qualche riga e so come comportarmi”.

Perché le piace così tanto?
“Emily viveva reclusa in una canonica, non ha mai dato un bacio, eppure ha generato il capolavoro più appassionante e brutale che sia mai stato scritto. Mi piace così tanto perché mostra come odio e amore siano la stessa cosa. I suoi personaggi sono avulsi dal mondo, hanno animi teneri, violenti e tormentati. Pensiamo a Heatcliff, che non ha niente del classico eroe ottocentesco. È feroce, nero, vendicativo. Legato a Catherine da forze misteriose della natura. Non gliene frega niente della salvezza, non cerca quello. Ho perfino il suo nome tatuato sul collo”.

Come mai?
“È un tatuaggio che ho fatto quando ero ragazzina. Mi inventavo che Heatcliff era il nome di un ragazzo che avevo conosciuto al mare, e che era morto in un incidente in motorino. Era una tragedia, ma è stato uno dei fidanzati migliori che ho avuto, perché me lo sono disegnata come volevo io”.

Fotografia header: (c) Paqualini, Musacchio/MIP, Light Ass. Fucilla/MIP Courtesy Gucci

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