“Sono un po’ nauseata dal consumismo e dall’acquisto compulsivo di questi tempi. Mi lasciano sempre svuotata. La mia protagonista Gea incarna una filosofia alternativa: riparare piuttosto che sostituire. Non si tratta soltanto di uno slogan ecologico, ma di un atto creativo. Spesso parliamo di ‘decrescita’ come fuga, come taglio radicale rispetto alle abitudini che abbiamo. Ma forse è possibile trovare una via di mezzo. Compiere piccoli passi che non stravolgano l’esistenza, ma possano migliorarla concretamente”. Dopo il successo de “Le piccole libertà”, torna in libreria Lorenza Gentile con “Le cose che ci salvano”, una storia limpida e colorata, ambientata in una Milano che sembra uscita da una favola ma che, per l’autrice, può ancora resistere: “Ho sicuramente una vena nostalgica e romantica. Mi rendo conto di dare l’impressione di essere un po’ fuori dal mondo. È così non solo nei miei libri, ma anche nella vita: è il mio modo per dire che può esistere uno stile di vita diverso, anche al giorno d’oggi”

Lorenza Gentile, come le protagoniste dei suoi romanzi, sembra uscita da uno di quei caratteristici film francesi, una sorta di Amélie Poulain trasportata all’improvviso tra le strade di Milano. Immaginatela volteggiare davanti a un caffè letterario, stretta nella sua mantella rossa in una fresca mattina di primavera.

Siamo ben lontani dagli scenari ruggenti del centro metropolitano del lavoro e della moda di cui tanto si sente parlare (ultimamente soprattutto con toni critici), perché con la scrittrice – milanese, classe ’88 – ci troviamo a riscoprire i lati più romantici della città, quell’insolita dimensione di quartiere che qualcuno potrebbe obiettare “è ovunque ma non a Milano”, e invece, a quanto pare, a Milano c’è eccome. Solo che – un po’ come la bellezza di un certo proverbio – è negli occhi di chi la vive.

Prendiamo quindi in prestito quelli della ventisettenne Gea, protagonista del nuovo Le cose che ci salvano (Feltrinelli), una tuttofare dall’incredibile senso pratico e dall’innata bontà, che si trasferisce sui Navigli alla ricerca di un qualcosa che dia un senso alla sua esistenza. Non che Gea abbia smanie di arrivare chissà dove o di ottenere chissà cosa, anzi: in un mondo che celebra traguardi e successi, lei è felice di restare nel suo orticello fatto di piccole ma incrollabili certezze – come la sua comoda salopette e la sua inesauribile borsa degli attrezzi. Eppure, anche se ancora non lo sa, ha bisogno di un cambiamento, un qualcosa che possa permetterle di voltare pagina. Così, immersa nelle dinamiche di un palazzo animato da una schiera di personaggi memorabili e sopra le righe, la nostra eroina compie di giorno in giorno qualche gesto rivoluzionario capace di stravolgere la sua vita e quella di chi le sta intorno – che sia riparare un rubinetto, o lasciare scivolare bigliettini d’incoraggiamento nell’appartamento di un ragazzo solitario. Perché in fondo, sono proprio queste le cose che fanno la differenza e che, alla fine dei conti, ci permettono di essere salvati.

Ancora una volta Gentile torna a raccontarci una storia ambientata in un’atmosfera da sogno, con la stessa voce limpida e piena di speranza che aveva già conquistato tante lettrici e lettori con Le piccole libertà (Feltrinelli), romanzo in cui la giovane Oliva entrava a far parte della sgangherata comunità bohémienne di una delle più celebri librerie del mondo, la Shakespeare and Company di Parigi. Anche in quel caso, eravamo di fronte a un racconto tutto colorato, che celebrava la gioia di vivere trovando la propria strada, senza lasciarsi schiacciare da pressioni e condizionamenti esterni. Un approccio libero e spontaneo – ma non ingenuo, specialmente se contrapposto alla logica dell’autoaffermazione e del culto del sé – di cui ilLibraio.it ha voluto chiacchierare con l’autrice.

Le cose che ci salavano lorenza gentile

“Buttare è sprecare un’opportunità, spesso la migliore”. L’incipit del romanzo è di grande effetto. La sua protagonista è una specie di Marie Kondo al contrario: non butta niente, ma ripara tutto.
“Sono un po’ nauseata dal consumismo e dall’acquisto compulsivo di questi tempi. Mi lasciano sempre svuotata. Gea incarna una filosofia diversa, un modo di pensare che ho sempre ritenuto interessante: riparare piuttosto che sostituire. Non si tratta per me soltanto di uno slogan ecologico, ma di un atto creativo. Spesso parliamo di ‘decrescita’ come fuga, come taglio radicale rispetto alle abitudini che abbiamo. Ma forse è possibile trovare una via di mezzo. Compiere piccoli passi che non stravolgano l’esistenza, ma possano migliorarla concretamente. Io stessa quando riparo qualcosa mi sento sveglia, attiva: delegando perdiamo la possibilità di migliorare”.

E anche lei, come Gea, è un po’ una tuttofare?
“Diciamo che ho dovuto imparare per fare ricerca. È stato incredibile. Non avevo mai avuto esperienza con i lavori manuali, ma mi sono messa alla prova”.

La Milano che descrive nel romanzo sembra uscita da una favola. È accogliente, intima, vivibile. Che rapporto ha con questa città?
“Sono arrivata qui dopo aver vissuto per un periodo a Londra. Mi sono trasferita nel quartiere dei Navigli, che mi ha fatto percepire subito un forte senso di comunità e solidarietà. So che ora la città sta cambiando profondamente e che, per questo, in molti la stanno lasciando. Quello che speravo di comunicare con il mio romanzo è che esistono ancora delle forme di resistenza. E vanno coltivate”.

Come?
“Cercando di fare rete, di non isolarsi”.

Sembra difficile in un luogo come Milano.
“Eppure con la pandemia ci siamo riusciti. Durante il lockdown abbiamo vissuto tutti un forte senso di isolamento e abbiamo capito che non è più sostenibile questa smaterializzazione della vita. Io stessa ho riscoperto una dimensione di quartiere proprio in quel periodo. Potevo uscire solo per brevi passeggiate intorno a casa e ho iniziato a costruirmi un microcosmo familiare, fatto di luoghi come la pasticceria, il forno, il bar di riferimento, il negozio di alimentari…”.

Vivere così sarebbe un po’ come tornare indietro nel tempo.
“Ho sicuramente una vena nostalgica e romantica. Mi rendo conto di dare l’impressione di essere un po’ fuori dal mondo. È così non solo nei miei libri, ma anche nella vita. Mi piace ancora scrivere bigliettini, le lettere in brutta e bella copia, ma non è inconsapevolezza di ciò che accade, anzi: è il mio modo per dire che può esistere uno stile di vita diverso, anche al giorno d’oggi”.

Anche le case sono centrali nella sua storia. Sono il canale per entrare nelle vite degli altri e per conoscerli per davvero.
“Nella mia vita mi sono trasferita tante volte, per questo ho un forte attaccamento alle case. Allo stesso tempo sono attratta e incuriosita dalle abitazioni degli altri. Sento che in qualche modo rappresentano la nostra intimità più profonda”.

La sua casa com’è?
“Fosse per mio marito non ci sarebbe nulla. Minimalismo puro! A me invece piace invadere lo spazio con quello che sento mio”.

Un elemento che la rappresenta di più?
“I libri e i colori”.

Dopo aver pubblicato Teo e La felicità è una storia semplice (entrambi per Einaudi), Le piccole libertà è stato per lei un punto di svolta. Un successo spontaneo, scoppiato grazie al passaparola dei lettori.
“In molti mi hanno raccontato come quel libro abbia avuto un impatto positivo sulle loro vite. È stata un’esperienza bellissima, una vera sorpresa che, però, non nego mi abbia messo addosso un po’ di ansia da prestazione per questo nuovo romanzo”.

Come l’ha gestita?
“Per fortuna avevo iniziato a scrivere Le cose che ci salvano già prima della pubblicazione de Le piccole libertà. E poi devo dire che un importante aiuto me l’ha dato proprio Gea, la mia protagonista. Mi sono affidata a lei, la sentivo vicina, come se fosse una mia amica. Ho lasciato che mi guidasse nella scrittura. Dopodiché ho cercato di essere il più autentica possibile e di scrivere il libro che avrei voluto leggere”.

A proposito di scrittura: le sue storie hanno il potere di far stare bene. A pensarci, si potrebbero far rientrare nel filone up-lit, ovvero tra quei libri che lasciano il sorriso dopo aver letto l’ultima pagina.
“Non c’è per forza un messaggio o una morale in quello che scrivo. Ma ciò che cerco sempre, attraverso la scrittura, è la luce. Sono fatta io così. Penso che ci sia sempre una possibilità. E penso anche che sia necessario scavare nel dolore affinché la luce possa emergere”.

Qual è la sfida più grande per lei come scrittrice?
“Riuscire a ricreare la vita sulla pagina. Non posso staccarmi da una storia finché non la percepisco vera, viva. Per questo per me è importantissimo anche essere capace di emozionarmi mentre scrivo. A volte mi capita addirittura di piangere, un po’ come la catarsi nel teatro”.

Il libro è dedicato a Martino, suo figlio.
“Questo romanzo è stato scritto proprio durante i suoi primi anni di vita . Lo scrivevo di notte, quando lui dormiva, quando lo tenevo in braccio… avevo un senso di urgenza che non sentivo da tempo. Dentro di me covavo tantissime domande e, scrivendo, cercavo le mie risposte. È stato come un diario segreto”.

E le risposte che ha trovato l’hanno salvata?
“In un certo senso sì. E tutto quello che ho scoperto grazie a questo libro lo voglio regalare a lui. In quel momento ero divisa tra due poli: mio figlio, e la scrittura. Spesso ho sentito che quando ero con lui stavo sottraendo tempo al mio lavoro, e viceversa. Ho vissuto un profondo conflitto. È stata la prima volta in cui ho messo in discussione la scrittura che, per tutta la vita, è sempre stata la mia priorità. La dedica all’inizio del libro è anche un modo per dirgli: ‘Ecco dov’ero quando ti ho detto torno presto‘”:

L’APPUNTAMENTO IN LIBRERIA – Mercoledì 3 maggio, alle ore 18:30, alla libreria laFeltrinelli di Piazza Piemonte n.2, a Milano, Lorenza Gentile presenta Le cose che ci salvano con Alessandra Tedesco.

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