“I libri sono come chi si ama, ci aiutano a comprenderci, a sentirci compresi, a comprendere il mondo. Penso che il potere della lettura stia in questo: ritrovare la propria vita lontano da casa”. Su ilLibraio.it, Lorenza Gentile, autrice del romanzo “Le piccole libertà”, racconta le storie che le hanno cambiato la vita: da “Pippi Calzelunghe” a “Un amore” di Dino Buzzati, passando per “Due di due” di Andrea De Carlo, “Sulla strada” di Jack Kerouac e molte altre…

Ricordo benissimo lo sconcerto e insieme il senso di meraviglia che ho provato la prima volta che ho letto un libro da sola. Era qualcosa di diverso dal sussidiario o dai cartonati che già conoscevo a memoria; era un romanzo vero e proprio, scritto in piccolo e senza figure, opera di una donna col nome strano, Astrid Lindgren, che parlava di una bambina col nome ancora più strano, Pippilotta Viktualia Rullgardina Succiamenta, che viveva a Villa Villa Colle, insieme a un cavallo a pois che chiamava zietto e al signor Nilsson, una scimmia.

Questa ragazzina squinternata mi ha tenuto compagnia in qualsiasi ritaglio di tempo riuscissi a trovare, dopo scuola, prima di dormire, alla ricreazione, perfino di notte, di nascosto, con la torcia accesa. Era una cosa incredibile. Tra quelle pagine scritte c’era la vita, ma non solo la vita in generale, c’era anche, in modo assolutamente magico e per me incomprensibile, la mia vita.

Un libro scritto in un’epoca e in un paese lontani, con una protagonista folle, parlava di me. Parlava di quello che avrei voluto essere (Pippi) e di quello che invece ero (Annika) e mi dava la forza di diventare ogni giorno un po’ più di uno e un po’ meno dell’altro. Una volta finito il libro, ho dato forma a un sogno che non sapevo nemmeno di avere: essere libera e fare del bene.

Ho capito subito che leggere mi avrebbe consentito di viaggiare e allo stesso tempo di scoprire casa mia. Potevo farlo da sola, potevo farlo (quasi) ovunque, (quasi) sempre e là fuori, cosa ancora più magica e incomprensibile, era pieno di libri che sembravano scritti apposta per me. Diventò una risorsa di sopravvivenza quotidiana.

Dopo il periodo di fervide letture alle elementari e alle medie, però, al liceo si aprì davanti a me il vuoto cosmico. Il genere di libri che un tempo mi piaceva aveva finito per annoiarmi e quelli che suggerivano a scuola mi urtavano i nervi: erano infarciti di lezioni, ma non mi svelavano segreti. La lettura aveva smesso di essere un fatto personale, era diventata un esercizio obbligatorio. La vita mi teneva occupata e la vita era altrove. Eppure mi mancava qualcosa. Non ritrovandomi più nei libri, non mi conoscevo più.

Quando ho ricevuto in regalo Un amore di Dino Buzzati da un ragazzo che amava leggere e scrivere, e che mi aveva capita, qualcosa è cambiato. Era una storia lontana da me, certo, ma dentro c’ero io. Ecco che tornava quella sensazione un tempo così familiare! Ero dentro quelle pagine, ero a Milano, ero Adelaide, ero Antonio, eppure me ne stavo rincantucciata nel mio letto, al sicuro non dall’amore, che stavo sperimentando anch’io, ma dal dolore, o almeno così speravo. Era una storia che aveva qualcosa da insegnarmi, forse, e per saperlo non potevo che andare avanti a leggere.

Sono seguiti Due di due e Di noi tre di Andrea De Carlo e Qualcuno con cui correre di David Grossman: i libri erano tornati a parlare di me e delle persone intorno a me, anche se in epoche e posti lontani. Mi insegnavano a vivere. Dovevo solo imparare a scegliere. A lungo ho scelto i grandi romanzi russi e Virginia Woolf.

Se dovessi fare una piccola mappatura delle fasi e delle crisi successive, sarebbe poi la volta del periodo universitario, in cui la vita mi appariva come un’esplosione di bizzarrie. Non volevo introspezioni, cercavo l’assurdo, il paradossale, il teatrale (non a caso studiavo arti drammatiche). In quegli anni ho riscoperto il piacere della lettura grazie a Beckett e a Ionesco, grazie a romanzi come La metafisica dei tubi di Amelie Nothomb e Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.

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Quando ho vissuto in una libreria, la Shakespeare and Company a Parigi, ho riscoperto la vita come viene, bella nella sua assenza di disciplina e ostentazione, e il potere della letteratura è tornato ad agire su di me con Sulla strada di Kerouac. Avevo l’impressione di vivere in prima persona quello che raccontava, così, grazie al suo libro, la mia vita acquisiva intensità.

Ci sono libri, ora, che mi insegnano a leggere mettendomi di fronte a una lingua interessante, ben cesellata o un modo di vedere che mi svela qualcosa. Sono, per citarne solo alcuni, i romanzi di Natalia Ginsburg, di Rachel Cusk, di Yasmina Reza.

Da quando è arrivato mio figlio ho bisogno di libri brevi, che non riesci a posare. La lettura è diventata la riconquista di uno spazio tutto per me. Tra gli ultimi: Le cure della casa di Stefania Bertola, I miei stupidi intenti di Berardo Zannoni, I terrestri di Murata Sayaka e i saggi di Byung Chul Han.

I libri sono come chi si ama, ci aiutano a comprenderci, a sentirci compresi, a comprendere il mondo. Penso che il potere della lettura stia in questo: ritrovare la propria vita lontano da casa.

lorenza gentile libri da leggere

L’AUTRICE – Lorenza Gentile (Milano, 1988) è cresciuta tra Firenze e il capoluogo lombardo, è laureata in Arti dello Spettacolo alla Goldsmiths University di Londra e ha frequentato la scuola internazionale di Arti Drammatiche Jacques Lecoq di Parigi. Nel 2011 ha vissuto e lavorato nella celebre libreria parigina Shakespeare and Company, e da quell’esperienza è nata l’ispirazione per il suo ultimo romanzo, Le piccole libertà (Feltrinelli, 2020). Ha pubblicato Teo (Einaudi Stile Libero, 2014; premio Edoardo Kihlgren, premio Seminara – Rhegium Julii e premio dei Giovani critici della Literaturhaus di Vienna), tradotto in Germania, Spagna e Corea, e La felicità è una storia semplice (Einaudi Stile Libero, 2017).

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