“Itaca per sempre”, pubblicato nel 1997, è il controcanto dolente e lucido al mito del ritorno. Luigi Malerba (1927 – 2008), prende il ritorno più famoso della storia e lo trasforma in un duello tagliente tra due amanti diventati estranei. In un’Itaca che sa di attesa e di resa dei conti, Ulisse e Penelope si ritrovano non per celebrarsi, ma per riconoscersi (forse troppo tardi). Così il mito si fa realtà, dubbio, disincanto. E l’ultimo naufragio non ha più niente a che vedere con il mare, ma con l’impossibilità di tornare davvero a casa. L’autore non riscrive l’Odissea, ma ne rivela il sottotesto emotivo…

Il viaggio di Ulisse, il racconto della sua tracontanza e del suo ingegno, ha assunto molte forme nel tempo. I protagonisti e le protagoniste di questa storia sono diventati archetipi: se Ulisse è il genio, l’impavido e l’arrogante, Penelope è la sposa, furba, ma dall’intelligenza addomesticata per il solo fine di una fedeltà ostinata. Eppure, questi ruoli sono maschere, sceneggiate.

Itaca per sempre

Itaca per sempre, pubblicato da Mondadori nel 1997, è uno degli ultimi romanzi di Luigi Malerba (Pietramogolana, 11 novembre 1927 – Roma, 8 maggio 2008), pseudonimo di Luigi Bonardi, figura di spicco della neoavanguardia italiana e membro del Gruppo 63.

L’autore lo pubblica nel 1997, e rimette sul palcoscenico quegli stessi protagonisti, esplorandoli in dimensioni diverse. Infrange la superficie del mito, lo svuota dall’interno, gli lascia le ossa, ma lo priva del lirismo. È così che ne svela l’incanto più autentico: quello della verità umana, emotiva e vulnerabile.

Gruppo 63 è una sigla di comodo di cui spiegheremo un po’ più avanti l’origine. Di fatto dietro a questa sigla c’era un movimento spontaneo suscitato da una vivace insofferenza per lo stato allora dominante delle cose letterarie: opere magari anche decorose ma per lo più prive di vitalità […] Furono l’ultima fiammata del neorealismo in letteratura, fioca eco populista della grande stagione cinematografica dei Rossellini e dei De Sica.”

In Itaca per sempre, quando Ulisse ritorna alla sua isola travestito per mettere alla prova per l’ennesima volta sua moglie, è Penelope a riscrivere la storia: lo riconosce subito, come potrebbe non riconoscere il prode Ulisse, ma decide di non dirlo.

Perché dovrebbe, se proprio lui, che l’ha abbandonata per anni, non è abbastanza umano da gettarsi tra le sue braccia? Inizia così un gioco feroce, silenzioso, fatto di attese e indifferenze calcolate. Il riconoscimento, da gesto d’amore, diventa atto di potere. E il dubbio, lo stesso dubbio che ha dilaniato Penelope per vent’anni, viene restituito al mittente. Cadono i voleri divini, crollano gli eroi.

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Penelope ne esce completamente riscritta, la sua personalità assume connotati moderni. Si muove seguendo i passi di Penelope precedenti, ma sbugiarda le convinzioni, ride di quello che altri hanno pensato di lei.

Malerba costruisce il suo punto di vista sull’abbandono, sull’attesa senza speranza e sull’inganno che Ulisse decide di riservarle per ultimo. Non è un’eroina, continua a tessere la sua tela di giorno e a sfilarla di notte, ma non è più solo quella la sua storia. Vive prigioniera della sua stessa residenza, tra le angherie dei Proci e del figlio, cercando di sopravvivere per se stessa. La Penelope di Malerba è arrabbiata, delusa, protagonista.

L’Ulisse di Malerba è invece ingenuo a volte, terribilmente arrogante ma, soprattutto, è cieco. Non è in grado di ammettere i suoi errori e non è capace di essere gentile, non trova spazio in questa nuova dimensione da coprotagonista e pesta i piedi nel non sentirsi amato abbastanza. Non accetta il rifiuto, non comprende il dolore dell’abbandono. Illude e pretende.

Malerba non riscrive l’Odissea, ne rivela il sottotesto emotivo. Cosa resta quando il ritorno non è più mito, ma intimità fragile? Quando l’uomo che amavi torna, ma non è più quello che ti saresti aspettata? O forse sei tu, a non essere più la stessa? Cosa resta di lui quando deve accettare un rifiuto e sotterrare l’orgoglio?

Itaca per sempre è un romanzo a due voci, due corpi, due verità che non coincidono. Il corpo invecchiato di Ulisse non è solo travestimento, è il segno di ciò che si è perduto. Quello di Penelope, sfiorito e disilluso, è ancora forte. Il ritorno di Ulisse non è quindi ritorno a se stessi, alla propria casa, né a una moglie devota. È una nuova sconfitta con cui imparare a fare i conti.

Itaca per sempre riscrive l’epica dei sentimenti, rinuncia alla potenza, abbraccia la fragilità e forse, proprio per questo, ci insegna l’importanza di un gesto: quello dell’ascolto dell’altro.

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