In “Pericoli di un viaggio del tempo”, ultimo romanzo uscito in Italia di Joyce Carol Oates, non ci sono obiettivi da raggiungere, non bisogna salvare l’umanità e nemmeno cercare la strada di casa, almeno non subito. Il viaggio nel tempo è un esilio. Adriane Strohl è una diciassettenne sveglia, il suo problema è che fa troppe domande… – L’approfondimento

Viaggiare nel tempo è prima di tutto una fantasia; per quanto la sua fattibilità sia ipotizzabile solo nelle controintuitive speculazioni della fisica quantistica, rimane a lato come la possibilità per eccellenza, come la via di fuga.

A volte può essere un errore, un caso – un personaggio attraversa un portale che non dovrebbe esserci – a volte è una missione. Le regole che lo accompagnano sono abbastanza standard: non intervenire sul corso degli eventi, a meno che non sia lo scopo stesso della missione; non mettersi in contatto con il sé passato. Sono regole di buon senso, come non svegliare un sonnambulo.

In Pericoli di un viaggio del tempo, ultimo romanzo uscito in Italia di Joyce Carol Oates, nella traduzione di Alberto Pezzotta per La Nave di Teseo, non ci sono obiettivi da raggiungere, non bisogna salvare l’umanità e nemmeno cercare la strada di casa, almeno non subito.

Pericoli di un viaggio nel tempo_Oates

Il viaggio nel tempo è un esilio. Rimanere perduti in un’altra epoca, in sospensione tra quello che è stato e quello che sarà, senza la possibilità di lasciare più un segno del proprio passaggio, è la punizione che tocca a chi ha disobbedito alla regole.

Adriane Strohl è una diciassettenne sveglia; studiosa – anche se nel 23-SNAR, anno in cui vive, si cerca di non eccellere, di non farsi notare – viene scelta per pronunciare il discorso del giorno del diploma.

23-SNAR (o SNA) significa ventitreesimo anno dalla nascita degli Stati del Nord America Rifondati, un’entità politica che ingloba Stati Uniti, Canada e Messico.

La guerra al terrorismo è costante, permea ogni aspetto della vita quotidiana, e anche se negli SNA non è chiarissimo chi sia al governo, o come si svolgano le elezioni – quello che gli elettori sanno è che votano per un’emoji – i cittadini non possono dimenticare nemmeno per un secondo a chi deve andare la loro fedeltà, perché il governo entra nelle case, nelle scuole, prende corpo nei vicini di casa e nei compagni pronti a fare la spia. È sconsigliato essere troppo intelligenti, specializzarsi in materie pericolose come le scienze, o la medicina, a meno che non ci si metta completamente al servizio dello Stato e contro il nemico che, come in ogni distopia, è un nemico fumoso, una minaccia che non si concretizza mai.

Il problema di Adriane invece, è che fa troppe domande, e sono le troppe domande contenute nel discorso del diploma che portano al suo arresto, a un interrogatorio massacrante e, infine, all’esilio. Il suo corpo viene dissolto in tutte le sue particelle e ricollocato, di nuovo integro, ma acciaccato e forse con un microchip nel cervello che le blocca i ricordi, nella Zona 9, ossia: Wainscotia Fall, Winsconsin, settembre 1959.

Potrebbero riempirsi capitoli interi sulla costruzione di un mondo del genere, ma Oates è sopra a tutto questo: non c’è bisogno di ulteriori spiegazioni, perché quello che c’è sulla carta per il suo personaggio è l’unica realtà, con qualche dubbio, sì, ma senza più alternative.

Quello che interessa, pagina dopo pagina, non è scoprire se Adriane troverà un modo di scardinare un regime totalitario, ma come Mary Ellen Enright, il suo nome di esiliata, si adatterà a un ambiente sconosciuto, a un passato che vogliamo immaginare più vicino al nostro presente rispetto al futuro – cronologicamente molto più prossimo – che dipinge nelle prime pagine.

La narrazione scarta avanti e indietro, anticipa gli eventi, si ferma, accelera, come se viaggiando in un’altra epoca Mary Ellen avesse perso non solo il contatto con ciò che le è famigliare, ma il senso stesso del tempo.

I suoi pensieri si affastellano gli uni sugli altri, ripetendosi; ogni giorno è estraneo, e uguale a se stesso. Mano a mano che il disorientamento della ragazza aumenta, e cresce la sua ossessione nei confronti di Wolfman, assistente di Psicologia in cui lei riconosce un altro esiliato, Oates piega i sentieri intorno a lei, così che su ogni certezza ci si debba tornare due volte. Il suo personaggio studia e critica la psicologia comportamentale, ma a sua volta ne è una cavia. Fino a che punto si può testare l’inconoscibile e imprevedibile, e cioè il sentimento?

Adriane/Mary Ellen si dibatte per trovare una sua dimensione e recuperare i ricordi che le sono più cari, mentre si interroga su cosa sia la realtà, e che cosa invece è virtuale; e se si può ancora toccare con mano la morte.

Non è una lettura confortevole: Oates non ha nessun interesse nel far accomodare il lettore in una poltrona e costruirgli intorno un universo che funzioni come un orologio. Nella sua impressionante lista di romanzi, è lo sgradevole che emerge, il prurito che non vuole alleviarsi, la violenza pronta a erompere. Il 23-SNA non è un anno lontano da noi, non solo perché nella sua finzione gli SNA nascono in seguito all’attentato alle Torri Gemelle; la vicinanza nasce dall’oscurità insita nelle persone, dal bisogno di crearsi nemici invisibili in cui riversare il male per esorcizzarlo, e illudersi di controllarlo. Ripiegandosi ulteriormente dentro la testa di una ragazza trapiantata in un’altra dimensione, ci accompagna in un viaggio molto più inquietante, e tortuoso, del tempo stesso, dove la destinazione si nasconde continuamente, e di cui ci chiede se siamo pronti ad accollarci i rischi.

Fotografia header: (c)Dustin Cohen

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