Torna in libreria in una nuova edizione “L’Andreana”, romanzo di Marino Moretti (Cesenatico, 1885 – 1979), poeta crepuscolare per eccellenza, universalmente noto per il suo “Piove, è mercoledì, sono a Cesena/ ospite della mia sorella sposa”. Ed è una bella sorpresa: la sua Romagna, così carnale, è pervasa da un umorismo particolare, un controcanto ironico al rischio del patetico, che pure viene corso nella struttura a feuilleton del romanzo: un occhio alla narrativa popolare, e un altro a un futuro per lui ancora in quel momento ignoto, quello non solo felliniano ma anche dei cosiddetti “narratori delle pianure”. Ne parla su ilLibraio.it Mario Baudino

Si comincia con una “grande sciagura”, e cioè “la morte del nostro maggior pescivendolo” in quel di Cesenatico, ed una galleria di personaggi, i commercianti di pesce dai soprannomi e dai costumi esilaranti, grandeggianti di gusto popolare, “gente di pescheria” che “sfoggia anelli e catene d’oro, medaglie, sterline”, abiti bizzarri o alla moda, carta da lettere dove si intrecciano anguille e cefali: Bombi Adamo, Bruto, Piangerai o Trentasei, tanto per fare qualche esempio. E quando uno di loro, anzi il nuovo maggior pescivendolo, per darsi un tono, saluta dicendo “buenos aires”, ecco, il sospetto di essere avvolti da un clima pre-felliniano (non manca nemmeno la prostituta decisamente grassa, un po’ ferina e un po’ di buon cuore) si fa largamente strada.

Siamo invece in un romanzo del poeta crepuscolare per eccellenza, Marino Moretti, universalmente noto per il suo “Piove, è mercoledì, sono a Cesena/ ospite della mia sorella sposa”, in altre parole un autore che, guardandolo dal punto di vista dell’opera poetica, sembrerebbe molto lontano da una scrittura così verticale e persino orgiastica, oltre che ironica e spesso tragicomica.  Ma qui si trasforma, in quella che è ritenuta la sua seconda fase, all’altezza degli Anni Trenta, e proprio a partire da L’Andreana, ora ripubblicato da Bompiani nella collana dei classici contemporanei con una nota al testo di Manuela Ricci e una breve introduzione di Cristiano Cavina.

 L'Adreana di Marino Moretti

Da romagnolo, l’autore di Pizzeria per autodidatti apprezza e si diverte, e senza dubbio sente in Moretti qualcosa di famigliare. L’Andreana è infatti una sorta di saga, ilare e tenace; quella di una donna che nella vita perde tutto: i mariti (entrambi “maggior pescivendolo” finché hanno potuto), i figli, ovviamente il benessere economico arrivato a un certo punto a livelli di sfarzo (un po’ kitsch) da grandi ricchi, e ciò nondimeno resiste tenacemente; fino a tornare in pescheria e darsi, incinta a quarant’anni, al tradizionale commercio dei suoi passati uomini, ora sempre più diffusamente femminile.

Marino Moretti amava ripetere che nei suoi libri non c’era una vera trama, ed è vero: ci sono qui, semmai, avvenimenti giustapposti in un crescendo di sventure: ivi compreso la scoperta di un rocambolesco scambio di neonati per la distrazione di un’infermiera, venuto alla luce quando i due sono ormai uomini fatti, senza contare l’inquietante presenza di una attrice di non impermeabile moralità, che essendo di origini poverissime prova un certo gusto nel rovinare i pescivendoli. Nel pasticcio dei figli la povera Andreana si ritrova a dover “cedere” quello che credeva suo e amava più di ogni altra cosa al mondo, bellimbusto allegro e spendaccione, avendone in cambio uno gravemente malato di tisi, mentre la figlia maestrina, attratta dall’attrice, fugge per incerta e perigliosa destinazione.

Un bel disastro. L’autore, a farla breve non si nega nulla, nemmeno i deus ex machina del sensazionale. Il motivo è evidente: tutto sommato si diverte, e con grande libertà può finalmente esercitare la sua “malnota arguzia”, che i critici suoi contemporanei (per esempio un Giovanni Titta Rosa) gli riconoscevano in effetti già a partire dall’esordio crepuscolare, accanto, per questo e gli altri romanzi successivi, a una spiccata attenzione realistica: che però non sembra a tutto dire la vera chiave del suo narrare. C’è sicuramente una conoscenza profonda della vita popolare, fra pescatori e pescivendoli,  venata anche di qualche scivolata bozzettistica; e c’è forse una componente di verismo (siamo in anni in cui per lo scrittore si trattava ancora di liberarsi dell’eredità di D’Annunzio), ma L’Andreana, uscito in prima versione a puntate fra il ‘32 e il ‘33 sulla rivista Pegaso e poi nel ’34 in volume per Mondadori (in seguito varie volte corretto e rivisto), è nell’insieme uno di quei libri che inaugurano, anche stilisticamente, un clima nuovo; in parallelo poniamo con l’esordio di Gadda, nel ’31 su Solaria (i racconti della Madonna dei filosofi). E a parte l’uso del dialetto, molto sorvegliato e mai invadente, dove si alternano la parlata romagnola di Cesenatico e quella veneta di Chioggia, è proprio la sintassi spesso centrifuga con un gioco di scivolamenti tra stile alto e basso, oltre a quello che potremmo definire un amoroso distacco da personaggi e fatti narrati, trasfigurati in impennate visionarie, a far pensare a una comune sensibilità quantomeno in fase di formazione.

La Romagna di Moretti, così carnale, è pervasa da un umorismo particolare, un controcanto ironico al rischio del patetico, che pure viene corso nella struttura a feuilleton del romanzo: un occhio alla narrativa popolare, e un altro a un futuro per lui ancora in quel momento ignoto, quello non solo felliniano ma anche dei cosiddetti narratori delle pianure, uno su tutti, poniamo, Ermanno Cavazzoni. E il romanzo non sembra risentire affatto del tempo passato dalla sua prima stesura. Letto oggi, potrebbe essere addirittura una sorpresa.

 

 

 

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