In un successo editoriale che già potrebbe definirsi manifesto contemporaneo della letteratura Black British, l’esordiente Paul Mendez, al suo debutto con “Latte arcobaleno”, descrive le molteplici sfumature del pregiudizio per motivazioni di genere e colore, osservando non soltanto il fenomeno mai sopito del cosiddetto “privilegio bianco”, ma anche quel sentimento di inferiorità che spesso coglie le minoranze nelle realtà meno propense all’integrazione… – L’approfondimento

Quanto pesa, l’intolleranza, sul percorso evolutivo di un individuo?

In un successo editoriale che già potrebbe definirsi manifesto contemporaneo della letteratura nera di derivazione Windrush (dal nome della nave passeggeri che, a metà degli anni Cinquanta, trasportò 482 lavoratori giamaicani sulle coste britanniche, dando il via alle prime relazioni multiculturali su suolo europeo), nel suo vivace debutto Latte arcobaleno (in Italia per Blu Atlantide, nella traduzione di Clara Nubile), l’esordiente Paul Mendez descrive con forza le molteplici sfumature del pregiudizio per motivazioni di genere e colore. E lo fa da un punto di vista parzialmente autobiografico, osservando non soltanto il fenomeno mai sopito del cosiddetto “privilegio bianco”, ma anche quel sentimento di inferiorità che spesso coglie le minoranze nelle realtà meno propense all’integrazione.

Sul punto “non si era mai considerato un ragazzo nero, né si era mai paragonato ad altri neri”, dice l’autore riguardo al figlio di seconda generazione Jessie McCarthy, principale attore del romanzo e suo alter-ego letterario: “Se fosse stato un ragazzo bianco, alto e biondo, sarebbe stato tutto diverso”.

Sì, perché adolescente nero in un’area industriale a composizione prevalentemente bianca (la Black Country inglese) e pure membro attivo nella conservatrice comunità dei Testimoni di Geova, l’educato Jessie cresce in totale assenza di modelli culturali di riferimento, nella più profonda emarginazione, assuefatto sia agli insulti discriminatori dei compagni di scuola (“piccolo biafrano scheletrico”, fra i tanti), sia alla mascolinità tossica del patrigno Graham – “era come se (…) si vergognasse di farsi vedere in giro con lui”.

Latte arcobaleno Paul Mendez

Nulla stupisce, dunque, che una volta allontanato dalla congregazione religiosa per aver manifestato tendenze omosessuali, l’allora diciannovenne Jessie decida di abbandonare le provinciali Midlands per trasferirsi nella cosmopolita Londra, dove esplorare quindi la sua vera identità con tutta l’incoscienza emotiva della prima giovinezza.

Non sarà tuttavia immediato, per l’inesperto protagonista, trovare il proprio nucleo di appartenenza in una capitale dalla spiccata gentrificazione: che si improvvisi cameriere in un famoso ristorante del centro – dove a essere assunto è solo chi ha cognomi “meno neri” – o che si offra prostituto per disinibiti “paparini bianchi” – che però si vergognano anche solo di portarlo a cena -, Jessie percepisce ancora di più la solitudine dell’apparire “diverso” in una società a tutti gli effetti biancocentrica, per l’ennesima volta rivolgendo su se stesso la vergogna introiettata per la propria “neritudine” – “adesso si sentiva come l’uomo nel dipinto (…) nudo, sanguinante e che cadeva dal cielo”.

Ma inaspettatamente sono questi i percorsi risolutivi dell’intera vicenda; ferito, depresso e spezzato, dopo aver consumato un rapporto a rischio con quell’uomo – “forse ha provato a infettarti con l’hiv, dicevano” – Jessie troverà alfine un’opportunità di conforto nelle attenzioni dell’amorevole Owen e nell’amicizia dell’esuberante Jinnie, in ragione del loro affetto riscoprendo tanto un’insospettabile fiducia in se stesso, “poteva scrivere, per dare significato a tutto quello che gli era successo”, quanto un’ormai insperata fiducia nel prossimo “riuscirai a costruirti la tua famiglia. E non c’è posto migliore di Londra, per farlo”.

In un arcobaleno temporale che mette in parallelo il movimento di estrema destra della White Defence League (è il 1957, quando il nonno paterno di Jessie, Norman Alonso, sbarca in Inghilterra per ragioni di lavoro) con il recentissimo movimento attivista del Black Lives Matter (ecco allora il 2016, quando il nipote di Norman Alonso, Jessie McCarthy, trova il coraggio di fare pace con le proprie origini), sul filone narrativo dei romanzi d’inclusione una voce straordinariamente autentica su quanto la condotta discriminante, sia essa volontaria, linguistica oppure inconscia, davvero pesi sulle variabili evolutive di una persona.

Paul Mendez (attualmente impegnato con lo scrittore Alan Hollinghurst, cui è ispirato l’Owen del romanzo, in Italia per Mondadori con La linea della bellezza), in un’intervista rilasciata a i-D Vice ancor prima che il prestigioso Observer inserisse la sua opera prima nella lista dei dieci migliori romanzi di debutto del 2020 ha, in merito, aggiunto: “Ciò che ho fatto con Latte arcobaleno è solo un accenno, un’introduzione a ciò di cui voglio parlare come autore. Voglio raccontare della Black Country, voglio scrivere della povertà, di persone che non sanno di avere un grande potenziale, di coloro per cui Londra potrebbe tranquillamente trovarsi sulla Luna. Voglio anche scrivere di sessualità e amore in quei contesti difficili“.

Con un’ultima nota di congiunzione: che, nell’apparente molteplicità di colori, la luce è sempre una e ha le tonalità tutte, quelle dell’arcobaleno.

Fotografia header: paul mendez - foto di ©Christa Holka

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