L’ultimo decennio è stato scosso da due grandi scandali: quello portato alla luce da Edward Snowden e quello di Cambridge Analytica. La guerra per il possesso dei dati degli utenti dei social network è iniziata e siamo tutti coinvolti. Ecco alcuni libri per capire il potere della condivisione online, cosa succede ai nostri dati quando utilizziamo i social e come si è evoluto il mercato nell’era digitale – L’approfondimento

Viviamo circondati da una nube di dati. Una nebbia fitta che passa dallo smartphone al computer, dal televisore all’assistente vocale e all’ereader. I dati sono ovunque, i dati siamo noi.

È una consapevolezza a cui siamo arrivati lentamente e che molti utenti non hanno ancora introiettato del tutto. Sono quello zio e quel cugino che mandano immagini di ogni tipo nella chat di famiglia, o l’amica chirurga che, dopo una giornata in sala operatoria, carica su Facebook le foto dei suoi cani. Oppure siamo noi, giornalisti, editor, scrittori, abbonati a Netflix e al cineforum in Triennale, che amano informarsi ed essere aggiornati sugli orrori del post-capitalismo ma che non riescono a trattenersi dal fare refresh su Twitter e mettere un cuore qua e un cuore là. Sappiamo di essere, con i nostri like e le nostre preferenze, nient’altro che merce. Ma, si sa, il giorno dopo una sbronza il miglior rimedio è un sorso di alcol, un sorso piccolino: cosa succederà mai, se apro Instagram un secondo, per sconfiggere questo senso di noia?

Non è facile ammettere che l’abuso di uno (o vari) social network potrebbe avere modificato le nostre abitudini. Che potremmo essere stati lentamente riprogrammati, proprio come il computer che usiamo per connetterci, e trasformati in materia commerciale. Ovviamente è successo e sta succedendo ancora, è un fenomeno che coinvolge tutte le fasce della popolazione che usano social network e servizi on demand: si chiama capitalismo della sorveglianza.

Il fenomeno è spiegato piuttosto bene da un documentario che si può guardare proprio su uno di questi giganti on demand che si nutrono dei nostri dati: Netflix. Si intitola The Social Dilemma e propone una serie di interviste a esperti di tecnologie che, con il loro lavoro, hanno contribuito a forgiare i social media come li conosciamo: CEO, founder e venture capitalist coinvolti nello sviluppo di Google, Facebook, Pinterest, Uber, per dirne solo alcuni.

Alle loro voci si alterna la vicenda, fittizia, di uno studente che passa dall’utilizzare troppo internet ad avere un mental breakdown e a venire coinvolto in teorie complottiste. Se questa parentesi di fiction è poco riuscita e un po’ banalizzante (in generale, nelle parti in cui si trattano manifestazioni ed espressioni di dissenso, il documentario, visto da occhi europei, tende a fare di tutta l’erba un fascio), è invece interessante la spiegazione del meccanismo psicologico che conduce all’abuso dei social network.

Ovviamente gli algoritmi non sono neutri, ma rispondono alle esigenze di chi li crea: tenere l’utente connesso il più a lungo possibile e avere la maggior quantità possibile di informazioni su di lui, per poter vendere la sua presenza online agli investitori e alle aziende che scelgono quella piattaforma per pubblicizzare i loro prodotti. Come con una slot machine: si continuano ad aggiungere monete perché, in ogni momento, la combinazione potrebbe essere quella giusta. E, quando questa gratificazione arriva, siamo portati a cercarla nuovamente. Proprio quello che succede scrollando il feed di qualsiasi social: aspettiamo un post che ci interessi, tra i mille che ci scorrono davanti agli occhi, e quando questo arriverà, finalmente gratificati, saremo pronti a ripetere l’operazione.

Edward Snowden, memoir, Longanesi

Quando Edward Snowden ha svelato il programma di sorveglianza digitale di massa – ovviamente illegale – del governo degli Stati Uniti, quella che sembrava una paranoia da nerd è diventata una preoccupazione condivisa. Se parliamo di dati non parliamo del nostro indirizzo di casa, ma di una rete molto più sottile di opinioni, stati d’animo, preferenze che, incrociate, rivelano la nostra storia, la nostra provenienza sociale, quanto guadagniamo e, cosa più importante, quali sono le nostre idee politiche e cosa votiamo. È il consenso politico la merce più ambita. La storia di Snowden la conosciamo tutti: lavorava per la CIA e per la National Security Agency e, nel 2013, dopo una crisi di coscienza, raccolse e consegnò ai giornali una corposa documentazione che dimostrava le attività illegali del suo governo. Snowden racconta la sua esperienza in Errore di sistema (Longanesi, traduzione a cura di Netphilo Publishing), memoir di grande successo in cui, più che rivelare nuove e sconvolgenti verità, ripercorre la propria vita, sin dal primo contatto con internet, quando era ancora un ragazzino e spiava suo padre mentre di notte giocava in salotto con un Commodore 64.

Per accostarsi correttamente alla sua figura è bene tenere a mente che Snowden non si è mai considerato un leaker, bensì un whistleblower, non dunque un divulgatore illegale di atti secretati, ma un divulgatore di illeciti governativi che agisce per il bene della popolazione. Snowden è un hacker, una mente veloce e geniale, ma anche un ragazzone che ama gli Stati Uniti tanto quanto ama Internet e ha sempre creduto nel governo per cui lavorava. Il capitalismo della sorveglianza ha distrutto il web creativo, trasformando Internet, terra delle libertà, nella terra del controllo. Errore di sistema racconta una presa di coscienza con pienezza di dettagli, è un libro ben scritto, persino divertente, che segue la parabola di una vita (al momento arenata in Russia, come in ogni spy-story che si rispetti) con ironia e consapevolezza.

Cambridge Analytica, Christopher Wylie

Cinque anni dopo, nel 2018, Guardian e New York Times fanno scoppiare un’altra bomba: i risultati delle indagini che hanno portato al grande scandalo di Cambridge Analytica, azienda coinvolta nella campagna di Donald Trump per le presidenziali del 2016. Le nostre tracce digitali valgono milioni di dollari l’anno, chi possiede i nostri dati può competere per la merce più preziosa di tutte: la nostra attenzione che, attraverso i social, può essere deviata e manipolata. È, a grandi linee, quanto successo in occasione della campagna di Trump (ma sembra che Cambridge Analytica sia legata anche ad altri sommovimenti politici, per esempio la Brexit). La linea era molto chiara: il target dell’azienda erano gli “indecisi”, quei votanti che risultavano incerti sulla posizione politica da assumere, senza ideologie fortemente polarizzanti. Persone, insomma, che potevano cambiare opinione e far pendere l’ago della bilancia da un lato o dall’altro. Lo scandalo ha coinvolto Facebook, piattaforma su cui si basava il lavoro di Cambridge Analytica, e ha scosso le coscienze: profili falsi e gruppi pilotati hanno condiviso migliaia di fake news per poi darle in pasto a utenti che le avrebbero diffuse a macchia d’olio modificando così le opinioni di una fetta di popolazione.

A svelare a deputati del Congresso poco avulsi al linguaggio tech i retroscena di Cambridge Analytica e della fitta rete che la unisce a Facebook, WikiLeaks, Trump, la Brexit e la Russia, è il ventinovenne Christopher Wylie, sviluppatore che ha progettato il sistema di analisi dati dell’azienda. Anche lui, quando i riflettori si sono abbassati, ha raccolto la sua esperienza in un memoir, Il mercato del consenso (Longanesi 2020, traduzione a cura di Netphilo Publishing), che segue le vicende di Wylie da circa otto anni prima dello scandalo.

Wylie, che definisce Cambridge Analytica come “lo strumento psicologico di Steve Bannon per fottere il cervello della gente” e spiega in maniera semplice e discorsiva, a un pubblico non specialistico, come si possa parlare di un “prima Cambridge Analytica” e di un “dopo Cambridge Analytica”, e di come i modelli usati dall’azienda siano tutt’ora validi, utilizzabili per plagiare user da tutto il mondo. Allo scandalo, insomma, è seguito un grande dibattito, ma non ci sono stati cambiamenti evidenti nella gestione degli algoritmi. Il mercato del consenso denuncia l’urgenza di modificare l’approccio con cui trattiamo i social network, il che significa modificare i comportamenti degli utenti. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a un testo scorrevole, interessante per chi già conosce la vicenda e utile per lettori che hanno bisogno di schiarirsi le idee su determinati meccanismi.

Sempre su Netflix, è possibile trovare un altro documentario, The Great Hack, che segue l’iter di testimonianze di un’altra protagonista, Brittany Kaiser, ex direttrice del business development di Cambridge Analytica. Un prodotto ben confezionato, che, anche in questo caso, a un pubblico europeo potrebbe risultare approssimativo nelle parti in cui vengono trattati episodi di dissenso.

La valle oscura, Wiener, Adelphi

Un terzo e ultimo memoir esplora invece il tema da una prospettiva differente: è La valle oscura, di Anne Wiener (Adelphi 2020, traduzione di Milena Zemira Ciccimarra). La voce narrante si trova, per via della sua esperienza professionale, al contempo dentro e fuori il sistema che racconta: uno scarto che moltiplica i punti di vista e problematizza ulteriormente la questione della raccolta di dati da parte non solo delle big tech, ma di qualunque startup appena lanciata su mercato.

La vicenda prende le mosse quando Wiener, stufa di una vita precaria nel mondo dell’editoria newyorkese, comincia un percorso tra aziende tech, che la porta a San Francisco a lavorare per una startup del settore dei Big Data e le fa scoprire un confine che non è soltanto professionale, ma anche e soprattutto etico. Il punto di vista di Wiener è quello di una persona completamente avulsa dal sistema e che, proprio per questo, nota una serie di storture difficilmente accettabili come parte integrante del mestiere. Questo punto di vista quasi impiegatizio consente all’autrice di avvicinare il lettore a una materia che in prima battuta potrebbe ritenere lontana dalla sua quotidianità. La valle oscura, infatti, non racconta incredibili complotti ai danni dei cittadini, ma un’aberrazione della norma che, al contrario, è semplice e sotto gli occhi di tutti. Il motore, ovviamente, è sempre lo stesso: i soldi. Tanti, tantissimi soldi, quanti Wiener continuando a lavorare nell’editoria non ne avrebbe mai visti.

Odio, Daniele Rielli, Quit the doner

Su Facebook (per Wiener “il social network che tutti odiano”) dopo l’ultima Classifica di qualità del 2020 della rivista L’Indiscreto, si è sviluppata una polemica su quale fosse la categoria giusta per la Valle oscura: se saggistica o narrativa, perché se è vero che i fatti raccontati da Wiener sono indiscutibilmente reali, il testo si avvicina molto alla forma romanzesca, per struttura e tono. D’altronde cos’è l’esperienza umana, se non un’infinita materia narrativa che si autoproduce e, attraverso la pagina scritta, assurge a modello e memento.

Daniele Rielli (molti lo conosceranno come Quit the doner) con il romanzo Odio (Mondadori, 2020) disseziona l’universo dei Big Data – o meglio, di chi lavora con i big data. Rielli cuce la sua storia attorno a un protagonista forte, di cui segue le poche virtù e i tanti vizi, voce narrante – tanto persuasiva quanto respingente – delle proprie sventure. Marco De Sanctis è giovane, spregiudicato, concentrato a conquistare cuore e portafoglio degli investitori con un dispositivo di analisi dei dati raffinatissimo, la macchina perfetta per conoscere desideri e azioni degli utenti prima ancora che loro stessi siano in grado di interpretare le proprie pulsioni. La personalità di Marco De Sanctis viene sviluppata su più piani e, per coinvolgere il lettore in modo trasversale, alla linea narrativa imprenditoriale si intreccia quella più personale, legata a un passato che emerge lentamente dai ricordi del protagonista. Rielli è chirurgico nel raccontare l’universo digital, che maneggia egregiamente come evidenziato dall’utilizzo pervasivo e puntuale di termini di uso quotidiano nella comunità tech, ma sconosciuti a lettori meno avvezzi. In Odio, la riflessione sui Big Data passa dalla prospettiva del fittizio a quella della possibilità. Il giornalista Peter Pomerantsev, parlando di politica russa, scrive che niente è vero e tutto è possibile: Daniele Rielli racconta un mondo in cui tutto è vero prima ancora che accada e, dunque, niente è possibile. Ed è la prossimità di questo futuro che dovrebbe spaventarci: la mattina, quando ci guardiamo allo specchio, vediamo persone o aggregazioni di dati?

 

Altre letture per approfondire:

Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social, Jaron Lanier (traduzione di Francesca Mastruzzo), il Saggiatore 2018

Accanto alla macchina, Ellen Ullman (traduzione di Vincenzo Latronico), minimum fax 2018

Cronofagia, Davide Mazzocco, D Editore 2019

Scansatevi dalla luce, James Williams (traduzione di eFFe), effequ 2019

Il capitalismo della sorveglianza, Shoshana Zuboff (traduzione di Paolo Bassotti), Luiss University Press 2019

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