“Ci sono tanti modi per tornare a quello spazio eterno dentro di noi che è l’infanzia”. Da Antonio Tabucchi a Chandra Livia Candiani, su ilLibraio.it Camilla Ghiotto suggerisce cinque libri che ci ricordano di restare bambini e bambine…
Se alla fine di una giornata di lavoro guardassimo una fotografia di quando eravamo bambini, ci riconosceremmo? Forse no, perché ci sembrerebbe di essere troppo diversi da quello che eravamo allora.
Una delle lettere d’amore di Si sta facendo sempre più tardi (Feltrinelli), romanzo epistolare di Antonio Tabucchi, inizia con la descrizione di un momento particolare: nel cuore della notte un uomo sente cantare un gallo e si sveglia, convinto di trovarsi nella fattoria dove ha passato l’infanzia. L’impressione di essere in un luogo che ha abitato e non abita più l’ha condotto lontano, nel passato. L’uomo, seduto nel buio, scrive nella lettera: “La tua infanzia è lì, presente, accanto al tuo letto, potresti quasi prenderla per mano, ma sì, prendi per mano la tua infanzia, ti dici, dai, abbi il coraggio, anche se è passato tanto tempo, anche se la vita sembra averla sepolta”. Così, l’uomo prende per mano la sua infanzia e la scopre come una bambina che saltella sulla sabbia: davanti a lei c’è il mare azzurro, è un’estate pura. La bambina invita un bambino a fare un girotondo. Mentre i loro padri, si dicono i due, giocano a biliardo, che è pieno di angoli retti, di ostacoli, proprio come la vita, loro girano in cerchio e “il girotondo si fa beffa degli spigoli”, come scrive Tabucchi.
Non si tratta di ignorare gli angoli retti, ma di concedersi, di tanto in tanto, di disegnare dei cerchi, di avere il coraggio di ri-mettersi in gioco.
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Le poesie di Vista dalla luna (Salani) di Chandra Livia Candiani parlano di una bambina che si chiama Io. Sua madre le ha detto che viene dalla luna. Ha i capelli troppo corti per le trecce, cammina con gli stivali di gomma. È in fila con gli altri a scuola, ma la notte parte per il mondo della luna. Candiani descrive con parole cristalline l’infanzia come “luogo assoluto, senza tempo, luogo di transito, in cui non si può sostare, ma tornare sempre”. Dunque, l’infanzia non è un periodo concluso, possiamo rimetterci i vestiti di quando eravamo bambini, anche se abbiamo paura che ci stiano stretti.
In Il mio cuore è un giardino (Mondadori), libro illustrato (da Ilaria Zanellato) di favole per bambini e adulti, Daniel Lumera indica una strada d’accesso al tempo dell’infanzia. In una delle favole, un bambino chiede a un vecchio quanti anni abbia, lui risponde che hanno la stessa età e il bambino non ci crede. Così, il vecchio spiega come fa a restare bambino, suggerendo ai lettori delle pratiche semplici e preziose: “Mi fermo a sentire l’odore della terra, il suono dell’acqua, costruisco aquiloni e girandole che si muovono con il vento. Gioco con i sassi e li lancio nel fiume per contare i salti che fanno. Quando d’inverno arriva la neve, mi sveglio e la guardo in silenzio con la voglia di uscire fuori e giocare”.
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Una poesia di Bello mondo (Einaudi) di Mariangela Gualtieri s’intitola “Sermone ai cuccioli della mia specie”. È stata scritta dopo che l’autrice ha assistito ad alcuni laboratori di teatro per ragazzi. Quest’esperienza la fa precipitare nel tempo dell’infanzia: ricorda a sette anni di essere stata “un filosofo senza parole, un poeta analfabeta”, di aver notato la faccia stanca di suo padre e tutte le facce dei grandi con le loro pene. Si rivolge allora a quei ragazzi che vede e li implora di fare un giuramento per salvare gli adulti dalle loro menti complicate e ingombranti. Il libro è dedicato dalla poetessa alla sé bambina, poi ragazza e infine alla sé del presente, adulta, ma capace di tenere dentro di sé la bambina che è stata. L’opera è costellata di versi che danno un’indicazione a chi legge per riuscire a fare lo stesso.
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Quando la giovanissima protagonista di Una bambina da non frequentare (L’Orma, traduzione di Eleonora Tomassini ed Eusebio Trabucchi), romanzo di Irmgard Keun, vede un uomo con un’àncora tatuata decide che si farà dipingere sulle braccia delle barche a vela e degli scoiattoli. Osserva costantemente gli adulti della sua vita, che sembrano venire da un altro mondo. Dice a sé stessa: “Devo imparare a prendere la vita sul serio. Ma com’è che si fa?”. Certe cose di loro non le piacciono proprio, come la guerra, e mentre cerca di decifrare i discorsi complicati delle amiche di sua madre finisce per distrarsi pensando all’arcobaleno che ha visto una volta e a quanto l’aveva riempita di felicità.
Ci sono tanti modi per tornare a quello spazio eterno dentro di noi che è l’infanzia: essere felici di un arcobaleno, non prendersi sempre sul serio, fare un girotondo contro gli spigoli o un giuramento contro la tristezza. È un gioco che ci può salvare dal buio. Alla fine di una giornata di lavoro, allora, davanti a quella fotografia di noi da bambini, sorrideremo perché sarà come guardarci allo specchio.
L’AUTRICE – Camilla Ghiotto è nata a Vicenza nel 1999. Ha studiato Filosofia all’Università Cattolica di Milano e ha proseguito gli studi all’Università Sapienza di Roma. Nel 2023 è uscito per Salani il suo primo libro, Tempesta. Attualmente vive a Milano, dove sta frequentando il Master in Editoria della Fondazione Mondadori.
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