“Ogni racconto relativo allo sport femminile fa parte della costruzione di idee rilevanti attorno alla società che viviamo e alla cultura a cui riferiamo”. Su ilLibraio.it una selezione di libri, di ieri e di oggi, tra biografie, saggi e memoir, che si soffermano su difficoltose conquiste e storie di successi e cadute. Senza dimenticare che è impossibile non fare i conti con il peso dell’aggettivo “femminile”

Mi sono fermata a pensare. La reazione, la prima, è sempre la stessa da qualche anno: mi chiedo se l’aggettivo sia necessario. Di solito lascio quello che sto facendo, mi distraggo superficialmente con la tastiera del computer o con una voce che arriva da altrove e poi faccio un passo indietro.

Il messaggio recitava: “una lista di libri di sport femminile pubblicati negli ultimi anni”. È una richiesta chiara, non ha mai bisogno di puntualizzazioni, ma l’aggettivo, messo nero su bianco, mi mette in ambasce, perché mi domando sempre se è necessario.

“Femminile” limita e delimita la scelta, quindi il discorso, e da solo si prende in carico la separazione in due gruppi: una parte di là, una di qua. E una volta che si inizia a riflettere sulla divisione, si inizia a pensare a come catalogare i libri di sport femminile: quelli scritti da autrici o giornaliste? Quelli che raccontano un’atleta? Quelli che sono entrambe le cose? È una questione produttiva – chi racconta cosa – oppure di senso? E poi: il punto di vista sta nel corpo o nelle parole?

La mia prima donna

Di Anna Maria Ortese non ho mai sentito parlare: è la metà degli anni Novanta e dove sono cresciuta, un paese di allora circa duemila abitanti, Il mare non bagna Napoli in biblioteca non c’era, figurarsi La lente scura, uscito per la prima volta per Marcos y Marcos nel 1991.

Il ciclismo, va detto, non era uno sport che mi interessava particolarmente in quel momento, ma la sezione del volume dedicata al Giro d’Italia la recupero appena comprato il libro: sono gli inizi degli anni Duemila, sono all’Università, e il volume, già nella nuova edizione Adelphi, raccoglie gli articoli e le riflessioni pubblicati sulle pagine dell’Europeo nel 1955.

La lente scura anna maria ortese

Anna Maria Ortese, “Una scrittrice al Giro d’Italia“, in quelle pagine lascia un monito sull’accessibilità: nel raccontare la sua partenza per seguire il Giro, scrive: “E sulle macchine c’erano tutti i tipi di uomini possibili, magri e grassi, nevrotici e cordiali, riservati o espansivi, chiusi in sé pensando al lavoro da fare, o spensierati e beati, ma tutti ugualmente inaccessibili” e poi, in un dialogo con Vasco Pratolini: ”Ma lei cosa fa qui?” “Il Giro” “Cosa, il Giro?” “Vorrei partire col Giro.” “Per andare dove?” “In Italia col Giro” “E scrivere anche?” “Anche” “Guardi che non si vede niente” “Lo so.”

Gli articoli relativi al Giro d’Italia inseriti in La lente scura raccontano un clima sociale e culturale ben preciso, attorno alle vicende più prettamente sportive. L’autrice descrive un’estate a metà degli anni Cinquanta, vede l’Italia e la interpreta attraverso una competizione, una metafora fatta di squadre, salite e curve, di vincenti e di sconfitti che saranno dimenticati in fretta.

Con i saggi contenuti in La lente scura, Ortese ha risposto per la prima volta alla domanda: il punto di vista sta nel corpo o nelle parole?

Una guida possibile?

Fare una mini-guida esaustiva di tutte le pubblicazioni di sport femminile è ovviamente impossibile, anche perché, spesso, l’interesse su una specialità o uno sport va di pari passo a un evento da cui l’attenzione scaturisce: è l’esempio delle numerose biografie e dei numerosi memoir dedicati alle calciatrici, dopo i Mondiali di calcio femminile giocati nel 2019. Le pubblicazioni, infatti, sono arrivate di conseguenza, sia nel genere della biografia (uno su tutti del 2020: La mia vita dietro a un pallone di Sara Gama, De Agostini), sia in quello del racconto e dell’impresa collettiva (ad esempio The National Team. The Inside Story of the Women Who Changed Soccer di Caitlin Murray, edizione rivista e aggiornata edita Abram Press); è successo anche a Miriam Sylla e al suo Tutta la forza che ho (Rai Libri, 2019) dopo la conquista del terzo posto della Nazionale di pallavolo femminile al Campionato europeo del 2019.

sara gama la mia vita dietro a un pallone

Un minimo comune denominatore per questo gruppo di libri è mettere in ordine gli infiniti pezzi di puzzle che occorrono per arrivare a giocare un Mondiale o un Europeo: inciampare nell’idea universale e ripetuta fino allo sfinimento dalle atlete (e non può essere altrimenti, almeno per ora) che c’è bisogno di un iniziale sacrificio, di una determinazione oltre il normale per raggiungere gli obiettivi massimi, anche solo per dire “Esisto e questo è ciò che so fare”.

Questi racconti danno nomi diversi alla stessa trinità: passione, devozione, determinazione. Pian piano più illuminati, man mano più conosciuti, i percorsi accidentati che le hanno portate a diventare calciatrici o pallavoliste assumono la rilevanza della storia recente che apre una porta al futuro: sarà sempre meno complicato pensarsi calciatrici, ad esempio, e immaginare le declinazioni possibili. Lo afferma Sara Gama stessa in una intervista recente, redatta da Giorgia Bernardini: “Le posizioni devono essere consolidate, perché le posizioni non sono mai acquisite, e bisogna fare di più. Insomma, sarebbe bello che una lasciasse le cose meglio di come le ha trovate. Saranno loro a trovarsi i loro nuovi obbiettivi. Ognuno fa la sua parte”.

tutta la forza che ho myriam sylla

Guardare indietro/1

La radice storica è il punto di partenza di libri come Ladies Football Club di Stefano Massini (Mondadori, 2019), Giovinette di Federica Seneghini (Solferino, 2020), oppure Dust Bowl Girls di Lydia Reeder (Algonquin Books, 2017). Essi esplorano la nascita di una squadra: Massini della Ladies Football Club, Seneghini del Gruppo Femminile Calcistico Milanese e Reeder delle Cardinals, la compagine di basket femminile universitario dell’Oklahoma.

Nel romanzo di Stefano Massini la protagonista è la squadra delle Ladies Football Club, undici lavoratrici di una fabbrica di armi inglese durante la Grande Guerra. Le bombe prodotte dalla Doyle & Walkers Munizioni di Sheffield sono rotonde, fanno venire voglia di calciarle. Una operaia, Violet, lo fa: è un gesto istintivo, naturale, e fondativo. È il 6 aprile 1917 e ha inizio il calcio femminile. Le Ladies Football Club sono raccontate mentre invadono travolgendolo un territorio prettamente maschile e mentre fanno un atto sovversivo, nonostante venga derubricato come una parentesi, aperta soltanto perché c’è la guerra e gli uomini sono al fronte, ma poi chiusa e repressa, quando tornerà tutto come prima.

Ladies Football Club di Stefano Massini

Quindici anni dopo circa, nel romanzo di Federica Seneghini, le calciatrici hanno una missione: la pratica sportiva è, in ogni gesto e in ogni personalità, politica e cercano un’apertura, un consenso. Vogliono evitare di giocare a calcio senza pubblico e di avallare in tal modo la loro invisibilità, e vogliono ignorare la discussione sul fatto che il corpo femminile debba essere protetto dai colpi e dalle pallonate, per non mettere a rischio la sua fertilità. La loro missione è pratica – giocare una partita con il pubblico – e il fine è storico.

L’11 giugno 1933 organizzano la prima partita di calcio femminile d’Italia, e con il pubblico perché sono diventate famose, nel frattempo, ma rimarrà l’unica volta, almeno fino a ben dopo il dopoguerra.

In Dust Bowl Girls Lydia Reeder ripercorre la storia del suo prozio, Sam Babb, il primo allenatore a tempo pieno delle Cardinals dell’Oklahoma Presbyterian College, una squadra di basket femminile AAU (dell’Amateur Athletic Union) della regione del Dust Bowl degli Stati Uniti d’America.

Sono gli anni della Grande Depressione e la storia prende le mosse dalla formazione della squadra – Sam Babb passa di fattoria in fattoria per reclutare giovani donne talentuose offrendo una istruzione al college in cambio della prestazione sportiva – per raccontare i metodi di allenamento, i successi sportivi ma soprattutto la cornice storica: alla fine degli anni Venti le donne devono essere tenute lontane dallo sport, ritenuto malsano e non adatto allo sviluppo della femminilità.

Le storie di Ladies Football Club, di Giovinette e di Dust Bowl Girls diventano un modello e una premessa valida per tutti gli sport: il corpo sportivo femminile in pubblico dovrà essere sempre meno un corpo percepito come indecente.

Guardare indietro/2

Donne in bicicletta di Antonella Stelitano (Ediciclo, 2020) ripercorre la storia della bicicletta in Italia, come strumento di emancipazione delle donne e come movimento sportivo, che ha contribuito all’eccellenza del ciclismo italiano.

Donne in bicicletta di Antonella Stelitano

Attraverso immagini, analisi e studi d’epoca e le interviste ad alcune protagoniste, Stelitano racconta la bicicletta come indipendenza per le donne in varie epoche – permetteva di muoversi senza aspettare la carrozza di turno, di contribuire alla causa partigiana, nel secondo dopoguerra di andare a lavorare, di recarsi a teatro per le attrici di inizio Novecento –  e come, dunque, uno degli sport più sovversivi, quando declinato al femminile: presupponeva un abbigliamento maschile (il pantalone), l’allenamento aumentava la muscolatura delle gambe, in questo modo lontane dal canone di femminilità largamente accettato e, come annota Stelitano, se si gareggiava e si vinceva, si perdeva il lavoro, perché nessuno voleva delle dipendenti o delle operaie sulle pagine dei giornali.

Brenda Elsey e Joshua Nadel in Futbolera

Brenda Elsey e Joshua Nadel in Futbolera (University of Texas Press, 2019) raccontano la storia del calcio femminile latino-americano, soprattutto di Brasile e Costa Rica. L’idea centrale del libro è che il calcio femminile in Sudamerica è uno strumento utile per comprendere non solo l’affermazione più moderna dello sport, ma anche la cornice storica entro cui si sono sviluppate l’identità di genere e il sistema economico, e un certo favore del pubblico. Futbolera mette in luce soprattutto due cose: la storia del calcio femminile latino-americano – e tra le righe di tutto lo sport femminile – è la storia di lampi vistosi ed esplosivi seguiti da repressioni fortissime e di un movimento culturale che ha radici lontane, sempre più lontane di quanto si immagini di solito.

Guardare accanto

È il 16 agosto 2019 e sul Guardian nella sezione “Football” leggo l’articolo di Nicky Bandini dal titolo: I’m Nicky Bandini – and I’m still a sports writer.

Bandini raccontava ai suoi lettori che per tredici anni aveva scritto gli articoli che tanto apprezzavano sotto un nome differente, Paolo Bandini: faceva coming out come transgender, “but my love of storytelling remains”, dichiara.

Per The Guardian, Nicky Bandini scrive di Serie A maschile e leggere il suo ultimo articolo a firma Paolo Bandini e poi quello successivo come Nicky Bandini, se non fosse per il coming out nel mezzo, è per me la medesima esperienza. Per Bandini, invece, in nome della rappresentazione corretta di sé, la differenza è enorme.

Dust Bowl Girls Lydia Reeder

Femminile

Ogni racconto relativo allo sport femminile fa parte della costruzione di idee rilevanti attorno alla società che viviamo e alla cultura a cui riferiamo. Le parole di Nicky Bandini e il percorso raccontato dai libri inseriti in questa lista – molto poco esaustiva e molto partigiana – hanno in comune una necessità di conoscenza impellente, che si forma nell’oggi e una storica, da cui il passato prossimo discende, tanto nelle conquiste quanto nelle difficoltà.

Raccontare una storia di sport femminile significa fare i conti con questo peso, premessa necessaria, tutto contratto in un aggettivo, “femminile”, imprescindibile: accende la luce e afferma una posizione del racconto, un corpo e una parola, un punto di vista complessivo.

L’AUTRICE – Elena Marinelli è autrice del romanzo Il terzo incomodo (Baldini+Castoldi, 2015) e di Steffi Graf. Passione e perfezione (66thand2nd, 2020). Collabora con ilLibraio.it e L’Ultimo Uomo, ha ideato Volée – Un podcast sul tennis.

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