“A me questo libro è servito per fermare nel tempo la persona che in quest’epoca sta a galla. Senza braccioli. E ha imparato a nuotare da una settimana…”. In occasione dell’uscita del volume “Il saper sopravvivere. Un improbabile galateo contemporaneo”, abbiamo incontrato l’autrice, Giada Zappa, stylist e influencer. Con lei abbiamo parlato di esposizione (“Quando hai una voce, devi stare attento a cosa dice… ma mi domando, com’è che siamo diventati così permalosi?”), di relazioni (“La cosa importante è riconoscere i propri pattern. Il mio è che sono una disperata sottona”), di Milano (“È una città in cui si sopravvive quando ci si rispetta”) e anche del “sacrosanto diritto a fare schifo” – L’intervista

“Non è questione di altezza, peso, tonicità, lineamenti o sezione aurea, ma solo di quanto hai imparato dalle esperienze negative. I fallimenti sono la vera chiave”.

Giada Zappa, classe ’93, segno zodiacale Vergine, diplomata al Liceo Classico (“aver fatto il classico è un po’ come avere una relazione tossica, perché di fatto tu hai pianto per cinque anni, magari ti hanno anche bocciato, ti è venuta la gastrite da stress, però quando gli altri ne parlano male tu te lo difendi”), stylist e influencer con oltre 100mila follower, apre così il suo primo libro.

Il saper sopravvivere. Un improbabile galateo contemporaneo (Mondadori Electa) è un manuale dedicato a “tutt* coloro che nella vita si sono sentit* in controtendenza almeno una volta”.

Una raccolta di consigli pratici per superare le più terribili situazioni sociali, in cui l’autrice sceglie di rivolgersi a un femminile plurale “per indicare una moltitudine di generi” – perché, dopo migliaia di anni di maschile indifferenziato, “è arrivato il momento di dare il cambio”. Spicca la dedica “ai gemelli Di Versi per Mary” (“volevo che la gente sapesse che è Di-Versi e non Diversi”).

libro Giada Zappa

Giada Zappa, perché un galateo contemporaneo? Pensa che ce ne sia bisogno?
“Nella vita non c’è bisogno di niente, soprattutto di una persona che ti dice cosa devi fare. Questo è un manuale sbagliato”.

In che senso?
“Racconto cos’è successo a me perché magari è utile avere una prospettiva diversa”.

Lei parla di se stessa come di un “pesce fuor d’acqua”.
“Siamo tutti pesci fuor d’acqua, secondo me. Non è tanto per rincorrere l’ideale del ‘tu sei unico, sei speciale, siamo tutti fili d’erba’, non voglio cadere in quella retorica lì. Ma il mondo dei social a tratti è davvero troppo positivo, troppo patinato. Non mi sentivo rappresentata. Il mio profilo è un’estensione del mio diario segreto. Parlo di quello che voglio, non mi vergogno di dire cose che, dopotutto, non fanno male a nessuno”.

È stato difficile essere esposta al giudizio degli altri?
“Io non ho hater, me ne saranno capitati tre”.

Perché, secondo lei?
“Gioco molto su una grande verità: fingiti scema. Funziona. Cerco sempre di non prendermi sul serio e questo libro ne è la prova. È ironico, sarcastico. Non posso vendere una vita di certezze patinate, perché faccio più schifo di tutti. Anche sul mio profilo sto attenta a non toccare temi che possano far sentire gli altri vulnerabili. Vorrei che tutte le persone che mi seguono si sentissero rappresentate”.

In questo periodo storico l’attenzione su ciò che viene detto pubblicamente è molto alta, sbagliare è facile. Lei come vive questo tipo di esposizione?
“Quando hai una voce, devi stare attento a cosa dice la tua voce. Ma mi domando, com’è che siamo diventati così permalosi? Siamo cresciuti con i Simpson e con South Park. È difficile essere ironici senza oltrepassare il limite, e tutti possiamo sbagliare. Anche il Papa ha tirato uno schiaffo a una signora”.

Qual è il suo limite?
“I miei genitori mi seguono su Instagram, e ho lanciato il box ‘Cose che puoi dire sia durante il sesso sia a Gardaland’ con mia madre di fianco, per dire. Finché so che sto dicendo qualcosa che non ferisce nessuno, la dico. Quando invece forse sì, mi freno. Ma non la vivo con ansia, nel mio profilo Instagram mi sento sicura. È la mia bolla. I miei follower mi somigliano, mi sento protetta. Per il libro, invece, sono più spaventata”.

Perché?
“Il mio pubblico mi conosce e mi apprezza perché sa in che modo dico le cose, conosce il mio tono di voce. Ho paura che fuori dalla mia bolla il libro sia fraintendibile”.

Nel libro dipinge un tipo di donna molto emancipata, pur non parlando mai esplicitamente di tematiche femministe.
“Sono d’accordo con tutte le tematiche di attivismo, ma credo ci sia un limite su chi le deve portare avanti. Non mi posso assumere questa responsabilità, non è il mio campo, non avrei le competenze. Ma sono princìpi che applico nel mio quotidiano. Questo libro è stato scritto per tutti, per gli esseri umani senza distinzioni di sorta. Volevo che le persone si sentissero capite e non giudicate”.

Lei sul suo profilo propone outfit e mostra i suoi acquisti. Dopotutto, è il suo lavoro. Anche la moda è un campo in cui è facile sentirsi giudicati.
“Sui social noto una certa spocchia nei confronti dei follower, gli account che parlano di moda si posizionano su un livello separato dal daily wear. Io mostro come mi vesto, ma poi non pretendo di insegnarti come vestirti. Se vuoi mettere le calze color carne, mettile. Devi piacere a te, non ci sono regole universali”.

Quest’idea di libertà si percepisce soprattutto nella narrazione che fa delle relazioni. Molto lontana da quella comune, fatta di poste del cuore molto impositive e consigli davvero specifici…
“Ho avuto tantissime relazioni, e sono sempre stata molto libera. Ho frequentato tanti uomini, ho avuto tanti fidanzati, ho fatto tante esperienze. La cosa importante è riconoscere i propri pattern. Il mio è che sono una disperata sottona. Rientro in questa categoria, non voglio nascondermi”.

È una categoria demonizzata.
“Sì, nelle poste del cuore c’è spesso chi ti dice come comportarti. Come se l’amore fosse un tecnicismo. Ma io odio i tecnicismi, mi ammazzano. Il consiglio medio su queste tematiche è: ‘deve essere lui a chiederti di uscire’, ma perché? Io i miei fidanzati li prendo sullo sfinimento. La regola d’oro è che a loro non devo piacere per niente, e ce la faccio sempre a conquistarli. Sono ‘go big or go home’ anche se, come dico spesso, chi dice ‘go big or go home’ sottovaluta la mia voglia di tornare a casa”.

Quindi non è vero che “se ti vuole te lo dimostra”.
“Se tu incontrassi l’uomo più fantastico del mondo in un periodo stressante a lavoro, forse non ci faresti neanche caso”.

Vive le relazioni con tranquillità.
“Esatto. Possono andare bene come male, ma bisogna sempre ridere dei propri fallimenti. C’è da dire che ho un’attrazione per le sfighe, becco uomini che fanno cose irreali”.

Per esempio?
“Uno mi ha lasciata mentre si faceva l’aerosol. Un altro mi ha tradito e l’ho scoperto perché si è ordinato un kebab con la mia carta registrata su Just Eat. Uno che frequentavo tanti anni fa mi ha scritto ‘troia’ sulla porta di casa”.

Un curriculum niente male.
“Ogni uomo che ho avuto mi ha lasciato una perla. E racconto le mie esperienze anche per far capire che non c’è una strada dritta da seguire. Cerco di mostrare che l’amore non è perfetto, come non lo siamo noi. Sono relazioni, e anche il fatto di scherzarci su è catartico, è una liberazione. C’è anche uno stigma, una vergogna, nel dire di aver fallito, nell’ammettere che una relazione è andata male. Anche perché poi ti rispondono, ‘l’importante è non cercarlo’. E perché non dovrei cercare?!”

Infatti sul suo profilo uno degli argomenti più caldi è Tinder.
“È un social a cui voglio molto bene. Sono cintura nera di Tinder”.

C’è ancora molta diffidenza però. Anche qui, molto giudizio.
“Tutto si riconduce a un impianto maschilista che purtroppo ci portiamo dietro. Mi sono scaricata Tinder appena arrivata a Milano, dieci anni fa. Ho pagato Tinder Gold con la Postepay di mio fratello minorenne. E ricordo ancora la telefonata di mia madre che mi accusava di aver scaricato ‘l’app per scopare'”.

Da molti viene ancora considerata così.
“La società ha un substrato di bigottismo fortissimo. Su Tinder trovi di tutto, dipende da cosa cerchi. Ma anche se fosse solo sesso, qual è il problema? Anche le donne ne hanno voglia. Vivo l’amore in tutti i suoi aspetti e sono una grande fan del sesso, quello fatto bene, ovviamente consensuale. Ho delle pulsioni e le rispetto, siamo in un momento storico in cui è giusto farlo”.

Il suo libro s’intitola Il saper sopravvivere, e allora le chiedo: come si sopravvive al rifiuto?
“Io odio i no. Sono la tipica: ‘no’, ‘perché no?’. Non voglio avere paletti, mi piace sempre immaginare una possibilità in cui si può fare. Certo, bisogna credere ai no, ma anche capire perché stai ricevendo un no. Quando però hai a che fare con gente che sparisce o simili, lì deve entrare in gioco l’amor proprio. Mia nonna diceva: ‘pensa allo sdegno, ‘che l’amore ti passa’. Ai no sopravvivi quando riesci a essere sia egoista, sia a metterti nei panni degli altri”.

E a Milano come si sopravvive?
“Dipende da dove parti, da chi sei, da cosa fai. È una città in cui si sopravvive quando ci si rispetta. Bisogna cercare di entrare nell’ottica che la città è lì, sopravvive, e tu non fai nessuna differenza, perché continuerà ad andare avanti”.

Come si sopravvive a un date terribile?
“Cerco di prendere il bello da ogni situazione, e di non farmi offrire niente. Mi piace pagarmi il mio, è una cosa che faccio per mia scelta personale. Sono una fan dell’educazione e sono anche una fan dell’accettare i propri limiti. Se vedi un cafone, t’inventi una scusa e te ne vai. Non bisogna essere accondiscendenti solo perché sei a un appuntamento. Educazione, sorrisone e via”.

E invece come si sopravvive alle aspettative della società?
“Viviamo un momento storico in cui gli ideali di perfezione sono molto presenti, e il continuo confronto con gli altri ci spaventa. Siamo la prima generazione, un po’ come Gli Sdraiati di Michele Serra, che assapora davvero il fallimento. Non partiamo da basi solide. Alle aspettative si sopravvive ignorandole, e capendo che non esiste alcun ideale di perfezione da perseguire a tutti i costi”.

Nel libro parla di “sacrosanto diritto a fare schifo”.
“Esatto. Basta calendari motivazionali che ti dicono che puoi farcela. Per me il segreto è: dignità nel fallimento. A me questo libro è servito per fermare nel tempo la persona che in quest’epoca sta a galla. Senza braccioli. E ha imparato a nuotare da una settimana”.

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Fotografia header: Giada Zappa (nella foto di Nicola Cordì)

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