Una conversazione a distanza tra Pier Paolo Pasolini e Mario Mieli, attraverso le loro opere e le loro irripetibili esistenze. Due modi diversi di essere eccentrici, che sembrano, però, illuminarsi a vicenda. “L’invenzione del diverso di Silvia De Laude è uno di quei rari saggi di critica letteraria che si leggono tutti d’un fiato. Il libro si presenta come un esperimento di lettura insieme rigorosamente filologico e dichiaratamente politico, che restituisce a “Petrolio” e al “Risveglio dei Faraoni” la loro radicale eccentricità rispetto al panorama coevo del romanzo italiano…

L’invenzione del vero di Silvia De Laude è uno di quei rari saggi di critica letteraria che si leggono tutti d’un fiato. Pubblicato dal Saggiatore, De Laude mette uno di fronte all’altro Pier Paolo Pasolini e Mario Mieli, due autori che, per estrazione sociale, formazione, temperamento, storia politica, sembrano i poli opposti di una costellazione impossibile da ricomporre. E tuttavia De Laude ricorda come “ognuno a modo suo, entrambi hanno fatto del proprio corpo, e della messa in scena del proprio corpo, un completamento delle loro opere” e come questa teatralizzazione dell’io produca “un’inattesa rete di somiglianze e specularità, che porta sul terreno dell’identità fluttuante, dell’androginia, dell’iniziazione”. Fin dall’incipit, il libro si presenta dunque come un esperimento di lettura insieme rigorosamente filologico e dichiaratamente politico, che restituisce a Petrolio e al Risveglio dei Faraoni la loro radicale eccentricità rispetto al panorama coevo del romanzo italiano.

L’invenzione del diverso

 

Due modi diversi di essere eccentrici, tuttavia, e che sembrano però illuminarsi a vicenda: De Laude, infatti, propone di leggere i due testi “in diffrazione”, l’uno attraverso l’altro, nel solco metodologico indicato notoriamente da Donna J. Haraway: non un innocuo gioco di analogie, ma un metodo che insiste sulle interferenze, sugli scarti, sulle zone d’ombra in cui i percorsi di Pasolini e Mieli si toccano, si rispecchiano e si respingono.

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Dentro questo orizzonte la categoria del fallimento diventa decisiva. Non il fallimento come semplice sconfitta, ma come passaggio obbligato di ogni racconto iniziatico: «Per ‘fallimento’, però, intendo qui lo strappo, la rottura, il deragliamento o il cono d’ombra che precede ogni iniziazione e ogni racconto di iniziazione”. Il disastro biografico, politico, storico non è così un punto d’arrivo, bensì il momento da cui ripensare il soggetto e il desiderio, trasformando il naufragio in passaggio di soglia.

A partire da qui il saggio procede per una serie di capitoli brevi, dal titolo spesso ironico o allusivo, che compongono un itinerario volutamente frammentato. La forma stessa del libro rispecchia la struttura ad appunti di Petrolio e il montaggio erratico del Risveglio dei Faraoni: più che un discorso continuo, De Laude costruisce un mosaico di micro-saggi che alternano inquadrature teoriche, scavi intertestuali, parentesi storico-politiche, intermezzi iconografici. Il lettore ha la sensazione di assistere a un laboratorio critico in atto più che di consultare un trattato chiuso: ipotesi dichiarate come “indiziarie” vengono proposte, verificate, aggiustate, in un movimento che asseconda la natura incompiuta e centrifuga dei due romanzi.

Copertina di Petrolio di Pier Paolo Pasolini

Il cuore del libro sta nei capitoli in cui la riflessione teorica si stringe sulle scene narrative.

All’inizio De Laude avverte che “si parlerà in queste pagine di sdoppiamenti, fratture e ricomposizioni dell’uno; di diavoli, più o meno cortesi; di alchimia; di voli cosmici”, e ancora di “un bambino nato da un uomo che caca” (ma la citazione è da Pasolini), e mantiene la promessa. Così, mettendo in parallelo la scissione di Carlo in Petrolio e la voce sdoppiata di Mario‑Maria nel Risveglio dei Faraoni, il tema dell’androginia esce dall’astrazione per farsi gesto concreto, riscrittura dei corpi e delle grammatiche. I cambiamenti di sesso, le trasformazioni attraversano tutto il discorso; se in Petrolio i due Carli diventano donne, nel romanzo di Mieli, ci troviamo davanti un io narrante, fin dall’inizio, oltre il binarismo: il percorso di Mario‑Maria è un passaggio fra maschile e femminile che è insieme esperienza erotica, iniziatica e conoscitiva. Entrambi i personaggi sono attraversati da sogni, visioni, allucinazioni; ed è proprio il passaggio all’androgino che li fa accedere a un “superiore regime di verità” (sono parole di De Laude), spostando la questione dell’identità dal terreno psicologico a quello, più instabile e vertiginoso, del mito e del sacro.

A sostenere questo gioco di specchi non è soltanto la trama delle due opere, ma una fittissima rete di letture e riferimenti condivisi. Gli excursus su Mircea Eliade, Georg Groddeck, la psicoanalisi eterodossa, la cultura dei collettivi omosessuali milanesi servono a De Laude per ricollocare Pasolini e Mieli dentro il loro paesaggio intellettuale.

Vediamo da un lato il Pasolini del viaggio a New York che guarda con sospetto al nascente movimento di liberazione omosessuale, dall’altro un Mieli che quel movimento lo abita dall’interno, spingendone il lessico politico verso un’utopia panerotica e visionaria.

In questo intreccio, quei moderni viaggi iniziatici che sono tanto Petrolio quanto Il risveglio dei Faraoni assumono la forma di itinerari conoscitivi in cui le fratture dell’io, le esperienze estreme del piacere, le visioni allucinate trasformano il “nero più terrifico” del fallimento in possibilità di rinascita e di conoscenza superiore. Il motivo alchemico‑egizio del romanzo di Mieli, la centralità del mito in Pasolini, la nascita anale e il riso sacro di Petrolio vengono letti come figure differenti di una stessa tensione a ricombinare sessualità, politica e sacro fuori dalla grammatica eteronormativa.

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Uno dei meriti maggiori del volume è tenere insieme, senza confonderli, il piano politico e quello stilistico. I discorsi dedicati alle “bestie da stile” (è il titolo del capitolo 14) mostrano come Petrolio e Il risveglio dei Faraoni non si limitino a rappresentare il diverso, ma lo inventino precisamente nel punto in cui incrinano le norme del raccontare. Alla linearità del romanzo di formazione tradizionale si sostituisce una forma volutamente indeterminata, libera, mobile, autoreferenziale, dove anche la voce narrante – il Carlo pasoliniano non meno del Mario‑Maria mieliano – è esposta a un continuo auto‑sabotaggio.

La riflessione sulla differenza “cosmica” fra possedere e essere posseduti (come da titolo del capitolo 25), sul rovesciamento dei ruoli di genere, sull’oscillazione fra sadismo e martirio non resta mai puramente concettuale: passa per scene concrete, per dettagli corporei spesso perturbanti, per una lingua che mescola registri alti e bassi, filologia minuziosa e gergo di movimento, liturgia e pornografia.

I ventisei capitoli numerati del saggio compongono, così, un percorso più guidato di quanto l’aria disinvolta lasci pensare: dalla definizione delle categorie (fallimento, iniziazione, androginia) si passa alle biografie intellettuali dei due autori, quindi alle letture ravvicinate delle scene chiave dei romanzi, fino alle pagine finali su Satyricon e sul «narratore mitomane» (come lo definì Gian Biagio Conte), che proiettano il confronto Pasolini/Mieli pienamente dentro il campo del romanzo moderno onnivoro e cannibale.

Al tempo stesso, la presenza di parentesi e di deviazioni volontariamente eccentriche costruisce una spazialità quasi labirintica, che chiede al lettore una certa complicità interpretativa ma lo ripaga con una notevole ricchezza di piste, documenti, confronti. Così De Laude riesce a dialogare con prospettive diverse (dall’antropologia, alla psicanalisi, alla storia dei movimenti politici) e, soprattutto, con molte traiettorie della teoria queer contemporanea, e lo fa dalla posizione specifica di una filologa attenta al dettaglio testuale, e da quello apre squarci che mostrano che l’invenzione del diverso è anche una pratica critica.

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