Il male è una seduzione, un’attrazione pericolosa: con “Luna Rossa” Jo Nesbø spinge lettori e lettrici sull’orlo del precipizio, relitti alla ricerca di un perché, costi quel che costi. Al suo tredicesimo romanzo, il protagonista, Harry Hole, è ancora più febbrile, preda di un impulso irrefrenabile, incapace di stare fermo, di accontentarsi, famelico come un animale che fiuta la preda, spiritato perché solo lui sa quanto questa indagine sia una questione di vita e di morte
“Il disco non era nero, bensì aveva assunto un colore rosso, misterioso. Sembrava una medusa urticante pallida, esausta, con la luce appena sufficiente per sé e nemmeno un raggio per gli esseri umani giù sulla Terra”.
L’ispettore della squadra anticrimine di Oslo è caduto nell’abisso: Harry Hole è un alcolizzato, scacciato dai suoi simili, senza soldi, ossessionato dal passato. Ha perso tutto, Rakel, l’amore della sua vita, il suo amico Bjørn, il rispetto di sé, la possibilità di avere progetti, tranne uno, arduo anche per lui: bere fino a uccidersi, in un bar qualunque di Los Angeles. Nei suoi occhi chiari iniettati di sangue c’è la fatica di una vita in frantumi, il suo viso attraversato da una cicatrice color fegato racconta tante battaglie e tante sconfitte, nelle sue mani non c’è nulla, non ci sono giorni, né futuro, solo un bicchiere.
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L’incontro con Lucille, una vecchia attrice che si è impegolata in un enorme debito con il cartello della droga, gli porta una nuova, seconda possibilità. Aiutare Lucille a pagare tutto e salvarsi la vita, vuol dire per Harry riaffrontare i suoi demoni: ci sono soldi, troppi, da mettere insieme, e tempo, troppo poco, per farlo, c’è la paura di un ennesimo tradimento, una nuova colpa di cui farsi carico, un altro innocente da deludere, ma soprattutto c’è un altro personaggio disgustoso a cui legarsi.
In Norvegia il miliardario Markus Røed è indagato per l’assassinio brutale di due ragazze, che erano state ospiti a una sua festa, e forse anche altro. Per dimostrare la sua innocenza, Røed vuole Harry Hole, la leggenda, per darlo in pasto ai media, esporlo per guadagnare le prime pagine, e ripulirsi reputazione e affari. Harry accetta, per soldi, per Lucille, perché non ha altro, e torna a Oslo, piena per lui di ricordi dolorosi. Ritrova i suoi luoghi, le ferite mai rimarginate, gli amici persi, Katrine Bratt, e un omicida crudele e psicopatico.
“Harry tornò a casa dalla strada più lunga, attraverso Bislett e giù per Sofies gate, dove un tempo abitava. Passò da Schrøder, il caffè che un tempo era stato il suo rifugio. Salì in cima a St Hanshaugen, da dove poteva ammirare la città e il fiordo di Oslo. Niente era cambiato. Tutto era cambiato. Non c’era modo di tornare indietro. E non c’era nemmeno modo di non tornare indietro”.
Il male è una seduzione, un’attrazione pericolosa: con Luna Rossa (Einaudi, traduzione di Maria Teresa Cattaneo, Stefania Forlani, Eva Kampmann) Jo Nesbø ci spinge tutti sull’orlo del precipizio, relitti alla ricerca di un perché, costi quel che costi. Al suo tredicesimo romanzo, Harry Hole è ancora più febbrile, preda di un impulso irrefrenabile, incapace di stare fermo, di accontentarsi, famelico come un animale che fiuta la preda, spiritato perché solo lui sa quanto questa indagine sia una questione di vita e di morte, mentre le lancette dell’orologio girano. Il suo è un formicolio, una mania, e un bisogno di vendicare, senza nulla da perdere.
Questa eccitazione infernale lo fa sentire come un serial killer mai soddisfatto, come quello che si trova a cercare, sulla base di indizi contradditori, e macabri, in una sequenza intricata di incastri e giochi di specchi, depistaggi che Jo Nesbø crea per deviarci dalla strada, con un controllo prepotente e sadico della narrazione.
In un momento così, di fronte alla degenerazione del male, si può giocare solo con le carte che si hanno in mano, e Harry sa di dover, ancora una volta, travalicare ogni confine, e gestire le cose a modo suo. Lo fa con una squadra improbabile, con l’amico psicologo Aune, malato terminale, con Øystein, il tassista spacciatore, e con Truls, il poliziotto corrotto. Hanno dieci giorni per risolvere il caso, la polizia contro, e tanti conti da saldare.
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“Già mentre camminava lungo il corridoio Katrine sentì il fetore di vomito. Si fermò sulla soglia. Da sopra le spalle dei due componenti della squadra medica scorse il viso dell’uomo riverso sul pavimento. O meglio, non un viso, ma una superficie insanguinata, la parte anteriore di una testa dove soltanto i resti bianchi del setto nasale non erano una poltiglia di carne rossa. Come… Katrine non sapeva da dove le venisse il termine… una luna rossa di sangue”.
I parassiti si insediano dentro le vittime e crescono, sempre di più, fino ad annientarle: sono l’odio che si è alimentato negli anni, una vendetta lucida e spietata, sono il bisogno di emergere a spese degli altri, il cinismo dei media e degli avvocati, sono la spregiudicatezza degli uomini di affari, la promessa di estasi di cui si nutrono gli spacciatori. Tutti parassiti di un mondo rotto dentro, simili a quei microrganismi che alloggiano nel loro ospite per infettarlo e distruggerlo.
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C’è un senso soffocante e disperato, di ultima possibilità, di corsa affannata contro il tempo, contro una sentenza definitiva, c’è il delirio che abbraccia la biologia, affonda le unghie nelle violenze del passato e le restituisce in accanimento raccapricciante, c’è però anche spazio per l’amore, quello pulito che sta nascendo, quello che permane nonostante la morte e quello che non può nascondersi, così evidente agli occhi e al cuore, e viscerale.
Jo Nesbø scrive di pulsioni e odio, di Edvard Munch e Romeo e Giulietta, di teste mozzate e parassiti mutati, di amore e rimpianti, con la potenza sfrontata di una rock star, e si prende tutta la scena del genere crime, ancora una volta. Mission accomplished.
Harry Hole è ben lontano dal dire addio ai suoi fantasmi: Luna Rossa lo fa tornare, anzi resuscitare, consacrandolo in tutta la sua durezza lacerata, tetra e shakespeariana: “La colpa è l’unica cosa che mi rimane“.
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