Il protagonista di “Lingua madre”, romanzo d’esordio di Maddalena Fingerle, odia le “parole sporche”, e per questo non ama la città in cui è nato, Bolzano, con la sua retorica sul bilinguismo e l’apparente armonia identitaria. Nella sua riflessione per ilLibraio.it, l’autrice, che nel libro riflette sul valore delle parole e sul loro potere, sottolinea: “Ci sono alcune persone che quando parlano mi sfamano. Non è una metafora, non è retorica: davvero a me passa la fame…”

“Ascolto il rumore dell’acqua e sto bene, anche se ormai le parole tedesche si stanno lentamente macchiando, è inevitabile, temo. Ma non sono sporche come a Bolzano, per fortuna. Un po’ è anche colpa mia perché le ho tradotte in testa. Fremdschämen è una parola che non c’è in italiano, ma con cui riesco a capire tanto di quello che provo per mia madre: significa vergognarsi per qualcun altro. E poi c’è anche la Schadenfreude, che mi fa pensare a mia sorella, che è felice quando agli altri succedono cose brutte. In italiano si traduce con stronza. La mia parola preferita, al momento ancora pulita, è Sollbruchstelle. Indica un punto di rottura prestabilito che può essere quello delle tavolette di cioccolata e per me significa confine”.

Ci sono alcune persone che quando parlano mi sfamano. Non è una metafora, non è retorica: davvero a me passa la fame. Succede quando la parola, l’inflessione, la voce, la precisione di linguaggio mi affascinano. Succede quando qualcuno dice una cosa che avrei voluto dire io, ma non ero in grado di dirla. Ho provato più volte a fare piani dietetici partecipando a corsi universitari, di traduzione, di scrittura, e ha pure funzionato, ma dopo un po’ la magia spariva. Mi succede sia in italiano che in tedesco, anche se non sono bilingue.

All’inizio, quando studiavo tedesco, le parole erano prive di associazioni mentali, poi lentamente si sono impregnate di voci, esperienze, emozioni. Il fatto è che io mi innamoro delle parole. Alcune sono così belle e potenti e perfette che non puoi fare altro che ammirarle. Come schlummern, che mi fa venire sonno. E poi ci sono parole che mi fanno ridere perché sono grasse, come intonso, che è una parola pigra e svogliata. Ma ci sono anche parole che mi fanno male o che mi spaventano, come strage. E ci sono quelle che serpeggiano, come ossesso, che serpeggia anche da destra a sinistra: ossesso.

A me, come a Paolo, piacciono le parole vere, sincere, pulite. Pulito significa anche rispettoso, sensibile, attento. Una volta a Monaco stavo leggendo Le ribelli di Nando dalla Chiesa che, in riferimento a Rita Atria, scrive: “Rita si affacciò sul terrazzo”. Mi emozionai: c’era tutta la delicatezza che non riesco a trovare quando parlo di queste cose: si affacciò. È un’espressione che Paolo utilizza per dire che il padre si è suicidato. Può sembrare paradossale, ma lo è solo apparentemente: la parola velata, che denota rispetto e pudore, è molto più sincera della parola pulita che dice ciò che deve dire, perché rende dicibile ciò che altrimenti sarebbe troppo doloroso. È un travestimento, come lo è la scrittura. Perché anche quando si scrive ci si traveste, si indossano le vesti di un personaggio e si modula una voce altra che permette, attraverso la finzione, di dire ciò che si ha da dire. Personalmente devo ammettere che mi riconosco molto più in quella voce che allo specchio o in fotografia. E anche le altre persone, persino quelle più care, per me si definiscono attraverso la voce e un modo distintivo di pronunciare le parole.

A volte la parola mi tradisce, nonostante il mio grande amore nei suoi confronti, perché mi fa dire cose che non avevo intenzione di dire, come nel caso del lapsus. Quando stimo o provo affetto per una persona perdo il controllo sulle parole e mi ritrovo a dire cose come “scema/o” o “stronza/o”. La parola, va detto, è proprio stronza.

maddalena fingerle

L’AUTRICE E IL SUO PRIMO LIBRO – Vincitrice della XXXIII edizione del Premio Italo Calvino, Maddalena Fingerle (in copertina, nella foto di Julia Mayer, ndr) debutta nel romanzo con Lingua madre, in libreria per la collana Incursioni di ItaloSvevo.

Paolo Prescher, il protagonista, odia le “parole sporche”, quelle parole che secondo lui non dicono ciò che dovrebbero dire, e le persone ipocrite che le pronunciano. Per questo odia la città in cui è nato, Bolzano, con la sua retorica sul bilinguismo e l’apparente armonia identitaria. Da qui l’idea di abbandonare l’italiano, il desiderio di parlare una lingua incontaminata e la fuga a Berlino, dove incontra Mira, l’unica che riesce finalmente a pulirgli le parole, tanto che persino tornare a casa gli appare possibile. Si consuma così un’ossessione in tre atti, in cui Maddalena Fingerle riflette sul valore delle parole e sul loro potere.

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