A dieci anni dalla pubblicazione del libro “La pelle dell’orso”, firmato dallo scrittore padovano Matteo Righetto, quest’estate è stato inaugurato un nuovo trekking letterario, l’Alta Via dell’Orso n. 2, che invita al cammino in un ambiente alpino di straordinaria bellezza. Su ilLibraio.it la riflessione dell’autore, che parte dalle polemiche suscitate in Trentino dalla morte di un giovane runner, aggredito da un’orsa la scorsa primavera nei boschi di Caldes, in val di Sole: “Soprattutto in tempi come questi, attraversati dal collasso climatico e da un disfacimento ecologico sempre più evidente anche nelle disuguaglianze economiche e sociali, un romanzo ha la possibilità, quando non addirittura la capacità, di sensibilizzare lettrici e lettori sui temi del rapporto uomo-ambiente e sulle sue complessità, ha il potere di suscitare dubbi, porre nuove domande…”

In seguito alla morte di Andrea Papi, giovane runner aggredito da un’orsa la scorsa primavera nei boschi di Caldes, in val di Sole, sui media si è improvvisamente acceso un dibattito sulla gestione dei grandi carnivori e soprattutto sul progetto Life Ursus, programma finanziato dall’Unione Europea e avviato nel 1996 con lo scopo di tutelare la popolazione di orso bruno nel Parco Adamello Brenta.

Come era facilmente prevedibile, quella che avrebbe dovuto essere una rispettosa e delicata discussione sull’argomento si è immediatamente trasformata in una polarizzazione dialettica tra due contrapposti schieramenti ideologici che hanno da subito strumentalizzato la questione della presenza dell‘orso sulle Dolomiti. Da una parte la solita stolta visione antropocentrica, dall’altra quella che sostiene un absloute rewilding senza se e senza ma.

Negli stessi giorni venni personalmente interpellato da diversi giornali, televisioni e siti web i quali, in buona sostanza, mi chiedevano di schierarmi banalmente pro o contro l’orso, come se si trattasse di scegliere tra una pizza margherita e una capricciosa e non invece di ragionare sui fatti e affrontare con laica lucidità un tema tanto critico quanto complesso sotto ogni punto di vista scientifico e culturale.

Basandomi sulle conoscenze forestali e montane da me acquisite nel corso di decenni, e considerato che la mia stella polare è e rimane l’equilibrio ecologista che mi è stato insegnato e trasmesso dai vari Aldo Leopold, John Muir, Rigoni Stern e Alexander Langer; anziché semplificare il discorso come avrebbero desiderato i media che hanno richiesto un mio parere, ho cercato piuttosto di problematizzarlo, ponendo anzitutto l’accento sulla bontà dei progetti Life dedicati alla tutela della fauna selvatica e sulla indiscutibile importanza che la biodiversità riveste negli ecosistemi naturali e di conseguenza anche umani. A scanso di equivoci ho però aggiunto che trovo scorretto e fuorviante il concetto di fondo che sottende un appiattimento banale e schematico della questione ambientale: la società civile e antropica da una parte e il wilderness, il mondo selvatico dall’altra. Si tratta infatti di un’idea avulsa dai principi base dell’ecologia, poiché la risposta ai problemi ambientali deve essere legata a una gestione delle interrelazioni sistemiche che ristabilisca gli equilibri tra l’ambiente naturale e il paesaggio antropico, che è l’esatto contrario della separazione e dell’abbandono.

E cosa può fare la letteratura in tutto questo? Può fare molto. Soprattutto in tempi come questi, attraversati dal collasso climatico e da un disfacimento ecologico sempre più evidente anche nelle disuguaglianze economiche e sociali, un romanzo ha la possibilità, quando non addirittura la capacità, di sensibilizzare lettrici e lettori sui temi del rapporto uomo-ambiente e sulle sue complessità, ha il potere di suscitare dubbi, porre nuove domande, offrire inaspettate chiavi di lettura del mondo, delle trame e delle relazioni di sistema che si intrecciano nella natura intorno a noi e tra noi.

Può perfino, come è successo per il mio romanzo La pelle dell’orso, pubblicato esattamente dieci anni fa, trasformarsi in un due trekking letterari permanenti sui luoghi e le geografie reali del romanzo (Alta Via dell’Orso 1 e 2), due itinerari dolomitici che invitano al cammino in un ambiente alpino di straordinaria bellezza e si prestano tutto l’anno all’organizzazione di iniziative di educazione ambientale e letteraria, outdoor education, literary ecology, ecocriticism.

Perché, come direbbe Serenella Iovino: “Testo e mondo, cultura e natura, hanno sempre il dovere di incontrarsi.”

In effetti, quando ho scritto la storia di Domenico e Pietro Sieff non avrei mai immaginato che in Italia potesse accadere una tragedia come quella di Caldes, ma a rileggerlo ora sembra una grande metafora dell’attualità. Da un punto di vista ancestrale l’orso rappresenta l’oscurità che ci portiamo dentro: tutte le paure individuali, le angosce collettive, il senso di precarietà esistenziale. La causa stessa del nostro fallimento. Nel mio romanzo l’orso funge da capro espiatorio di tutti i mali: eliminando lui, El Diàol, eliminiamo qualunque nostro problema. Ma sappiamo bene che non le cose non stanno così. Con l’orsa Jj4 è andato allo stesso modo, abbiamo ricondotto e ridotto in lei le complessità che non riusciamo a governare.

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L’AUTORE – Matteo Righetto è nato a Padova, nel 1972, dove insegna Lettere. Ha pubblicato diversi romanzi, tra cui Savana Padana (Zona 2009, poi TEA 2012), Bacchiglione Blues (Perdisa Pop 2011), La pelle dell’orso (Guanda 2013, portato sugli schermi da Marco Paolini, per la regia di Marco Segato, Apri gli occhi (Tea 2016, romanzo che ha vinto il Premio della Montagna Cortina d’Ampezzo e ricevuto una menzione speciale al Premio Mario Rigoni Stern). Nel 2017 è uscito per Tea Dove porta la neve. Per Mondadori Righetto ha poi scritto la Trilogia della Patria e, insieme a Mauro Corona, il “sillabario alpino” Il passo del vento (2019). Feltrinelli ha quindi proposto nel 2020 I prati dopo di noi e nel 2022 La stanza delle mele. Per il teatro Righetto ha anche firmato Da qui alla Luna.

UN NUOVO TREKKING LETTERARIO, L’ALTA VIA DELL’ORSO n.2 –  Dopo il successo, dal 2018 a oggi, dell’Alta Via dell’Orso n. 1, l’associazione turistica di Colle Santa Lucia e lo scrittore padovano, a dieci anni dalla pubblicazione del romanzo La pelle dell’orso, quest’estate hanno inaugurato l’Alta Via dell’Orso n. 2 (percorso verde). Un nuovo trekking letterario, dunque, patrocinato dalla Fondazione Dolomites UNESCO e destinato agli appassionati di montagna: partenza dal rifugio Fedare, e attraverso un percorso di quasi 15 km (il sentiero si snoda prima in un paesaggio ladino-dolomitico incantevole e poi tra i boschi), arrivo nel centro del paese di Colle.

Nel romanzo di Righetto l’animale, soprannominato “El Diaol”, veniva visto dagli abitanti di un villaggio ai piedi delle Dolomiti come un mostro. Il libro conferma la sua attualità, visto che negli ultimi mesi in Trentino si è molto parlato di orsi.

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