“Libro del Sangue” chiude una trilogia inaugurata nel 2017: Matteo Trevisani intreccia le ricerche genealogiche che ha dedicato alla sua famiglia con una storia di avventura, segreti e destino. Su ilLibraio.it, l’autore racconta la genesi dell’opera: “Ho scoperto che la mia famiglia, soprattutto il lato paterno, ha avuto a che fare con un numero incredibile di morti per mare. A poco a poco cominciai a chiamarli per nome, a riconoscerli, provando a strappare un po’ di ordine al caos…”

Un giorno di otto anni fa decisi di ricostruire l’albero genealogico della mia famiglia. Non sapevo da dove iniziare, così presi un foglio di carta e una matita e scrissi quello che sapevo. Non era moltissimo. Scrissi a destra il nome di mio padre, a sinistra quello di mia madre e sopra di loro i nomi di quelli che ricordavo, di quegli antenati che esponenzialmente si generano nel passato. Conoscevo i nomi dei miei nonni, certo, quelli di qualche bisnonno e quelli degli otto fratelli di mio padre, qualche cugino lontano.

Oggi so che si chiama tavola genealogica per quarti e se dovessi confrontarla con quella completa, che guardo tutte le mattine, mi accorgerei di quanto siano diversi gli esiti che queste storie propongono: diverse famiglie formano persone diverse, e io e quel Matteo lo eravamo davvero, due persone diverse. Ricordo che avevo disegnato quel primo albero, incompleto e storto, tutto nella parte bassa del foglio, come se fosse schiacciato da qualcosa. Come se fosse schiacciato da un segreto, mi accorsi poi in un attimo di agnizione perfetta che mi sconvolse. Cominciavo però ad accorgermi che quella era una vocazione, e che l’avrei mantenuta e nutrita per tutto questo tempo.

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Qualche anno dopo raccontai di queste ricerche in un articolo che uscì su un giornale. Accanto al mio pezzo la redazione aveva fatto fare un disegno del mio albero, allora ancora misero, ma il disegnatore l’aveva illustrato al contrario: io ero l’apice basso dell’albero e da me si dipartivano gli altri rami, che mi avevano preceduto. In quella rappresentazione, che oggi trovo sorprendentemente vera, io sorreggevo tutte le persone che avevano contribuito a generarmi. Per quanto era possibile reggere un peso del genere, anche se simbolico?

Continuando a studiare le carte, mi si rivelò dopo poco che il segreto che schiacciava la mia famiglia era qualcosa che era stato dimenticato. Avevamo preso il mare e nel mare eravamo stati abbandonati. Il segreto che schiacciava il mio albero risiedeva nella storia dei naufragi.

Durante le ricerche di questi anni ho scoperto che la mia famiglia, soprattutto il lato paterno, ha avuto a che fare con un numero incredibile di morti per mare. Diventarono una specie di vanto, per me e per la mia famiglia. Nessuno se ne ricordava. A poco a poco cominciai a chiamarli per nome, a riconoscerli. Studiando imparai il metodo genealogico, con l’aiuto dei libri e di qualcuno più esperto di me. Così mentre scrivevo Libro dei fulmini e Libro del Sole intanto giocavo agli antenati.

Ho aperto account su ogni software e sistema genealogico disponibile, partecipato ai corsi online, viaggiato per visitare le parrocchie che contenevano i documenti che mi servivano, resistendo con tenacia all’ostilità dei parroci. Mi sono reso conto che per ognuno dei miei libri ho avuto a che fare almeno con un prete, e questo mi fa sorridere.

Alla fine ho scoperto un altro segreto, di quelli che se svelati non perdono niente del loro valore. La premessa è che mentre completavo e cercavo di riempire l’albero, mentre decifravo grafie antiche e mi spaccavo la testa sulle liste di immigrazione americana, avevo la sensazione che dentro di me qualcosa si mettesse a posto. Sapevo che la genealogia ha sempre avuto questo, come scopo non detto, mettere ordine del caos, e che le prime genealogie che si trovano nella vita sono quelle degli dèi, che è un modo – nemmeno troppo esoterico – per spiegare come si strutturano le forze che danno forma alla realtà. Ecco, qualcosa dentro di me si strutturava, mano a mano che le storie dei miei avi venivano tolte a fatica dall’acqua salata.

Ecco il segreto: questo avviene anche per le famiglie degli altri. Quando ho cominciato per scherzo (e poi sempre più seriamente) ad aiutare i miei amici a ricostruire le loro genealogie, ho notato che venivo pervaso dalla stessa forma di entusiasmo, come se quegli avi fossero anche i miei. Dopotutto, se ci si mette a seguire le rotte genetiche, lo si scopre dopo poco, che effettivamente, quegli avi, sono anche i tuoi.

Solo quando sono diventato padre ho sentito che dovevo scrivere Libro del Sangue. Perché se un libro è un modo per conoscere la realtà (e le cose che stanno dietro a essa) io potevo farlo solo dopo aver abbandonato quello che avevo ricevuto. Un’eredità si trasforma sempre in un lascito, ed è lì che resiste la responsabilità più grande di tutte: fare in modo che chi ci sopravvive possa decidere liberamente cosa farsene della famiglia, cosa farsene di te.

Per me non è stato possibile, e questo libro certifica un fallimento epistemologico che mi è molto caro, che non scambierei con nessuna vittoria. Il mio destino è stato quello di scoprire la storia dei miei padri e delle mie madri morte, perché come quei nomadi che non abitano la terra, abito la memoria. Non c’è molto altro, non sento nessun bisogno di modificare questa sorte e non so se in futuro farò un passo avanti rispetto a questa necessità. Ma la corrispondenza emotiva tra l’albero e la persona che sono è la cosa più preziosa che la genealogia mi ha regalato: ancora oggi i naufragi mi consegnano l’abbandono come un dono prezioso che non devo sprecare.

Ho scoperto che la solitudine, la paura e l’ansia sono le stesse che provarono loro, che se ne andavano per sempre. Ecco che cosa lasciano nei loro testamenti, nei certificati di matrimonio, nelle lapidi sbiadite di tombe senza corpi, ecco qual è la loro eredità spirituale, quella vita psichica che altro non è che vita del sangue che ancora scorre nelle mie vene e in quelle di mio figlio.

In questi anni mi sembra di aver tratteggiato i confini del mondo in cui mi sto preparando ad abitare. Fulmini, sole e sangue non sono che gli ingredienti di una mistura metafisica che serve per conoscere quello che sei, e per dimenticartene un secondo dopo.

Mentre scrivo queste righe la mia tavola genealogica conta 452 persone e l’avo più antico è nato nel 1530, a Venezia. Si chiamava Giovanni. Un mio cugino è morto a Okinawa nel 1945 e conosco il nome di tutti i viaggiatori dell’Europa, la nave che portò i miei bisnonni negli Stati Uniti. So che un mio trisavolo morì su una goletta, legato stretto all’albero maestro, con suo figlio adolescente. Ho le foto di una casa devastata dalle radici a Cuneo, dove abitò la parte piemontese del mio lato materno. Un altro venne rapito dai pirati, e forse morì a Tunisi. Sento le voci di tutti.

Ognuna di queste persone è legata al mondo, e a tutti gli altri che sono esistiti, in maniere diverse. Ma oggi che il libro è compiuto mi sembra di aver adempiuto a quell’ordine antico che impone di sotterrare i morti e di non lasciarli in balia del mare. Io continuo comunque a cercare date e nomi, per strappare un po’ di ordine al caos, per fare in modo che linee di sangue non si interrompano, che le famiglie siano ricongiunte, che i nomi dei morti non si perdano per sempre tra le onde.

Copertina del libro Libro del sangue

L‘AUTORE E IL LIBRO – Matteo Trevisani è nato a San Benedetto del Tronto nel 1986 e vive a Roma. Per Edizioni di Atlantide ha pubblicato Libro dei fulmini (2017, finalista al Premio Berto e al Premio biblioteche di Roma e giunto alla quarta edizione) e Libro del Sole (2019, Premio Comisso under 35). Editor di Edizioni Tlon e redattore di Nuovi Argomenti, ha scritto e scrive su diversi giornali e riviste e collabora regolarmente con La Lettura – Corriere della Sera. Tiene periodicamente dei corsi alla Scuola Holden su scrittura e genealogia.

Ora torna in libreria con Libro del Sangue (Edizioni di Atlantide), il terzo e ultimo volume della serie, che si configura come un’avventura di genealogia e destino. L’opera si apre, infatti, con Matteo Trevisani che un un giorno di primavera riceve una mail con un albero genealogico della propria famiglia. Questa genealogia rispetto a quella conosciuta dal protagonista ha però una particolarità: a un certo punto le famiglie degli avi divergono, si distanziano, lasciando apparire nelle pieghe delle nascite e delle morti accadimenti terribili sconosciuti, segreti e naufragi ricorrenti.

Inoltre, questo albero non riporta soltanto nomi e date di nascita e di morte degli antenati di Matteo, ma anche il
suo nome e la sua data di morte: 21 settembre 2021. Poco dopo, uno strano episodio turba ulteriormente la vita dello scrittore: il giornale con cui collabora pubblica un articolo firmato da Matteo ma che lui non ricorda di avere scritto, anche se in esso riconosce il proprio stile e anche i suoi stessi pensieri.

La ricerca sulla propria linea familiare, che Matteo aveva compiuto anni prima insieme a un genealogista scomparso da poco, si intreccia dunque improvvisamente, attraverso i pochi giorni che, secondo l’albero, lo separano dalla propria morte, a questa nuova, spasmodica e repentina, su cosa si celi davvero dietro questi eventi. Intanto lo spettro di un’altra vita, e di una balena mitica, che tormenta la famiglia del protagonista da generazioni, aleggia sul tempo del passato e su quello a venire, breve o lungo che sia.

E Matteo si trova così impegnato in una corsa affannosa lontano da Melissa, la donna che ama, e da Cosmo, il loro figlio di pochi anni, per cercare di capire cosa gli stia accadendo e chi sia il misterioso mittente che sembra conoscere il destino che, forse, lo attende…

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