Coinvolgente e appassionato come il recente successo vietnamita “Quando le montagne cantano” di Quế Mai Nguyễn Phan, senza dubbio il debutto di Melissa Fu, “Nella terra dei peschi in fiore”, restituisce onore e attualità a una Storia, quella delle diaspore cinesi, da pochi approfondita se non a molti sconosciuta. Una saga famigliare che emoziona alla lettura e che sottolinea quanto il contatto con le proprie origini sia necessario ai fini di un’integrazione consapevole nonché libera da auto-condizionamenti

È necessario sapere da dove si viene per conoscere con esattezza dove si vuole arrivare? Ispirata alle vicende politiche che, nel corso del secolo XX, hanno visto parte della popolazione cinese abbandonare i luoghi natii per ricrearsi una stabilità altrove, la saga famigliare di Melissa Fu Nella terra dei peschi in fiore (qui in anteprima internazionale per Editrice Nord, nella traduzione di Barbara Ronca) emoziona alla lettura grazie a una narrazione romanzata ma comunque coerente con il fatto storico, con le immagini archetipiche dello stile pittorico shǒujuǎn – quello su stoffa e colorato ad acquerello – a sottolineare quanto il contatto con le proprie origini sia necessario ai fini di un’integrazione consapevole nonché libera da auto-condizionamenti.

nella terra dei peschi in fiore

A tal proposito, è sui contenuti di un antico rotolo di seta che l’autrice ricostruisce l’albero genealogico della stirpe Dao, protagonista corale dell’opera; affidato dal compianto Xiaowen alla sposa Meilin per garantire un futuro migliore a loro figlio Renshu, il prezioso calligramma diviene fin da subito espediente narrativo per raccontare i numerosi episodi di esodo – e di lutto e di amore – che porteranno il nucleo famigliare Dao ad allontanarsi dalla provincia di Changsha e, per l’effetto, a sparpagliarsi intorno al mondo.

Raffigurate al suo interno sono le vicende della piccola quotidianità orientale: un gallo, una sorgente di fiori di pesco, un vecchio che ha perso il suo cavallo; Meilin ce li descrive con una minuzia di particolari tale da renderceli pressoché indelebili alla memoria, lo stesso che peraltro accade ogniqualvolta condivide con il figlio precetti e insegnamenti in esso contenuti. Per preservarne la tradizione, verrebbe da dire.

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Prova ne sia che nonostante la vedova Meilin si trovi costretta a vendere il rotolo pur di fuggire a Taipei assieme al bambino (1948) e malgrado questi, ora ingegnere presso l’Università dell’Illinois, arrivi a nascondere la propria identità pur di assicurarsi la cittadinanza nel nuovo continente (1960), è nel sentimento di disappartenenza sofferto dalla nipote Lily che davvero il manufatto recupera la sua funzione di collegamento, motivando la giovane sino-americana a partire da Los Alamos per ricercare, nella patria della nonna paterna, i racconti – e i rapporti – che con esso sono andati perduti (1997).

Ma, badate bene, non di sole atmosfere famigliari si caratterizza l’importanza dell’opera; intervallata da vicissitudini di guerra così come da riflessioni sulla piaga della discriminazione, le pagine del libro si confermano maestose nei passaggi profondi ma comunque scorrevoli, capaci di chiarificare i momenti topici della storia asiatica moderna (dal secondo conflitto col Giappone alla nascita della Repubblica di Cina, dal ruolo ideologico del Kuomintang ai giorni della guerra fredda) come pure di analizzare, con un piglio mai scontato, ciò che significa percepirsi stranieri anche se cittadini di seconde e terze generazioni.

“Quand’ero piccola, mio padre parlava pochissimo del suo passato”: questo dichiara l’autrice in epilogo al libro, implicitamente confermando la natura autobiografica del romanzo, “ma, il giorno di Natale del 1998 (…) ha deciso di raccontarci alcuni episodi del suo passato. Quasi vent’anni dopo, ho recuperato quegli aneddoti e ho iniziato a metterli insieme in un testo di narrativa”.

Coinvolgente e appassionato come il recente successo vietnamita Quando le montagne cantano di Quế Mai Nguyễn Phan (Editrice Nord, traduzione di Francesca Coticchi), senza dubbio il debutto di Melissa Fu si posiziona al fianco dei più apprezzati romanzi di tematica affine – vedasi la bibliografia di Amy Tan, Pearl S. Buck e di Jung Chang – restituendo onore e attualità a una Storia, quella delle diaspore cinesi, da pochi approfondita se non a molti sconosciuta.

Con una nota di socialità attuale: l’autrice, attiva su Instagram al profilo @melissafuwriter, ci racconta ogni giorno curiosità sulla famiglia Dao e sulle leggende cinesi che hanno contribuito alla sua opera prima. Un virgulto di scrittura, in un tripudio di primavere.

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