Lottava, disperatamente, con la vita e con la scrittura, ed entrambe non erano mai abbastanza. La pubblicazione di “L’arte del brivido – Il difficile mestiere dello scrittore” è l’occasione per ripercorrere la vita e le principali opere di Norman Mailer (1923-2007). Autore inimitabile, nella sua grandezza, nelle sue contraddizioni e nel suo narcisismo. Per cui “lo stile è metà di un romanzo”

“Il deliberato tentativo di scrivere un bestseller comporta, dopotutto, una disposizione d’animo non troppo diversa da quella di chi decide di sposarsi per soldi, solo per scoprire che la mancanza di amore è più gravosa del previsto”: lo ricorda Norman Mailer a un ipotetico giovane autore, in quello che è sì una sorta di manuale, pubblicato a 80 anni (nel 2004) col titolo The spooky art (intraducibile o quasi: spettrale, magari, o persino spaventevole?), e con lo stile muscolare che lo caratterizza, ma è soprattutto un’autobiografia.

Esce ora per La nave di Teseo, con la traduzione di Andrea Silvestri, come L’arte del brivido – Il difficile mestiere dello scrittore, ma avrebbe potuto benissimo intitolarsi “come si diventa Norman Mailer” – ammesso che qualcuno nutra (ardue) ambizioni al proposito.

Diciamolo subito, sarebbero frustranti perché Mailer, in qualche modo, è inimitabile, nelle sue contraddizioni, nel suo narcisismo e nella sua difficile grandezza. È uno scrittore magnifico, per certi aspetti, e per certi aspetti, appunto, “spooky”. Qui la traduzione è indubbia: inquietante.

Il difficile mestiere dello scrittore di Norman Mailer

Cresciuto a Brooklyn in una famiglia ebraica – il vero nome era Nachem Malech Mailer – e laureato ad Harvard, scomparso nel 2007 quando era visto ormai come un vecchio machista incorreggibile e brontolone, era, inutile girarci intorno, un vero attaccabrighe, non solo intellettuale. Ma ne sapeva fare un’arte.

Il suo Il nudo e il morto (La nave di Teseo) resta un grande romanzo americano nel senso che si attribuisce generalmente a questa ambigua definizione, un grido, una denuncia esistenziale, una potente autoaffermazione.

Il nudo e il morto norman mailer

Fu un successo spettacolare, nel 1948, che lo lanciò come scrittore, lui che non amava i bestseller e pure per tutta la vita sembrò inseguire con alterne fortune proprio quel fantastico risultato d’esordio. Era affamato di lettori; e lo ricorda in questo libro di saggi, interventi, interviste rielaborate.

Per lui Il nudo e il morto era pieno di sfide, e quelle vinte sono più di quelle perse. “Non è diventato – scrive – un bestseller per caso, rientrando in una delle tipologie di questa categoria di libri, invariabilmente scritti da audaci dilettanti o da professionisti di nicchia, che conoscono fin troppo bene un particolare argomento”. E Mailer lo conosceva eccome, visto che la storia narrata (sostanzialmente un “pattugliamento” durante la seconda guerra mondiale) lo riguarda da vicino, parte da un’esperienza vissuta o quantomeno da un’esperienza accuratamente ricostruita.

Volevo scrivere un romanzo breve su un lungo pattugliamento – dice ancora -. Ho continuato a pensare a questa missione di ricognizione per tutta la guerra. Ho avuto l’idea ancor prima di andare oltremare. … Finii persino in un’unità di ricognizione in cui mi era stato chiesto di entrare. Dopotutto, in un’unità di ricognizione si tendono a fare lunghi pattugliamenti”.

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È la sua prospettiva di scrittore, scoperta nel momento in cui s’accorse che “l’arte continuava a tradurre la vita”.

The fight. Ediz. italiana

È anche il suo mantra, che vale per tutti i libri successivi, compresi, ovviamente, quelli di taglio per così dire più giornalistico (il new journalism ha avuto in lui uno dei protagonisti, che si misurava personalmente coi fatti, inserendo se stesso nella narrazione): basti pensare a The Fight (La nave di Teseo), dedicato al match di pugilato che vide nel 1974 a Kinshasa, nello Zaire, l’incontro tra Muhammad Ali, alias Cassius Clay (uno dei suoi eroi) contro l’allora campione dei pesi massimi George Foreman. È stato un autore intemperante, che si viveva come qualcuno destinato, o condannato, a risvegliare le coscienze – per esempio sulla guerra del Vietnam -, ma anche un fervido irregolare, fra grandi e piccoli eccessi, alcool, droga, risse.

Si sposò sei volte, finì in carcere per aver ferito con un taglierino, durante un party nel 1960, la seconda moglie, Adele Morales, poi rivolse l’arma contro se stesso; venne ricoverato, confessò tutto, fu condannato e la pena venne sospesa; ne ricavò una fama non da poco e una perizia psichiatrica che metteva in dubbio il suo equilibrio mentale.

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Lottava, disperatamente, con la vita e con la scrittura, entrambe non erano mai abbastanza. E in questi suoi interventi parla insistentemente soprattutto di ciò che veramente sembra interessargli, a cui si è dedicato con tutte le sue forze: lo stile.

Senza stile non c’è scrittura. “Lo stile è metà di un romanzo”, scrive, quasi aforisticamente. All’opposto, “la popolarità della scrittura dozzinale è analoga al successo dei fast food”: e fa un esempio sempre molto attuale di quel che intende, grossomodo, parlando dell’uso della terza persona. “Oggi – leggiamo –  sono soprattutto gli autori di bestseller a provarci. Nel loro caso, Dio è sempre pronto a offrire un aggettivo all’altezza dei loro mezzi. Eccitazione irrefrenabile, tensione insostenibile, gioia incontenibile, miseria insopportabile, coraggio indomito”.

Mailer è un maestro del linguaggio, ma più raramente della trama. In The Spooky Art, essendone forse consapevole, rivendica questa sua caratteristica come una virtù, perché la trama, dice, limita lo scrittore.

L’eccezione al principio appena enunciato è forse Un sogno americano (1964), dove il protagonista, Stephen Rojack, funge anche da antagonista del romanzo, simpatico e insieme spregevole, autore di un efferato omicidio (sembra anticipare Bret Easton Ellis); e l’intreccio regge benissimo. Funziona anche meglio quando la trama è invece offerta da un episodio, magari di cronaca, come era accaduto a Capote per A sangue freddo e accade a lui qualche anno dopo con Il canto del boia (su una condanna a morte in America, ebbe un gran successo). L’occhio attentissimo ai dettagli ha il vigore della sua migliore narrativa, e lo stile è inconfondibile.

Un sogno americano

Sempre parlando di stile, ci ricorda ad esempio che è lo strumento migliore per lo scrittore, e ne dà una spiegazione provocatoria. Lo è, dice, perché “respinge letteralmente certi tipi di esperienze e può somigliare a una moglie dispotica che è sempre pronta a sceglierti il vestito”. Erano boutade, come quella che leggiamo in un’intervista sul fatto che le recensioni ai tuoi libri vanno lette, perché in caso contrario “sarebbe come non guardare una donna nuda che se ne sta per caso davanti alla finestra aperta. Bella o brutta, è innegabilmente interessante in tale circostanza”.

Kate Millet, nel’69, non apprezzò per nulla (concentrandosi però sui romanzi); lo attaccò pesantemente nel suo celebre La politica del sesso, sottolineandone l’ostilità “meschina e crudele” verso le donne, e facendone un prigioniero del “culto della virilità” attraverso la lettura di Un sogno americano.

Mailer rispose con un intero libro, Il prigioniero del sesso, un pamphlet piuttosto feroce contro le femministe. Ciò nondimeno, una delle sue ultime immagini (a parte la presenza nel film documentario che venne girato sul match di Kinshasa) è un affettuoso cameo in una serie televisiva di successo, amatissima, Gilmore girls, nota in Italia come Una mamma per amica. In un episodio trasmesso nel 2004, titolo originale, diventato un tormentone, “Norman Mailer, I’m pregnant”, lo scrittore interpreta ovviamente se stesso, intento a concedere una lunga intervista; ma finisce per innervosire Sookie, una delle due ragazze del locale: che scopre all’improvviso, o decide, di essere incinta.

Più che una protesta, si direbbe un omaggio al vecchio scrittore, al suo difficile mestiere ma anche alla sua altrettanto difficile posterità.

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