Leggere “Crudo” di Olivia Laing, che pure è ambientato nel 2017, in una realtà che ancora non ha conosciuto la pandemia, dà l’impressione di vedere i propri pensieri annotati. Ancora una volta, con l’autrice di “Città sola”, “Gita al fiume” e “Viaggio a Echo Spring”, l’io si maschera, si mescola ad altre vite, si compone di frammenti di materiale sconosciuto per restituire una complessità con più generosità possibile… – L’approfondimento sulla voce e sull’opera della scrittrice e giornalista britannica

Che il mondo stia finendo è una certezza che ci portiamo dietro dalla nascita, ma nelle ultime settimane, complici gli strascichi di quello che stiamo vivendo e notizie sui mezzi di informazione sempre più drammatiche, l’imminente catastrofe fa parte del nostro quotidiano come la dichiarazione dei redditi.

Per questo, leggere Crudo di Olivia Laing (Il Saggiatore, traduzione di Francesca Mastruzzo), che pure è ambientato nel 2017, in una realtà che ancora non ha conosciuto l’ultima pandemia, dà l’impressione di vedere i propri pensieri annotati.

Crudo, Olivia Laing

Celebre per i suoi libri di non fiction come Città sola dove, partendo da un’esperienza personale, Laing finisce per mappare delle tematiche, disseminando sulla cartina geografica riferimenti storici e biografici di artisti e scrittori con cui in qualche modo ha condiviso un sentire, in Crudo l’autrice invece si muove dall’esterno, dalla fantasia romanzesca, per tornare a sé.

L’intento fittizio di Crudo pare smentirsi da subito: “Kathy, e con lei intendo io, si stava per sposare” è l’incipit. È abbastanza semplice trovare i punti di contatto: la casa in campagna, un marito poeta – a un certo punto emerge un nome: Ian.

Ma Kathy non è solo Laing, è anche Kathy Acker, scrittrice, poeta, icona tra gli anni ’70 e ’80, postmoderna prima del postmodernismo; punk, maestra del pastiche, distruttrice e rigeneratrice del linguaggio. Acker ha vissuto una di quelle inimitabili vite dove il confine con la realtà sembra sempre sfumare, e spesso era proprio così.

La menzogna è stata per Acker come lo scalpello di una scultrice, una dichiarazione poetica; e sovrapponendo la propria vita alla sua Laing costruisce un ulteriore livello di narrazione. Frasi di Acker, ma anche tweet di Donald Trump, stralci di titoli dei giornali, si fondono nella scrittura, fanno parte del dialogo interiore di Kathy come dell’ambiente che osserva.

Nel continuo scambio tra la terza persona e la prima persona si gioca l’omaggio di Laing, e allo stesso tempo è una comunicazione ininterrotta tra gli stimoli esterni e il pensiero della protagonista, sempre chiamato ad assorbire notizie, a offrire un qualche tipo di reazione.

Raccontare il contemporaneo è difficile quanto raccontare qualcosa che si apprezza in maniera smisurata. Nel secondo caso il rischio è di non saper elaborare correttamente il proprio amore, presentarlo con eccesso e perdere per strada ogni senso critico.

La prima situazione invece è complessa, perché richiede di esistere in quello che si osserva, analizzare in tempo reale quello che accade, la propria reazione ma soprattutto le reazioni altre per poter mettere tutto a sistema.

Laing in Crudo fa entrambe le cose: descrive un periodo specifico, ossessivo, folle – l’estate del 2017, un anno dopo l’elezione di Trump, il referendum sulla Brexit. Missili promessi dalla Corea del Nord, la crisi climatica, ogni avvenimento che rimbalza di social in social, e come nel gioco del passaparola muta forma. Diventa strumento nelle mani sbagliate, come diventa meme o come diventa una nozione importante da diffondere.

Quello che non cambia è la percezione del disastro dietro l’angolo, l’idea che tutto potrebbe sprofondare in un battito di ciglia, insieme alla consapevolezza, a volte ironica, a volte annoiata, che questo stato di sospensione prima dell’urto è uno stato eterno. E in questo marasma di informazioni che paiono scollarsi dalla realtà si crea una bolla di esistenza – o di sopravvivenza – nell’imminente vita coniugale.

Kathy non è mai stata una moglie prima dei quarant’anni, e ora nella sua vita c’è questo marito, e una solitudine che deve far spazio a un’altra persona.

Pagina dopo pagina, questo amore che sembra una faccenda capitata un po’ per caso, come deve essere, si manifesta non sempre esplicitamente – ecco, la difficoltà di dichiarare l’amore – quanto per atti concludenti. Ci sono i pasti consumati insieme, c’è la preoccupazione per l’assenza, la mancanza.

La scrittura critica di Laing utilizza l’esperienza personale come una lente che non distorce quello che va a raccontare. È capace di mettere l’io senza assumere su di sé l’attenzione, ma offrendosi come un ponte.

città sola olivia laing

Gita al fiume parte dal suo cammino lungo la sponde dell’Ouse, dove morì nel 1941 Virginia Woolf, e il suo percorso di elaborazione di un dolore finisce per far entrare chi legge nella natura e nella storia di quell’angolo di Inghilterra, e dentro le pagine di Woolf.

Viaggio a Echo Spring è il desiderio di capire una dipendenza, quella dall’alcol, che è stata così presente nella sua stessa famiglia, e per arrivare al nucleo di questa ossessione si affida alle vite di Cheever, Carver, Hemingway.

E nel già citato Città sola, il primo dei suoi lavori ad arrivare in Italia, l’annichilente vita solitaria che si trova a condurre arrivata a New York è motore propulsore per posare lo sguardo su alcuni artisti newyorchesi, come Warhol e Wojnarowicz, e sul modo in cui il trauma e la solitudine hanno impattato sulla loro arte.

Laing collega queste esistenze tra di loro come fermate di una metropolitana, andando a dissotterrare percorsi impensati. E se l’arte non è sempre la soluzione a tutto – sul suo potere salvifico ha scritto un’altra raccolta di saggi, Funny Weather – Art in an Emergency –, attraverso questa ricerca ricorda che “la solitudine è personale, ed è anche politica. La solitudine è collettiva; è una città”.

Non stupisce, quindi, che anche nell’avvicinarsi a Crudo Laing mantenga questa impostazione, dove l’io si maschera, si mescola ad altre vite, si compone di frammenti di materiale sconosciuto per restituire una complessità con più generosità possibile.

Kathy è Laing ma non lo è affatto: questo gioco di richiami punta a invitare altre persone alla festa, ed è forse una delle risposte più interessanti a quel tipo di autofiction che utilizza un altro nome come specchio in cui riflettere di nuovo il sé. Dove tanta scrittura, per lo più maschile, si va a chiudere, Laing spalanca le finestre.

Fotografia header: Olivia Laing - foto di © Liz Seabrook

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