Torna in libreria “Notti insonni” (pubblicato per la prima volta nel 1979) e viene definito “romanzo”, ma in pratica è allo stesso tempo un memoir, un taccuino di appunti e una lettera. Il volume è firmato da Elizabeth Hardwick (1916 – 2007), una delle più raffinate critiche letterarie del suo tempo. Il suo è un flusso di coscienza che, in un certo senso, anticipa l’attuale dibattito sull’autofiction – L’approfondimento

Negli ultimi anni il dibattito attorno a cosa sia l’autofiction e a dove si debba tirare la linea di demarcazione che divide l’aspetto autobiografico da quello finzionale è cresciuto enormemente. Da un certo punto di vista pare non si parli d’altro.

All’imporsi di questo dibattito hanno contribuito molti fattori. Semplificando: il superamento del postmodernismo e dell’idea della morte dell’autore, la pubblicazione di testi ibridi tra saggio e memoir (come ad esempio i libri di Emmanuel Carrère o Rachel Cusk), un ritorno alle narrazioni più realiste, la presa di coscienza che ogni io è in qualche modo finzionale, che la Storia stessa è una narrazione metaletteraria, che la memoria è instabile, che ogni io passato non coincide con l’io percepito presente (in una sorta di vertiginosa matrioska).

Tutto questo è stato poi acuito da un bisogno pressante di definire i contorni di ogni genere così da poterlo categorizzare nella lista degli acquisti delle librerie online (certamente l’apparizione di un libro nella categoria “memoir” o “romanzo” ne cambia la ricezione), ma anche la collocazione nelle biblioteche.

Insomma, dopo il postmodernismo siamo tornati alla realtà, ma la realtà è stata fatta saltare da milioni di dubbi, l’Io si è fatto fragile e le narrazioni frammentate. Il plot è sparito e il testo si è fatto materializzazione del vagare del pensiero.

Se da un lato parte della critica si concentra sull’aspetto narcisista e autocentrico di queste narrazioni autofinzionali, quasi che non si possa parlare del mondo che tramite le proprie vicende personali, dall’altro c’è chi definisce questo “genere” mettendo in rilievo piuttosto il carattere finzionale di qualunque Io, sia questo quello dell’autore in carne e ossa che si inscrive nel testo, quanto quello di ogni personaggio all’interno di un romanzo.

In realtà la questione attorno all’autofiction e al memoir è più sottile e complicata e certo non può risolversi in una dicotomia semplice come quella tra vero e falso, tra evento verificabile e non. Eppure in un certo modo questo è il cuore del problema.

notti insonni Elizabeth Hardwick

Elizabeth Hardwick è stata tra i fondatori della New York Review of Books, a cui ha contribuito con oltre cento recensioni, articoli, approfondimenti e lettere alla rivista. Pubblicato per la prima volta nel 1979, Notti insonni è collage unico di fiction e memoir, lettera e saggio, racconto e sogno

Un testo importante per comprendere questo rapporto è Notti insonni di Elizabeth Hardwick, pubblicato originariamente nel 1979 (quando l’autrice aveva 63 anni) e in questi giorni da Blackie Edizioni nella raffinata traduzione di Claudia Durastanti.

Notti insonni viene definito “romanzo”, ma in pratica è allo stesso tempo un memoir, un taccuino di appunti e una lettera. È un libro che con un procedere simile alla trance materializza il procedere rabdomantico del pensiero e della memoria nelle notti di insonnia per dare forma a una miriade confusa di impressioni ed esperienze.

È un flusso di coscienza in cui emergono i fantasmi di memorie passate della voce narrante “Elizabeth”, che è e non è Elizabeth Hardwick. Si tratta di incontri con persone più o meno note, episodi familiari, estratti di lettere, frammenti di conversazioni disperse in un tempo esperito in maniera  non cronologica.

Considerata come una delle più raffinate critiche letterarie del suo tempo, moglie di Robert Lowell, apprezzata da autrici taglienti e raffinate come Didion, Eimar McBride, Lauren Groff, affiancabile per certi versi a scrittrici come Renata Adler, Rachel Cusk o ad autori come Cheever, Hardwick e la sua opera letteraria stanno vivendo un rinnovato interesse in questi anni. Forse proprio in ragione del fatto che Notti insonni in un certo senso anticipa il dibattito sull’autofiction, ponendo il dubbio sulle ragioni per cui si parla di romanzo quando i fatti raccontati sono tutti verificabili e collocabili nella vita dell’autrice.

Il romanzo, che come si diceva racconta in realtà numerose vite e memorie che appartengono a una Elizabeth che potrebbe essere l’Elizabeth che tiene la penna, non ha forma e non ha struttura. Hardwick stessa avrebbe dichiarato “Se volessi della trama, guarderei Dallas”.

Tuttavia, pur mancando una trama, dal procedere narrativo ipnotico e confuso della narrazione emergono vivide le storie di numerose donne e uomini che Elizabeth ha incontrato nella vita.

Come non ha mancato di osservare Didion nella toccante recensione inserita a prefazione del libro: “Ci vengono mostrate insegnanti di musica decadute nella vecchiaia e nella povertà, donne delle pulizie e malattie ostinate, seni mozzati, eruzioni cutanee, reni malandati, mariti con coaguli di sangue e un passato da galeotto. Ci vengono mostrate donne che sopravvivono, e donne che non lo fanno. Ci viene mostrata Billie Holiday nel 1943. Ci vengono mostrate donne fatte di «forza folle, una resistenza ripugnante, ostilità e incubi», donne che vivono fino a vagare «nella loro spaventosa libertà come vecchie mucche abbandonate a loro stesse, completamente sprovviste». Ci vengono mostrate donne che non rendono conto agli uomini, uomini che rendono conto alle donne, figli che rifiutano le chiamate dei genitori, disordini e squilibri di ogni tipo. «Se solo una persona sapesse cosa ricordare o fingere di ricordare», si cruccia la curatrice di queste memorie all’inizio di Notti insonni. «Prendi una decisione, e tutto ciò che vuoi dalle cose perdute si manifesterà. Puoi recuperarle come una lattina su un ripiano. Forse»”.

Notti insonni è un libro scritto nella forma del “monologo insonne”. Lo si potrebbe aprire in un punto a caso, leggerne un paragrafo o due, osservare la descrizione di un piccolo frammento di vita alla luce della lampada e poi riporlo sul comodino. È un libro che accompagna le riflessioni che prendono vita la notte, quando incapaci di dormire ci intratteniamo coi fantasmi del passato e che ci ricorda come in questi momenti le impressioni si facciano più vivide e il segno che lasciano su di noi diventi più forte.

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