Da dove viene il punto esclamativo? Che valori può assumere? E, soprattutto, come si usa? Una guida sintetica per ripercorrerne le origini, le indicazioni grammaticali e alcune interessanti curiosità letterarie (e non solo)

Nel punto esclamativo, oggi, capita di imbattersi ogni giorno o quasi: nella segnaletica stradale e nei cartelli pubblicitari, ma anche sui social network, negli annunci e perfino fra gli avvisi informatici. Da dove viene, però, questo singolare segno di interpunzione? Che valori può assumere? E, soprattutto, come si usa correttamente?

Ecco una guida sintetica per ripercorrerne le origini, le indicazioni grammaticali e alcune interessanti curiosità letterarie (e non solo).

Storia del punto esclamativo

Nei monasteri medievali gli amanuensi avevano il compito di ricopiare le opere del passato il più fedelmente possibile. Così, quando volevano segnalare stupore, allegria o enfasi alla fine di una frase, ricorrevano alla parola latina “io“, che significava “evviva“. Con il passare del tempo la “i” si è allungata ed è stata collocata sopra la “o”, la quale dal canto suo si è ridotta a un puntino: era nato il punto esclamativo.

Introdotto fra i caratteri della stampa tipografica piuttosto in fretta, quest’ultimo non era però visto di buon occhio dagli editori (lo stesso Aldo Manuzio si rifiutò di inserirlo nelle sue pubblicazioni) e apparve solo in opere minori almeno fino al 1797, quando venne introdotto per la prima volta nella Bibbia di Martin Lutero.

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Intanto, il nome del punto esclamativo subiva qualche oscillazione: ne L’arte del puntar gli scritti, testo del 1585 di Orazio Lombardelli, era stato chiamato per esempio “punto affettuoso“, mentre nei suoi codici Coluccio Salutati aveva iniziato a servirsene nel XIV secolo definendolo “punto ammirativo“.

Per di più, a lungo venne confuso con il punto interrogativo, tant’è che nell’Ottocento, si legge su Treccani, lo stesso “Manzoni, in più luoghi, mutò un punto interrogativo in un punto ammirativo e viceversa“; mentre negli anni Venti del Novecento si considerò addirittura fuori moda e “troppo femminile” per essere usato dai grandi scrittori.

Usi del punto esclamativo

A oggi il suo uso è stato sdoganato e il punto esclamativo si è diffuso in molte lingue del mondo. In italiano, nello specifico, si usa nelle frasi “che esprimono meraviglia, dolore, rammarico, o anche un ordine o un’esortazione“, come indicato ne La dimensione linguistica (Mondadori) di Marcello Sensini.

Segno di punteggiatura enfatico per eccellenza, il punto esclamativo non va quindi usato nei testi di cronaca, accademici, scientifici o giuridici, così come in tutte le comunicazioni ufficiali nelle quali si vuole mantenere un tono autorevole.

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Nella narrativa (e specialmente nei dialoghi), nei fumetti, in testi dal carattere più informale, così come sui social network, in chat o nelle newsletter, è invece più comune utilizzare il punto esclamativo per indicare gioia, sorpresa o anche sarcasmo, ma a patto che il contesto lo permetta.

Per rendere più veemente una domanda si può inoltre scrivere “?!“, anche se al contrario sono sconsigliabili la forma “!?“, ritenuta più ambigua, e l’accumulo di più punti esclamativi uno di seguito all’altro, che viene percepita come ridondante e poco raffinata.

Infine, dopo il punto esclamativo (così come dopo il punto e dopo una domanda diretta) va scritta in maiuscolo la prima lettera della parola successiva, mentre se la relazione tra l’esclamazione e il seguito del discorso è molto stretta si può optare eccezionalmente per la lettera minuscola.

Curiosità letterarie (e non solo)

Avreste mai detto che il punto esclamativo potesse essere detestato da alcuni scrittori e apprezzato da altri? Ernest Hemingway (1899-1961), per citarne uno, nel romanzo Il vecchio e il mare lo usò soltanto una volta, condividendo con Francis Scott Fitzgerald (1896-1940) l’avversione per questo segno di interpunzione.

Dell’opinione opposta erano invece Walt Whitman (1819-1892) e Tom Wolfe (1931-2018), ma anche Anton Čechov (1860-1904), che scrisse un racconto intitolato proprio Il punto esclamativo, nel quale il protagonista non riesce a dormire perché, dopo alcune prese in giro sul suo utilizzo della punteggiatura al lavoro, viene perseguitato dal punto esclamativo appena chiude gli occhi.

A dispetto delle posizioni talvolta estreme di alcuni intellettuali, questo segno di punteggiatura è sopravvissuto fino a oggi e si ritrova addirittura in alcuni nomi d’arte (come quello di P!nk, o di scrittori come Elliot S! Maggin e fumettisti come Scott Shaw!), di marchi (pensiamo a Yahoo!) e di film (vedi Moulin Rouge!).

Come se non bastasse, il punto esclamativo viene usato nella notazione degli scacchi per indicare una buona mossa, in passato era comune nell’intestazione delle lettere in tedesco dopo il nome del destinatario (al posto della nostra virgola) e tuttora lo è perfino nei toponimi: Saint-Louis-du-Ha! Ha! in Québec, Hamilton! nell’Ohio e Westward Ho! in Inghilterra sono infatti tutte città “di carattere” a partire già dal loro nome!