Katherine Mansfield, neozelandese, una delle più celebri scrittrici moderniste, dalla vita movimentata e breve, cugina di Elizabeth von Arnim, amica di Virginia Woolf e D. H. Lawrence, moriva nel gennaio 1923. Qui raccontiamo la sua storia attraverso i suoi racconti, raccolti in “Qualcosa di infantile ma di molto naturale”…

Katherine Mansfield sembra il nome di un’eroina di Charlotte o Emily Brontë (si chiama Katherine la gloriosa – e capricciosa – protagonista di Cime tempestose) o, ovviamente, di un personaggio cocciuto e brillante di Jane Austen, che proprio quel “Mansfield” lo usa per dare nome a una magione ricca e conservatrice nelle oziose campagne del Surrey.

La Mansfield autrice è tutte queste eroine cucite insieme: quelle scritte dalle sue venerate colleghe precedenti, e anche solo quelle immaginate. Nata nel 1888, pubblicò i suoi primi racconti che era ancora piccola e morì a soli trentaquattro anni, nel gennaio 1923, vivendo nel mezzo una vita che, a quei tempi, avrebbe potuto facilmente essere definita viziosa, libertina, e che, a vederla ora, appare affascinante e così figlia del suo tempo, da bohémienne, un’epoca d’oro per scrittrici e scrittori (purtroppo sempre in maggioranza).

Nel 2023 è ricorso il centenario dalla sua morte, e per questo motivo la casa editrice Adelphi ha deciso di raccogliere tutti i racconti nel volume Qualcosa di infantile ma di molto naturale, con le traduzioni originali di oltre ottanta racconti.

Katherine Mansfield qualcosa di infantile ma di molto naturale

Spesso, quando le storie di vita sono incredibili e rivoluzionarie come la sua, raccontare il personaggio rischia di offuscarne la scrittura e la produzione letteraria, che nel caso di Mansfield è stata vasta. Anche la morte, e non solo la vita di Mansfield, è stata affascinante e non senza un alone tragico tardo-romantico.

Racconteremo la sua biografia perché non si può slegare un’autrice dalle sue esperienze, ma proveremo a farlo intessendola con i suoi racconti, per non sottrarre tempo a ciò che davvero interessa agli amanti della letteratura, e cioè la sua prosa.

Katherine Mansfield aveva sempre saputo di voler essere una scrittrice, a dieci anni aveva scritto il suo primo racconto, e poi non ha più smesso. Ebbe molto successo, riconosciuto anche durante la sua breve vita.

Neozelandese, arrivava da una famiglia agiata, ma non crebbe col mito della ricchezza: anzi, come spesso succede, provava verso quel mito una specie di repulsione e ironico distacco. Il suo sguardo si spostava spesso dai benestanti ai più poveri, dai colonizzatori ai colonizzati, mettendo in luce le ingiustizie, piccole e grandi.

Andò a Londra per la prima volta a quindici anni, dove frequentò il Queens College e dove cominciò a pubblicare racconti. Qui divenne amica di Ida Baker, che da allora ebbe sempre un ruolo centrale nella sua vita. Lasciò definitivamente la Nuova Zelanda a diciannove anni per diventare scrittrice in Inghilterra.

In quel periodo pubblicò poco, ma ebbe due relazioni stabili, una con un ricco uomo inglese, e una con una donna di nome Edith, di cui parlò nei suoi diari, pubblicati dopo la sua morte (e contro la sua volontà) dal suo secondo marito. Per approfondire ulteriormente la figura di questa scrittrice, c’è (e per chi parla inglese) una puntata dedicata a Katherine Mansfield del podcast The History of Literature del magazine LitHub che racconta nel dettaglio la sua vita, e dà l’assaggio di un suo bellissimo racconto The Garden Party, pubblicato nel 1922.

Katherine Mansfield e Ida Baker, Hazel Steiner

Katherine Mansfield e Ida Baker, Hazel Steiner

Ebbe relazioni con molti uomini, Mansfield, e a vent’anni, dopo essere rimasta incinta di uno, ne sposò velocemente un altro, per sistemarsi, per poi lasciarlo subito dopo il matrimonio e continuare a convivere con Ida Baker. Per partorire di nascosto, fu mandata dalla madre in una clinica in Baviera. Ebbe però un aborto: un buon motivo, secondo la madre, per diseredarla.

A quel punto Mansfield ricominciò a scrivere. Scriveva articoli per un magazine socialista, ed ebbe una relazione con un’altra donna. Nel 1910 una delle sue storie fu pubblicata su Avantgarde, e qui conobbe il suo secondo marito, John Middleton Murry, che le fece da editor. Un uomo detestato dalla comunità letteraria, la convinse a scrivere racconti più bui.

Nel 1911 uscì la sua prima raccolta Una pensione tedesca, che ebbe un buon successo, ma che – come ricorda Murry nella prefazione – con gli anni Mansfield ripudiò con amarezza, ascrivendolo alle esperienze giovanili.

Crescendo, e attraversando la vita, Mansfield fu influenzata da Oscar Wilde, da James Joyce, da Vincent Van Gogh, sia nello sguardo sul mondo che nelle tecniche per raccontarlo, per scriverne. Uno sguardo attento, che descrive un mondo esistente e verosimile, ma anche estremamente frastagliato, discontinuo, fatto di discorsi origliati, pensieri spezzati, cambi di prospettiva, memorie incerte. Non ci sono cause ed effetti perfettamente visibili, come non c’è il vero e non c’è il falso, o ci sono due verità, o tre, o infinite.

“Ecco come aspiro a scrivere. Niente effetti di stile, niente virtuosismi. Solo la nuda verità, come soltanto un bugiardo sa dirla.”

Dopo un primo tentativo di romanzo, L’Aloe, rimasto incompleto, più che incompiuto, – perché avrebbe voluto riempirlo, con il passare degli anni – ispirato alla sua infanzia in Nuova Zelanda, questa sua natura frastagliata prende forma in un racconto lungo, Preludio, scritto attraverso lo sguardo di Kezia, la figlia più piccola di una famiglia, che osserva il trasloco da una casa all’altra, raccontando i suoi familiari, ma soprattutto gli inservienti, le domestiche e i loro figli.

Quando si parla di Mansfield non si può non citare una contemporanea che nel 1917 le chiese un racconto per Hogarth Press, la sua casa editrice. Si tratta di Virginia Woolf che fu una delle massime esponenti del modernismo, una corrente che conta tra le sue fila la stessa Mansfield, James Joyce, T. S. Elliot, Y. B. Yates… e che le commissionò proprio il racconto Preludio.

Come spesso viene ricordato, Virginia Woolf, che negli anni divenne amica e rivale di Mansfield, nei suoi diari scrisse che gli unici lavori di cui fosse invidiosa erano proprio quelli della sua collega Katherine Mansfield. L’autrice e traduttrice Nadia Fusini racconta, parlando del suo romanzo dedicato alla figura di Katherine Mansfield, La figlia del sole (Feltrinelli) che quando l’autrice morì prematuramente, Woolf si chiese chi avrebbe ora letto le sue pagine: aveva infatti perso una avversaria nel mondo della letteratura, forse l’unica che lei avesse considerato tale.

Virginia Woolf, giugno 1926 Corbis Historical (1)

Virginia Woolf, giugno 1926, Corbis Historical

Come Qualcosa di infantile ma di molto naturale, le sezioni del volume, che richiamano le raccolte pubblicate, hanno titoli vivaci, da cocktail party, da vestiti dalle tinte pastello indossati in giardini verdi di pioggia: Felicità, Il nido delle colombe, Una pensione tedesca, così come i racconti, per citarne alcuni Il suo primo ballo, Un’avventura vera, Il viaggio per Bruges, La giovinetta, Bagni turchi, Un viaggio spericolato, Luna di miele. Catturano un’immagine molto più bucolica, mansueta e riflessiva, rispetto a quella che conosciamo. Non è un caso che per la copertina sia stata scelta una donna che, vestita elegantemente, passeggia in un prato, mentre tiene il cappello a tesa larga per timore che le venga portato via dal vento, un dipinto di John Singer Sargent, di gusto impressionista.

Tra i balli, i pic-nic e le piccole perfidie borghesi, la penna di Mansfield è sempre divertita, sempre più alta, più risoluta, spietata.

Nel 1917, quando aveva circa trent’anni, le fu diagnosticata la tubercolosi, poco tempo dopo aver perso il fratello. Questi avvenimenti le fecero venire una feroce mancanza della Nuova Zelanda, dove non poté tornare a causa della malattia. Il suo rapporto con Murry era sempre stato tempestoso e faticoso, e lo divenne sempre più man mano che la malattia si acuiva.

Non è un caso che chi l’ha tradotta, ancora più di chi l’ha amata leggendola, abbia un legame con lei che è quasi famigliare. Grazie alla vicinanza forzata dal mestiere con la sua lingua, con i suoi giochi e le sue vivacità lessicali, i traduttori hanno potuto ammirare ancora di più la sua brillante intelligenza e lo sguardo fine, pungente.

Franca Cavagnoli, traduttrice e autrice italiana, ricorda in un articolo che “negli ultimi anni della sua vita, costretta a passare da una camera d’albergo all’altra sulla Costa Azzurra o sulla Riviera del Ponente ligure perché la tisi di cui soffriva da tempo si era ormai aggravata, Katherine Mansfield portava con sé degli scialli variopinti, a fiorami, che disponeva in giro per la stanza: sul letto, sul piccolo tavolo da lavoro davanti alla finestra, su una poltrona. La facevano sentire sempre a casa.”

Mansfield scrisse alcuni dei suoi migliori racconti nei tre anni prima di morire e pubblicò due raccolte, tra le più conosciute, Bliss (1920) e The Garden Party (1922). Morì a trentaquattro anni in un sanatorio francese, proprio come un’eroina tragica, cadendo una lunga scalinata.

I racconti incompleti, presenti nella raccolta, sono molti, e forse per la loro natura incompleta, nascosta e misteriosa, sono quelli che contengono un germe di possibilità che tende all’infinito.

Mr e Mrs Williams, il racconto di due coniugi che si preparano per una vacanza in Svizzera, termina durante una conversazione tra i due, mentre il marito si sta radendo e dice che spesso le ottime idee gli vengono radendosi. Come molti altri di questi racconti si interrompe nel bel mezzo di una frase, come se a Mansfield fosse venuto in mente di fare qualcos’altro, alzarsi per andare a preparasi una tisana, avvolgersi in uno scialle e, magari, travolta da un accesso di tosse, avesse poi dimenticato di tornarci, troppo indaffarata, lasciando tutti noi così, intontiti e assetati, alla fine di quei punti di sospensione…

“La vita, per me, non è mai abitudine. È sempre meraviglia.”

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Fotografia header: Collage Katherine Mansfield su paesaggio neozelandese, via GettyEditorial, progetto grafico di Silvia Cannarsa

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