Il Rinascimento, per quanto offeso da crisi, guerre, carestie e precari equilibri politici, ha dato un’importanza all’aspetto culturale che ancora oggi rende il Quattro e Cinquecento secoli paradigmatici della fioritura delle arti. Attraverso nomi noti e altri usciti dal canone, nel suo ultimo saggio, “Rinascere”, Nicola Gardini mostra allora cosa significava pensare e scrivere come un uomo o una donna rinascimentale – L’approfondimento

“Invitando a tornare al Rinascimento, intendo semplicemente che certi suoi discorsi, certi suoi sogni, possono fornirci i concetti per agire oggi: armonia, esperienza, fede nel sapere, volontà di comprensione e di interpretazione, immaginazione enciclopedica, attenzione alla natura” (p. 266). Questa citazione, tratta dal Congedo, riassume al meglio le istanze che hanno mosso il lavoro di Nicola Gardini, apprezzato studioso e professore di Letteratura italiana e comparata all’Università di Oxford.

Sulla copertina del suo volume, intitolato Rinascere (Garzanti), campeggia un paesaggio tipicamente rinascimentale, in cui però dalla conchiglia aperta non nasce alcuna Venere. Ed è una scelta felice, questa, perché nel libro Gardini riempie i tanti vuoti che la storia della letteratura ha tracciato escludendo, appiattendo o relegando in angoli bui del canone, tanti nomi importanti del Rinascimento. È per questo che nella scelta delle nove figure da trattare Gardini affianca a nomi arcinoti (Leonardo, Pico della Mirandola, Lorenzo De’ Medici, Machiavelli, Ariosto) personaggi che abbiamo solo sentito nominare (Girolamo Fracastoro, Poliziano, Giovanni Pontano, Cassandra Fedele). E dire che nel Cinquecento erano considerati tra gli intellettuali più degni di nota.

Nicola Gardini

Nicola Gardini (nella foto di Mauro Balletti)

Ecco allora che lo studio di Gardini punta alla riscoperta, e a valorizzare, pur con le loro diversità, alcuni tratti comuni a questi esponenti del Rinascimento: innanzitutto, la loro versatilità, ovvero la capacità di spendersi in più ambiti, rispondendo all’unico e grande imperativo dell’epoca, la curiosità. L’uomo rinascimentale non è più vittima degli dèi, desidera esplorare e conoscere direttamente, guardando con fiducia al progresso. Eppure il Quattro e il Cinquecento non sono stati di certo secoli sereni: crisi, carestie, guerre funestavano i giorni, ma questo non ha fermato la capacità di “osservare le cose da più punti di vista; l’impegno a non fermare la mente in una visione esclusiva, che neghi lo sguardo di altri o prescinda dalle condizioni sempre nuove del vedere” (p. 268). Ed è questo aspetto che può stimolarci, in un presente come il nostro, in cui le preoccupazioni sono tante.

Nicola Gardini Rinascere

Certamente il libro di Gardini riesce in questo, esplora il meno conosciuto con una curiosità rinascimentale, e lo propone a noi lettori di oggi, stimolando una ricerca che non si fermerà con l’ultima pagina del volume, ma andrà oltre.

A proposito di Leonardo e della sua cultura quasi enciclopedica, Gardini, dovendosi ritagliare un aspetto della sua altrimenti sterminata produzione, analizza qui il forte legame tra conoscenza ed esperienza. L’ipse dixit crolla, e questa è una caratteristica fondante del Rinascimento, che inizia a guardare alla scienza con un approccio più empirico, per quanto Leonardo leghi l’osservazione al soggetto, e questa dunque non porti ancora a conoscenze oggettive e universali, come accadrà poi con Galileo.

Ma c’è di più: all’uomo rinascimentale non basta approfondire i saperi; occorre anche divulgarli, come dimostra Pico della Mirandola, con la sua “volontà di inclusione e di armonizzazione” (p. 78), utilizzando la lingua giusta per rendere largamente comprensibile il messaggio.

C’è chi sceglierà vie insolite, come ad esempio Girolamo Fracastoro, che lega i suoi studi in medicina alla passione per la poesia latina: le sue osservazioni sulla sifilide (da lui così battezzata) trovano posto in eleganti esametri dal passo virgiliano, in cui risuonano ricordi di Lucrezio. Quel che oggi pare impensabile, non lo era allora: il suo Syphilis, poemetto di oltre mille versi, diventa un bestseller nel 1530, e viene tradotto, esportato e più volte ristampato.

Un poemetto in latino, dunque; ma quale latino? E in alternativa, quale volgare? La questione della lingua, come si sa, è centrale tra Quattro e Cinquecento, e Gardini sceglie di trattarla senza dedicare un capitolo specifico a Bembo e alle sue teorizzazioni; d’altra parte, questo sarebbe stato superfluo, dal momento che le sue lezioni entrano e si infilano già negli altri capitoli, perché imprescindibili. Infatti, davanti a ogni nuova opera, l’uomo rinascimentale si deve porre un primo quesito: volgare o latino? La scelta risponde a necessità differenti, spesso legate anche a temi diversi o alla destinazione dell’opera: ci vorranno Machiavelli e Lorenzo De’ Medici per comporre trattati in volgare. Di quest’ultimo, ad esempio, Gardini ricorda le opere attualmente meno lette e tuttavia le più meritevoli, come l’Ambra e le Selve d’amore, in cui il tema dell’amore si sposa con indagini filosofiche sulla felicità, intrecciata all’attesa e all’errore, generatori di sofferenza, ma non abbastanza forti per porre fine alla speranza. D’altra parte, di De’ Medici Gardini ricorda anche il Commento ad alcuni sonetti, importante opera di autoesegesi in volgare, nonché la promozione della lingua con la Raccolta aragonese, in cui veniva riunita la produzione poetica in toscano, dalle origini fino alle opere di Lorenzo stesso.

Ma anche il latino rinasce, e le tessere del passato si rigenerano in nuovi accostamenti, in omaggi che non sono mai mere imitazioni, ma qualcosa di più. Per Poliziano è importante sperimentare la varietas ed essere poeta, non specificatamente “quel” poeta, e dunque si misura con una molteplicità di temi classici, senza mai affondare nell’autobiografia. Diversa è la scelta di Giovanni Pontano, che ritiene che la sua scrittura sia fortemente legata alla vita e parta proprio dall’esperienza. Secondo Gardini, Pontano opera un ringiovanimento del latino, ponendo una nuova attenzione, ad esempio, al mondo dei bambini, argomento non affrontato approfonditamente prima. O ancora, anche l’unica donna presente nel volume, Cassandra Fedele, offre un bell’esempio di esercizio del latino, in cui risuonano le voci degli antichi e la loro memoria, come si può osservare leggendo l’orazione che Cassandra ha scritto in occasione di una laurea.

Tuttavia, l’idea di “rinascere”, che trova perlopiù una valenza positiva in questi intellettuali, assume una sfumatura nuova in Ariosto: nel suo Orlando furioso gli uomini e le donne sono costretti a “rinascere senza sosta”. I loro fini ultimi vengono continuamente distratti dalla storia, che, anziché procedere lungo una linea retta, si muove come un serpente, come uno scarabocchio, proponendo continui ostacoli che rallentano o impongono di cambiare strada. Ma, come ricorda Gardini, al caos inevitabile si oppongono le profezie, ovvero lo sguardo sul futuro e la lungimiranza, che strappano il poema (e la vita) dalla totale arbitrarietà della sorte.

Procedendo tra citazioni (talvolta in latino, con traduzione dello stesso Gardini), l’autore riconferma la sua capacità di avvicinare il lettore anche a opere non sempre semplici, che affrontano letteratura, filosofia, trattati scientifici… E accanto all’esegesi dei passi presentati, raccordata da riflessioni su etimologie, tematiche trasversali e rimandi ad altri intellettuali, Gardini prepara densi e preziosi ritratti dei protagonisti dei vari capitoli: poche righe sorvegliate, in cui ogni aggettivo designa con precisione una personalità artistica e umana.

Si esce arricchiti dalla lettura di Rinascere: i tanti temi e le divagazioni suscitano momenti di riflessione, e la felicità dell’espressione rincuora sulla possibilità, anche oggi, di fare divulgazione senza rinunciare a una bella prosa.

Abbiamo parlato di...