La storia di Rosmunda, regina dei Longobardi, fa parte del patrimonio culturale dell’Italia (e non solo) fin dal Medioevo, a partire dalla canzone popolare “Donna Lombarda” fino alle numerose riletture della sua vicenda, soprattutto in ambito teatrale. Ma la sua storia può ancora parlare al pubblico di oggi? A 1450 anni dalla morte della regina longobarda, Benedetta Carrara (autrice dello spettacolo teatrale “Rosmunda”), delinea il ritratto di un figura femminile risoluta e forte che, però, possiede anche fragilità e desideri…

Fin dal Medioevo, la storia di Rosmunda, regina dei Longobardi, fa parte del nostro patrimonio comune di storie.

Principessa gepida, Rosmunda venne reclamata come trofeo di guerra da Alboino, re dei Longobardi, che tramite il matrimonio si assicurò la presenza dei Gepidi nel suo esercito – un vantaggio non indifferente, considerato l’obiettivo di conquistare la bella Italia. E infatti, proprio poco dopo aver raggiunto tale obiettivo, durante un banchetto Alboino decide di far partecipare la moglie a un rito tipicamente barbarico: bere dal teschio del nemico, in modo da incorporarne la forza.

“Bevi, Rosmunda, nel teschio di tuo padre” è la frase che dà avvio alla tragedia.

Dopo quel banchetto, infatti, Rosmunda ordisce l’omicidio del marito; sposa il complice, lo scudiero Elmichi (o, a seconda delle versioni, Amalchilde), ma la pressione dei duchi la spinge a fuggire verso l’esarcato di Ravenna, portando con sé la figlia di primo letto di Alboino e il tesoro dei longobardi. Lì la possibilità di unirsi al prefetto del pretorio, Longino, la persuade a commettere un nuovo crimine, cioè l’uccisione del secondo marito. Ma proprio in questa spirale di vendetta e di tradimento, la giovane regina da carnefice diventa vittima: Elmichi, resosi conto di essere stato avvelenato, la costringe a bere a sua volta il veleno, segnando così la fine della sua storia.

Questa storia, raccontata prima da Paolo Diacono nella Historia Langobardorum e poi ripresa anche da Machiavelli nelle Istorie Fiorentine, ha alimentato a lungo la cultura italiana e non: a livello popolare, diverse sono le versioni della canzone Donna Lombarda, come anche le parodie della tragedia; se guardiamo invece alla cultura alta, troviamo diverse riletture della vicenda, soprattutto in ambito teatrale. Del resto non sorprende: gli intrighi di corte hanno dominato a lungo la fantasia dei tragediografi, inebriati dai tradimenti, gli omicidi, le vendette, i conflitti tra onore e potere. E se da un lato è innegabile che il pubblico ama risentire le stesse storie, rassicurato dalla presenza di una trama e da delle dinamiche almeno parzialmente note, è anche vero che la qualità di queste opere risiede nella loro capacità di distaccarsi dal mero dato storico, offrendo uno o più elementi di novità al lettore (o spettatore, a seconda del caso). Come scrive il Manzoni:

“Perché, in sostanza, cosa ci dà la storia? Avvenimenti noti, per così dire, solo esteriormente; ciò che gli uomini hanno fatto; ma ciò che hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti (…) tutto ciò, tranne pochissimo, è passato sotto silenzio dalla storia, e tutto ciò forma il dominio della poesia.”

Alcuni dei testi su Rosmunda coprono l’intero arco della vicenda, come il testo di Sem Benelli, edito nel 1911 e andato in scena il 20 dicembre dello stesso anno al Teatro Lirico di Milano. In questa versione, Rosmunda entra in scena che è ancora giovane, e dopo aver appena assistito alla caduta del regno del padre.

Già dall’inizio, però, rivela un carattere deciso, risoluto: quando le si chiede di ballare in cambio della libertà, lei rifiuta, perché non crede che Alboino manterrà la promessa. Anche nell’incontro con Longino, nel secondo atto, non esita a esprimere il dolore e la rabbia per la sua condizione, e proprio queste passioni violente la porteranno alla fine violenta, macchiandosi prima le mani di sangue e poi morendo a sua volta. Una tragedia oggi abbastanza dimenticata, e ingiustamente, considerato che Benelli fu autore in voga, capace di scrivere opere “intimamente sincere”, per citare Silvio D’Amico.

Non stupisce, poi, che una personalità eccentrica e decadente come Algernon Charles Swinburne, poeta inglese del secondo ‘800, abbia subito il fascino di questa regina. La sua Rosamund, Queensland of Lombards (1860), composta sull’onda della fascinazione per l’età medievale, tratteggia la freddezza ed efferatezza di Rosmunda, che tesse la sua vendetta manipolando le persone intorno a lei.

Diverso è invece l’approccio di Vittorio Alfieri, che nella sua Rosmunda (1783) si concentra su un momento particolare della vicenda: Alboino è già stato assassinato e la regina, segnata dagli abusi del passato e corrosa dall’insicurezza, è ancora nella corte longobarda. Fulcro dell’opera è il rapporto tra la regina la figlia di primo letto di Alboino, Romilda (nome inventato dall’Alfieri, per sostituire il cacofonico Alpsuinda), e tra queste due e Amalchilde (variante del nome Elmichi, il secondo marito di Rosmunda) e Ildovaldo, entrambi valorosi guerrieri innamorati della giovane principessa.

Spostando il focus della vicenda dagli intrighi di corte, ci viene offerto un quadro più intimo e umano della regina: non solo una feroce assassina, ma soprattutto una donna, spinta dal risentimento e dall’invidia a commettere azioni terribili, sfogando la sua rabbia su una giovane indifesa ma pronta ad affrontare il proprio tragico destino. È lo stesso autore a riconoscere che Rosmunda non è del tutto indegna di pietà, se si tengono a mente le violenze e crudeltà che gli altri hanno compiuto nei suoi confronti. Ma, proprio per sottolineare la differenza tra lei e Romilda, le qualità che potrebbero redimerla – come la capacità di amare Amalchilde – risultano troppo pallide e smorzate per permettere di empatizzare con lei. Nonostante questo, è evidente che i personaggi di quest’opera sono finemente caratterizzati; fatto di cui lo stesso Alfieri era ben conscio, tanto da sostenere che la sua sia la prima tragedia di soli quattro personaggi in cui l’autore sia riuscito a creare “quattro attori diversi tutti, tutti egualmente operanti, agitati tutti da passioni diverse, che tutte s’incalzano e si urtano e s’inceppan fra loro.”

Ma la storia di Rosmunda può ancora parlare al pubblico di oggi? La corte e i suoi meccanismi perversi continuano tutt’ora a ispirare diverse opere contemporanee, pur trattandosi di temi apparentemente slegati dal nostro vissuto. È infatti evidente che le difficoltà di una donna che cerca di sopravvivere in una società patriarcale continuano a risuonare in noi: esse sono le difficoltà che osserviamo nella nostra realtà, giorno dopo giorno. Anche oggi, le donne vivono in una società che non sempre le protegge, spesso relegate ai margini del potere, sia esso politico, economico o sociale, e il pensiero delle continue ingiustizie anima la loro rabbia e la loro sete di giustizia. Certo, le soluzioni di Rosmunda ci appaiono barbare e biasimevoli (giustamente), ma è davvero così difficile comprendere l’insicurezza, la paura e il risentimento che l’hanno smossa? Forse, anzi, bisogna continuare a narrare la sua storia. Proprio la tragedia dell’Alfieri, chiudendosi sull’immagine di Rosmunda che ha appena assassinato Romilda e giura vendetta ad Amalchilde, sembra quasi invitarci a riprendere, a 1450 anni di distanza, questa storia di passioni immortali:

“Ho il ferro ancor; trema: or principia appena
La vendetta che compiere in te giuro.”

locandina rosmunda

L’AUTRICE – Benedetta Carrara, classe 2000, vive e studia a Pavia. Dopo essersi laureata a pieni voti in Lettere Moderne con una tesi sull’uso della maschera nella pedagogia teatrale di Copeau, inizia a frequentare la magistrale di Scritture e progetti per le arti visive e performative. Nel 2020, ha esordito con il testo teatrale Una cosa bella (Divergenze), poi portato in scena dal collettivo Matrice Teatro. Nel 2021, il suo corto Monstrum è stato incluso nella Biblioteca Virtuale di Teatro i.

LO SPETTACOLO TEATRALE – Al momento Benedetta Carrara è impegnata, con la collaborazione del teatro Spazio Centrale, nella produzione dello spettacolo Rosmunda, rilettura della storia della regina longobarda. Il debutto dello spettacolo (della compagnia Officina Pierrot; produzione Officina Pierrot e Abriga.it), di cui Carrara firma regia e drammaturgia, è previsto il 18 dicembre 2022, a 1450 dalla morte di Rosmunda.

Rosmunda era appena una ragazzina quando, in seguito alla sconfitta del suo popolo e alla morte del padre, è stata costretta a sposare Alboino, re dei Longobardi. Intrappolata in un matrimonio infelice e indifesa davanti alle offese del marito, insieme a una serva e a Elmichi, armigero del re, complotta contro il marito. Ma ben presto perde il controllo della situazione e la spasmodica ricerca di protezione e potere la porta a macchiarsi di colpe sempre più gravi…

Allo spettatore viene offerto il punto di vista di Rosmunda, in un racconto del duro contesto patriarcale in cui ella era costretta a vivere per riflettere sulla società di oggi, e sul confronto tra la condizione della donna all’epoca e ora.

Sul palco Alex Cimafonte e Giulia Montessoro. Voci di Alberto Camanni e Pietro De Nova. Musiche di Stefano Ciapponi

 

 

 

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