“La meridiana” è il primo degli ultimi tre romanzi di Shirley Jackson con una casa nel cuore, e tra le sue opere è senza dubbio l’oggetto più bizzarro: ricco di riferimenti letterari, impliciti ed espliciti, è un testo spassoso dalla forte impronta teatrale, non solo per l’eco shakespeariana…

Le tante case della letteratura si ergono maestose al limitare delle foreste, svettano sulle colline lontane come promesse; i loro cancelli possono aprirsi invitanti o diventare confini tra due realtà.

I muri assorbono tutto quello a cui assistono: Manderley, la tenuta di famiglia del marito compare in sogno alla protagonista di Rebecca di Daphne du Maurier, le sue ombre indistinguibili da quella dell’ingombrante prima moglie.

Regna il male invece a Bly, in Giro di Vite; e nonostante diverse vicissitudini la portino di qua e di là, è impossibile pensare a Jane Eyre senza pensare ai segreti racchiusi in Thornfield Hall. E c’è lei, Shirley Jackson, che ci insegna che tutte le case sono case infestate.

La meridiana, Shirley Jackson

La meridiana, pubblicata da Adelphi nella traduzione di Silvia Pareschi, è il primo degli ultimi tre romanzi di Jackson con una casa nel cuore: seguiranno L’incubo di Hill House, rilanciato qualche anno fa da una serie Netflix (liberamente ispirata), e Abbiamo sempre vissuto nel castello, tutti editi da Adelphi.

È un trittico di storie inquietanti e struggenti, malinconiche e feroci; La meridiana è anche incredibilmente spassosa.

La dimora degli Halloran si apre allo spettatore in un momento doloroso: l’erede è morto in seguito a una caduta dalle scale. La vedova e la figlia affermano a gran voce che è stata la stessa nonna Halloran – Orianna – a spingerlo, per assicurarsi il pieno dominio sulla villa. È un legame strettissimo quello tra Orianna e la casa, che, per sua ammissione, è il motivo per cui ha sposato Richard Halloran. Le due ali perfettamente simmetriche, il parco, il labirinto e la bianca meridiana con la curiosa frase incisa “Che cos’è questo mondo?”: il regno di Orianna è già perfetto in sé, doppiamente esclusivo e divorante.

“La terra degli Halloran era separata dal resto del mondo da un muro di pietra che la circondava per intero, in modo che ogni cosa dentro il muro era Halloran e ogni cosa fuori non lo era”: questa distinzione assume un significato del tutto particolare quando la cognata nubile di Orianna si imbatte nel fantasma del padre, all’alba, e riceve un annuncio strabiliante: sta per arrivare l’apocalisse, e solo le persone dentro la casa si salveranno, e potranno uscire e prendere possesso di un mondo nuovo, finalmente ripulito da ogni male. Come in Abbiamo sempre vissuto nel castello, qui la casa è un rifugio, una fortezza contro la crudeltà dell’esterno che merita una penitenza; ma come accadrà in Hill House, la casa può avere bisogno di chi la abita quanto e più del contrario.

Tra le opere di Jackson è senza dubbio l’oggetto più bizzarro: ricco di riferimenti letterari, impliciti ed espliciti – come il Robinson Crusoe che l’infermiera legge a Richard ogni sera – è un testo dalla forta impronta teatrale, non solo per l‘eco shakespeariana.

Quasi interamente ambientato dentro le mura della tenuta, a parte qualche rara sortita verso l’esterno, compresa una paurosa avventura notturna tra i boschi dove più che mai diventa evidente il potere magnetico della casa, da cui non ci si può più staccare una volta che ti ha accolto, i dialoghi saettano per le ampie sale senza perdere un battito. I numerosi personaggi si rimbalzano motti di arguzia, battute salaci; ogni tanto si lasciano andare a confidenze che per un momento aprono uno spiraglio sulla loro interiorità, ancora più protetta della dimora in cui si sono barricati. Essex, il bibliotecario, ha la malinconia di uno Yorick e l’ambiguità di un Peter Quint, e del resto Henry James è un altro autore che viene manifestatamente richiamato.

Se gli abitanti della casa vivono nell’illusoria credenza di essere più meritevoli di altri, nella piccineria delle loro ambizioni, non c’è una maggiore magnanimità nei confronti dei paesani, quelli che non potranno salvarsi: creduloni e bigotti, come sempre Jackson espone tutte le meschinità del consesso umano.

Se davvero il pianeta sta andando incontro alla distruzione, chi ha il diritto di ricostruirlo? E se la punizione arriva per la cattiveria dei viventi, in cosa sarà migliore quello che verrà dopo?

Preoccupandosi di accatastare i viveri e gli oggetti più disparati necessari alla sopravvivenza, e bruciando i libri della biblioteca per fare più spazio, il clan Halloran dà per scontato che esisteranno ancora gerarchie, e che ancora saranno loro a emergere dalla superficie. E mentre le pagine si affrettano verso la fine, rimane nella testa di tutti la domanda centrale, riportata sull’incisione della bianca meridiana in giardino: nell’attesa di quello che verrà, che cos’è questo mondo?

Solo Shirley Jackson, nipote di architetti, costruttrice di fortezze, ha una risposta.

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