Le violente persecuzioni subite nel ‘600 dai cristiani giapponesi tornano alla ribalta grazie al film “Silence” di Martin Scorsese, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore Shūsaku Endō. Molti fedeli furono costretti a calpestare le immagini di Cristo. Alcuni non ci riuscirono e abiurarono. Nell’apparente indifferenza di quel Dio nel cui nome venivano torturati e uccisi

Abbraccia molti temi cari a papa Francesco il film-evento Silence al quale il regista Martin Scorsese ha iniziato a lavorare nel lontano 1989 e che uscirà negli Stati Uniti il 23 dicembre e in Italia il 12 gennaio. C’è il tema del martirio, la presenza del cristianesimo nelle periferie del mondo e lo scandalo del silenzio di Dio in questa pellicola proiettata in anteprima mondiale nella Filmoteca vaticana il 1° dicembre scorso dopo che il Pontefice aveva ricevuto in udienza privata lo stesso Scorsese accompagnato dalla moglie.

Basato sul celebre romanzo dello scrittore cattolico giapponese Shūsaku Endō (scritto nel 1956 e pubblicato in Italia da Corbaccio), il film, che dura più di due ore e mezza, racconta le durissime persecuzioni subite nel Giappone del Seicento dai cristiani e le eroiche missioni dei padri gesuiti.

L’anteprima del film ha avuto una vasta eco nei media internazionali. Il New York Times lo ha definito la “passione” del regista che vi ha trasfuso “tutto il suo sentire spirituale”, sottolineando come in questo lavoro Scorsese ritorni con un nuovo vigore al tema che ha sempre animato la sua vita: la fede. Per questo, ha sottolineato il quotidiano newyorkese, opera e artista diventano una “cosa sola” anche perché “non ci si aspetterebbe questo film da un grande artista americano, conosciuto soprattutto per le storie di gangster”. The Guardian ha già candidato la pellicola all’Oscar per la migliore regia, miglior attore e migliore fotografia.

L’altra particolarità è che, forse per la prima volta nella storia del cinema, per fare il film uno degli attori protagonisti (Andrew Garfield), privo di qualsiasi formazione cristiana, ha fatto gli esercizi spirituali secondo il classico metodo ignaziano, mentre un altro (Adam Driver), anch’egli lontano dalla religione, ha voluto partecipare a un ritiro spirituale. A rivelarlo nei giorni scorsi all’Osservatore Romano è stato James Martin, direttore della rivista America. Cinquantaseienne di Philadelphia, il gesuita è stato consulente del regista newyorkese ed è venuto con lui in Vaticano per l’anteprima del film. Un altro autorevole consulente storico-religioso del film è stato lo studioso gesuita Antoni Üçerler, docente di Storia giapponese alla Sophia University di Tokyo.

Tutto è cominciato nel 2014, “quando”, ha raccontato Martin, “Scorsese e suoi collaboratori Marianne Bower e Jay Cocks mi hanno cercato perché avevano bisogno di capire i gesuiti”.

La Compagnia di Gesù, infatti, è al centro della vicenda raccontata nel romanzo e nel film che prende le mosse dalle espulsioni, divenute sistematiche a partire dalla metà del Seicento, dei missionari cattolici dal Paese del Sol Levante. Prima di allora il cristianesimo aveva attecchito in Giappone grazie alle missioni dei discepoli di Sant’Ignazio, a cominciare dal pioniere San Francesco Saverio, giunto da Goa a Kagoshima nel 1549 e rimasto in Giappone fino al 1551 tra tumultuosi e non sempre facili rapporti con i vari daimyō. I Gesuiti, grazie alla loro esperienza commerciale e alle conoscenze tecniche e scientifiche, riuscirono a radicarsi soprattutto a Kyūshū e Kyōto, alcuni daimyō si convertirono al cristianesimo e inviarono perfino ambasciatori a Roma. Nel 1582 il visitatore gesuita Alessandro Valignano stimava che in Giappone fossero state erette 200 chiese e ci fossero circa 150mila convertiti. Frattanto, mentre nel Paese cominciavano ad arrivare i mercanti europei dei Paesi riformati, olandesi e inglesi, per i cattolici si profilavano tempi bui. Il cristianesimo cattolico, infatti, sulle prime era considerato una specie di buddhismo, però, a causa del suo carattere dogmatico e ricco di “misteri” sacramentali, risultava per la mentalità giapponese irrazionale e sospetto di magia. Nel decennio 1589-1597 scattarono i primi provvedimenti repressivi, nel 1612 una legge dello shogun proibì il cattolicesimo definito “dottrina perversa” (jakyō). L’anno dopo vennero espulsi tutti i missionari e i convertiti e circa 300 cattolici lasciarono il Paese. Nel 1619 quasi 60 fedeli vennero condannati al rogo, tre anni dopo 55 vennero giustiziati nel cosiddetto “grande martirio di Nagasaki”. Nel 1625 venne inaugurata la pratica barbara dei fumi-e (“immagini da calpestare”), tavolette di legno con le icone del Cristo e della Vergine che si dovevano profanare calpestandole come prova di abiura del cristianesimo da parte degli iniziati. Chi si rifiutava di farlo veniva torturato e ucciso.

È questa, in sintesi, la vicenda dei “kakure kirishitan”, i “cristiani nascosti” che per due secoli conservarono la propria fede vivendo nel silenzio e nella clandestinità.

Esattamente due secoli dopo, nel 1866, un sacerdote francese – dopo che in Giappone furono di nuovo riammessi i missionari cattolici europei – scoprì i documenti di quella pagina nascosta e dimenticata della storia civile e religiosa nipponica che riguardava i kirishitan, cancellati con la violenza verso la metà del Seicento. A rievocare quegli eventi è lo scrittore Shūsaku Endō il quale, colpito da un’immaginetta lignea di quelle “da calpestare” da lui vista nel museo di Nagasaki, ne fece la base per il suo romanzo edito nel 1956 con il titolo inglese, Silence, che anche papa Francesco ha rivelato di aver letto e apprezzato.

martin scorsese

Il silenzio di cui ci parlano romanzo e film è quello più scandaloso e terribile per un credente, soprattutto quando vive nella sofferenza e nell’angoscia: il silenzio di Dio. Perché la storia nella storia, nel Giappone shogunale dei Tokugawa, riguarda due gesuiti portoghesi, Sebastião Rodrigues e Francisco Garrpe, che nel 1634, nove anni dopo l’introduzione del rito delle “immagini da calpestare”, su mandato della Compagnia, entrarono clandestinamente nel Paese alla ricerca di notizie di un confratello, il loro ex docente di filosofia Cristóvão Ferreira, divenuto superiore provinciale della Compagnia di Gesù ma poi misteriosamente scomparso. Padre Ferreira, in realtà, non aveva retto alla durissima prova della persecuzione e aveva rinnegato la fede a Nagasaki. È il suo intimo dramma al centro del romanzo e del film. A onor del vero, padre Ferreira tornò poi alla fede (che in cuor suo, nell’intimo, forse mai aveva abbandonato) e fu infine reintegrato nella Compagnia stessa. “Centro teologico, ma anche drammatico di tutto”, ha scritto lo storico Franco Cardini sulla rivista Vita e Pensiero, “è difatti non tanto e non solo il dramma dei perseguitati che non sempre hanno la forza di affrontare il martirio – un grande tema dell’intera storia cristiana dal I secolo d.C. a oggi – ma soprattutto la presenza del Dio cristiano, un Dio di perdono e di misericordia”.

Lo stesso padre Rodrigues, partito con grande entusiasmo per evangelizzare il Sol Levante si rese subito conto della situazione drammatica dei cristiani, lui stesso visse in prima persona le persecuzioni e finì, evangelicamente, per essere tradito dall’amico Kichijiro, il suo “Giuda”, mentre implorava Dio di rompere il suo enigmatico e terribile “silenzio”.

Le gerarchie cattoliche giapponesi, quando nel 1956 uscì il romanzo di Endo, sconsigliarono la lettura ai fedeli sostenendo che esso costituisse un’offesa nei confronti dei martiri del Seicento, visto che il libro raccontava la tragedia di un “rinnegato”, un apostata della fede che non seppe resistere alle persecuzioni e testimoniare Cristo con coraggio. “In fondo”, ha detto Scorsese, “anche ripetere ‘ho paura, ho paura, ho paura’ rivolgendo il pensiero a Dio, mantenendo il dialogo con lui, è pregare”. Come il grido che Cristo stesso lanciò in croce prima di morire: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. È lo stesso grido che anche oggi migliaia di cristiani sconosciuti, senza nome né volto, lanciano ogni giorno a quel Dio in nome del quale vengono perseguitati e uccisi.

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