Paura di non essere all’altezza, timore del giudizio altrui, convinzione di valere meno di quello che pensano gli altri. La sindrome dell’impostore non è una malattia, ma è comunque sfibrante e invalidante. Un approfondimento dedicato a vari libri che indagano il fenomeno, mostrandoci come rifiorire e smascherare il “truffatore” che ci portiamo dentro

Non me lo merito. Non sono abbastanza. Valgo molto meno di quello che pensano. Se hai mai provato la sensazione di aver “truffato” qualcuno, di aver venduto capacità e competenze che non credi di possedere, di aver barato per raggiungere un traguardo, allora potresti soffrire della sindrome dell’impostore. Certo, non si parla di un caso isolato, ma di una condizione di costante svalutazione, un’opprimente convinzione di sentirsi sempre manchevole, sempre meno degli altri.

Il fenomeno – che pare essere stato identificato nel 1978 da due studiose americane, Pauline Rose Clance e Suzanne Imes – può riguardare tutti, in diversi campi e a diversi livelli, ma sembra coinvolgere nello specifico le donne. Nell’ultimo periodo se ne sta parlando sempre di più, e molti personaggi pubblici stanno condividendo la propria esperienza: in un’intervista Emma Watson ha ammesso di essere a disagio nel ricevere elogi perché si sente un impostore, e anche le attrici Rénee Zellweger e Kate Winslet hanno raccontato di aver provato sentimenti simili.

Spostandoci dal campo dello spettacolo a quello della politica, Jacinda Ardern, primo ministro della Nuova Zelanda, ha parlato della sua insicurezza, ammettendo di provare una mancanza di fiducia nelle sue capacità professionali. Come lei, anche Michelle Obama ha confessato alle studentesse britanniche della Elizabeth Garrett Anderson School: “Non va mai via, la sensazione di non dover essere presa sul serio. Voglio condividerlo con voi perché tutte abbiamo dubbi sulle nostre capacità, sul nostro potere e su quale sia questo potere”.

vali più di quel che pensi

Secondo Valerie Young, autrice di libri come Secret Thoughts of Successful Women e Vali più di quel che pensi (Corbaccio, traduzione di Anna Talò), la sindrome dell’impostore è particolarmente diffusa tra le persone che ricoprono alti livelli, ma anche tra i gruppi di minoranza, i creativi e gli studenti. Si manifesta durante tutto il periodo di studi, per poi proseguire nel mondo del lavoro, dove le donne tendono a reputare le loro prestazioni peggiori di quanto non siano oggettivamente, mentre al contrario spesso gli uomini giudicano migliori le proprie.

Ma che cosa comporta di preciso la sindrome dell’impostore? E da quali fattori è scatenata? Ansia, attacchi di panico, fino ad arrivare alle manifestazioni psicosomatiche, possono essere le conseguenze più estreme; ma anche credere di non essere all’altezza, la certezza che il tuo successo sia dovuto alla fortuna e che un giorno la tua mancanza di capacità sarà smascherata di fronte a tutti, è un pensiero piuttosto sfibrante e invalidante. Non si sa esattamente cosa la causi, ma le pressioni del perfezionismo, le aspettative sociali sempre crescenti e la paura del fallimento di certo rivestono un ruolo non indifferente.

Copertina del libro Pensavo di essere io e invece era la sindrome dell'impostore

A parlarne diffusamente in una nuova pubblicazione per Vallardi è la content creator, speaker e conduttrice radiofonica Florencia Di Stefano-Abichain (conosciuta su Instagram come Florenciafacose) che con il suo Pensavo di essere io… invece è la sindrome dell’impostore analizza nel dettaglio questo fenomeno, partendo dalla sua storia personale e specificando, come prima cosa, che non si tratta di una “malattia”, ma di una “forma mentis” o, addirittura, di una “predisposizione dell’animo umano“.

Approfondendo nel suo libro, tra le altre cose, il perché questa condizione riguardi spesso più le donne che gli uomini, l’autrice conclude il suo volume fornendo una serie di trucchi per provare a gestirla: mordersi la lingua, riderci su, godersi ciò che si ha, disintossicarsi dai social, cogliere le opportunità e circondarsi di persone positive.

L’APPUNTAMENTO CON “LIBLIVE” SUL PROFILO INSTAGRAM DE ILLIBRAIO – Il 20 ottobre, alle 18:30, Florencia Di Stefano-Abichain presenta Pensavo di essere io… invece è la Sindrome dell’Impostore con Jolanda Di Virgilio

Copertina del libro E se poi mi scoprono

Anche in Francia l’argomento deve essere caldo, tanto che la giornalista Elisabeth Cadoche e la psicoterapeuta Anne de Montarlot ne hanno scritto nel libro E se poi mi scoprono?, in uscita in Italia da Longanesi, con una prefazione di Ester Viola. Nella guida in questione si spiega cos’è e come si combatte la cronica mancanza di autostima, focalizzando l’attenzione proprio sulle donne, la cui assenza di fiducia in se stesse sembra derivare principalmente dal minore successo economico.

Ma la sfera lavorativa non è certo l’unica in cui si manifesta la trappola dell’impostore: dal sesso alle relazioni personali, ogni ambito dell’esistenza è a rischio di continui atti di autosabotaggio.

l'ingannevole paura di non essere all'altezza

Qualcuno dirà che questa “sindrome dell’impostore” è solo una parola, non una diagnosi medica, ma provare a fissarla in un termine specifico rappresenta un tentativo di individuare un problema strutturale, ponendo l’attenzione nei confronti dei sottovalutati o degli esclusi – che sono i più esposti a questo tipo di dinamiche. Dinamiche che sono destinate ad autoalimentarsi, creando un cortocircuito che condanna chi è ai margini a non avere la forza e la fiducia necessarie per emanciparsi.

Del resto è complicato riemergere dall’insidiosa palude della paura di non essere all’altezza, per questo spesso i libri sull’argomento si pongono non solo come testi divulgativi, ma anche come una sorta manuali per chi ha bisogno di aiuto.

Tra quelli con vocazione più esplicitamente “self help” c’è L’ingannevole paura di non essere all’altezza (Ponte alle Grazie) di Roberta Milanese, in cui la dottoressa racconta casi di intervento nell’ambito della Psicoterapia Breve Strategica e fornisce diverse raccomandazioni raccolte sotto un unico, imprescindibile postulato: “L’autostima non si eredita, si costruisce“.

In fondo non si può piacere tutti, e visto che la sindrome dell’impostore è dettata proprio da una scarsa considerazione di sé, da un timore del giudizio altrui, nonché da una mancata introiezione del successo – che porta alla svalutazione personale – sicuramente il lavoro più importante da fare per superarla, oltre a piccole pratiche quotidiane, è un percorso terapeutico.

Forse non si potrà mai mettere a tacere quella voce interiore che continua a ripeterci quanto siamo inadeguati, ma almeno possiamo provare a trasformarla in un’utile alleata, che ci infonda la spinta per rifiorire e per andare avanti, con la tolleranza di accettare anche le cadute e i fallimenti.

L’AUTRICE – Jolanda Di Virgilio lavora nella redazione de ilLibraio.it. È co-autrice, con Sara Canfailla, del romanzo d’esordio Non è questo che sognavo da bambina (Garzanti, in libreria il 26 agosto).
Al centro del libro, ambientato in un’agenzia di comunicazione milanese (e in cui la città, i suoi locali, i suoi quartieri sono co-protagonisti), si racconta cosa significa diventare adulti oggi: le relazioni finite prima di cominciare, il senso di impotenza di fronte a un sistema lavorativo precario e ingiusto, la frustrazione di vivere in una città difficile, dove dicono che ci sia posto per tutti dimenticandosi di dire che, in quel posto, ci si sente molto soli.

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