Sofia Coppola ha girato per tutta la vita un solo film: è di questo, soprattutto, che parla “Sofia Coppola – Forever Young”, libro-atlante firmato da Hannah Strong, e che ispira 18 brevi riflessioni sulla regista di opere come “Il giardino delle vergini suicide”, “Lost in Translation”, “Marie Antoinette” e “Somewhere”
-“Evidentemente lei, dottore, non è mai stato una ragazzina di tredici anni”. È la famosa battuta che Cecilia, stufa di rispondere alle domande del medico dopo il suo tentato suicidio, pronuncia nel romanzo Il giardino delle vergini suicide di Eugenides e ripresa alla lettera nella trasposizione filmica di Sofia Coppola. Mostrare, anzi far vedere, senza mai indulgere nella spiegazione, cosa vuol dire essere una ragazzina di tredici anni è quello che ha cercato di fare la gran parte del cinema di Coppola: è questa l’età di Marie Antoinette quando lascia l’Austria per arrivare alla corte di Francia, è l’età di Priscilla al suo primo incontro con Elvis, è l’età di Cleo, figlia del protagonista di Somewhere o di alcune delle giovani protagoniste dell’Inganno. Non troppo più grandi sono gli adolescenti di Bling Ring o Charlotte in Lost in translation.

In libreria per il Saggiatore Sofia Coppola – Forever Young di Hannah Strong (prefazione di Alice Rohrwacher, traduzione di Sara Reggiani)
-Non è un caso, allora, che il sottotitolo del libro-atlante che Hannah Strong dedica a Sofia Coppola sia Forever Young, perché in questo crinale si intravede quasi tutta la sua estetica: nell’indagine non melodrammatica, anticlimatica, noiosa finanche, dell’adolescenza. Quello di Strong, da poco pubblicato da il Saggiatore, è un libro anche (e soprattutto) da guardare, con bellissime riproduzioni di immagini e interpretazioni affidate a didascalie che accompagnano dei percorsi visivi.
-È, anche, naturalmente un saggio (un po’ troppo appassionato nei confronti del suo oggetto, quasi sempre chiamato per nome, Sofia), che ripercorre la produzione della regista a partire dai suoi temi principali: innocenza e violenza; fama ed eccesso; padri e figlie; amore e solitudine. Manca adolescenza, perché c’è in tutti. Manca anche noia.
–L’adolescenza in Coppola è un’età crudele. Ma di una crudeltà fredda. Antimelodrammatica.
-In un saggio di molti anni fa, Susan Sontag scriveva che la noia è diventata una caratteristica intrinseca dell’arte moderna. Lo diceva non in senso negativo. E per certi versi vale anche per i film di Coppola: la noia, l’indugio, il ritmo lento è volutamente ricercato, è un’estetica che serve a far vivere, oltre che vedere, l’esperienza dei personaggi: il ritmo di Somewhere ci fa sentire tutta la noia del suo protagonista, la sua (certe volte ridicola) depressione; lento è anche il ritmo dell’Inganno, com’è lenta la vita in tempo di guerra per le ragazze e le donne costrette e rinchiuse dietro il cancello che compare in una delle prime inquadrature del film. Tutta introspettiva è la lentezza di Lost in translation: è il sentirsi persi, appunto, il cercarsi.
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–Bling Ring è il film meno noioso di Coppola. È anche il più brutto. A seguire: On the Rocks.
-Il ritmo a volte si ferma, sembra quasi che lo sguardo volesse indugiare sulle singole immagini, non farle scappare, trattenerle. Anche questa è una scelta estetica: ribellarsi all’evanescenza dell’immagine, lasciandole il più possibile sullo schermo. A fare da contraltare visivo alla caducità della fama, della celebrità, delle maglie strette dell’apparenza che attanaglia molti dei suoi personaggi: Maria Antonietta e il re sono uno spettacolo per gli altri (mentre mangiano, mentre si vestono al mattino); Lost in translation e Somewhere hanno un attore per protagonista; Bling Ring è un episodio da manuale dell’invidia mimetica per lo star system, resa attraverso un’estetica da reality tv e videoclip. È, questo, quasi un ritorno alle origini: la produzione di film arriva dopo l’esperienza dei video musicali e una breve incursione televisiva.
–L’immagine in movimento a volte indugia così a lungo da farsi allusione a un quadro da contemplare: l’Ofelia di Millais, la desolazione di Hopper, il ritratto di Bonaparte valica il Gran San Bernardo di Jacques-Louis David ricreato in un sogno a occhi aperti di Maria Antonietta sul suo amante von Fersen. Ma è anche l’attenzione collezionistica al dettaglio: la camera spesso indugia su frammenti, su oggetti. A volte è la stessa situazione narrativa a suggerirlo: l’accumulazione spasmodica del gusto eccessivo di Maria Antonietta o degli adolescenti di Bling Ring; i ragazzi nel Giardino delle vergini suicide che tentano di capire le sorelle Lisbon attraverso gli oggetti che collezionano: “le minuzie della vita”, scrive Hannah Strong, “rese con la squisita attenzione al dettaglio”. Non a caso Coppola da giovane voleva fare la pittrice, salvo poi andare a studiare fotografia all’ArtCenter College of Design.
-Chi patisce la noia meno bene degli adolescenti? Per Coppola “essere adolescenti significa essere in un limbo apparentemente senza fine”. Questo limbo è affrontato in quanto tale, come un luogo terso, in cui vengono di continuo ribaltati i cliché della commedia romantica e di quella adolescenziale. Anche lo spazio in cui queste storie accadono sembra per certi versi sospeso: i sobborghi di Bling Ring sono “una Los Angeles sotto benzodiazepine, letargica e distratta”, in cui le ragazze sono istruite dalle madri alla scuola-come-avere-successo-nella-vita.
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–C’è spesso, in questi film, uno scollamento fra le azioni e la realtà: a volte sono gli occhi assenti dei personaggi: emblematici quelli di Kirsten Dunst che mette a nudo tutta la vulnerabilità di Maria Antonietta; o quelli annoiati di Johnny Marco in Somewhere mentre guarda due spogliarelliste che si esibiscono in uno spettacolo di lap dance privato nella sua camera d’hotel; lo sono a volte anche quelli della banda di Bling Ring, che non riesce mai a comunicare e a non rendersi conto che i loro atti, i loro consumi, hanno delle conseguenze.
-Sono, questi, film pieni di “schermi”, di media trasparenti: le grate alle finestre, i cancelli davanti casa; ma soprattutto dei vetri: in ogni film di Coppola c’è un inquadratura fissa di un personaggio che guarda la realtà da dietro una superficie trasparente (il vetro di una finestra, di un’auto). Non vediamo la realtà: vediamo lo sguardo sulla realtà. Come se ci fosse uno scollamento. La fantasia dei ragazzi delle Vergini suicide (che nel romanzo sono i narratori collettivi della storia) è più intrigante della realtà stessa.
-I film di Coppola, infatti, sono pieni di citazioni.
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–La comunicazione fallita potrebbe essere un’altra etichetta adatta per descrivere l’estetica di Coppola: la maggior parte dei suoi personaggi non riesce a parlare davvero con l’altro: spesso sono padri e figlie, a volte sono i coniugi: tutto l’intreccio di On the Rocks ricalca il modello di una banale commedia degli equivoci; la giovane Charlotte appena sposata e arrivata a Tokyo insieme a suo marito non fa nessun discorso significativo con lui, e anche quando prova a esprimere il suo disagio, per telefono, a sua madre, la comunicazione fallisce.
–L’incapacità di comunicare è più precisamente una incapacità di confessarsi. Di dire la verità su sé stessi. Qual è la verità delle sorelle Lisbon e del loro suicidio di massa? Qual è la verità di Maria Antonietta? Qual è la verità delle donne chiuse nella loro casa-prigione-santuario nell’Inganno? Nessuna di loro ce la dice. Perché, appunto, il cinema di Coppola non dice, è un film muto. Mostra soltanto.
-Mostra: vulnerabilità. I suoi primi tre film, lo scrive ancora Strong, “forniscono un ritratto tagliente di essere una giovane donna in un mondo spesso crudele”. Questo mondo è spesso una società in miniatura, un mondo ristretto: la corte di Francia, l’harem di Elvis Presley, suburbia, una casa durante la Guerra Civile Americana. Una società omogenea. Ciò che sta fuori è per lo più pittoresco. Queste donne sono quasi sempre la stessa donna. È un mondo claustrofobico (e per questo, per alcuni, rassicurante).
-Mostra: solitudine. Mostra giovani donne soggiogate dalla società. Mostra: come la casa e la familiarità possano essere una prigione e una salvezza. Mostra: il disagio degli americani al Telegatto.
–Mostra due versioni del camp: uno euforico: Marie Antoinette; uno nostalgico: Le vergini suicide. Il primo viene direttamente dalla sua passione per la moda: nel 1994 Coppola aveva lanciato con Linda Meltzer una linea di abbigliamento. Il secondo ci finisce dentro: nel 2007 Marc Jacobs riprende l’estetica del Giardino delle vergini suicide per lanciare il profumo Daisy.
-Sofia Coppola ha girato per tutta la vita un solo film: è di questo, soprattutto, che parla Sofia Coppola. Forever Young.
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