Lo scienziato Stefano Mancuso torna in libreria con “La pianta del mondo”, una raccolta di storie che riguardano il legame tra le piante e la storia dell’uomo sulla Terra. Tra saggio e narrazione autobiografica, alla piacevolezza e alla curiosità delle vicende si aggiunge la scelta di una divulgazione semplice ma precisa – L’approfondimento

Pervasive, resistenti, longeve, fonte di vita, di ossigeno, di alimentazione ma anche di preziose informazioni: le piante, che spesso degniamo appena di uno sguardo distratto, meriterebbero più attenzione, gratitudine e rispetto. Dopo il successo di L’incredibile viaggio delle piante (2018) e La Nazione delle Piante (2019), ne La pianta del mondo, edito da Laterza come i precedenti volumi, lo scienziato di fama internazionale Stefano Mancuso torna a interessarci con “storie di piante che intrecciandosi agli avvenimenti umani si legano le une agli altri nella narrazione della vita sulla Terra” (p. 13).

stefano mancuso la pianta del mondo

Direttore del Laboratorio internazionale di Neurobiologia dell’Università di Firenze, Mancuso, oltre alle sue competenze, testimonia un’inesauribile sete di conoscenza, unita all’umiltà di chi sa che alla verità non si giungerà mai del tutto. Semmai, si può sperimentare e arrivare a verità parziali, che potrebbero essere superate con studi successivi.

Quel che colpisce già dall’impostazione dell’indice è la centralità del mondo vegetale: “La pianta della musica”, “La pianta della libertà” o “La pianta della città” sono solo alcuni dei titoli che contraddistinguono gli otto capitoli di La pianta del mondo.

I capitoli, intervallati da illustrazioni dell’autore, tanto magnetiche quanto realistiche, mostrano come la nostra vita e le attività più comuni siano legate – anche inconsapevolmente – alle piante. D’altra parte, se vogliamo provare a rappresentare la presenza delle piante sulla Terra, in proporzione alla presenza degli altri organismi, potremmo ottenere questa efficace e sconvolgente proiezione:

“Immaginando una camera di 500 parlamentari – numero che non dovrebbe discostarsi molto dal numero di rappresentanti medio di un paese europeo –, l’85% delle piante avrebbe una rappresentanza di 425 deputati, mentre lo 0,3 degli animali ne avrebbe 1,5. Il resto sarebbe in mano a funghi e microrganismi vari. Quindi avremmo 1,5 (arrotondiamo pure a 2) rappresentanti che decidono per tutti. Ora, quando questo accade nei nostri parlamenti gridiamo alla dittatura. […] E non pensiate che sia roba di poco conto: finché non capiremo con esattezza qual è la nostra posizione fra i viventi, la stessa sopravvivenza della nostra specie poggerà su basi insicure” (p. 83).

Ci sono esemplari che hanno segnato la storia, e non solo perché dai cerchi concentrici del ceppo possiamo trarre utili informazioni sulle epoche passate (tema pur sempre trattato nel libro): colpisce la storia delle querce che, etichettate come “The Liberty Tree”, sono state simbolo della Rivoluzione Francese. Dopo una loro diffusione capillare anche al di fuori della Francia, molte di loro hanno subito il crudele destino dell’abbattimento, come estrema damnatio memoriae nel periodo della Restaurazione. La loro storia, tuttavia, è destinata a durare, anche grazie a insoliti libriccini che un appassionato bibliofilo come Mancuso ha potuto ripescare dall’oblio in un mercatino dell’usato.

Oltre a rappresentare il passato, le piante potrebbero garantirci un futuro: in uno dei capitoli più densi di informazioni e più accorati in merito al surriscaldamento globale in atto, Mancuso propone una città ideale molto lontana da quella dipinta nel Rinascimento. Là non c’era traccia di verde; le città del futuro, invece, dovranno essere coperte di vegetazione, per essere più sostenibili e garantire lo smaltimento di parte della CO2 prodotta proprio nelle zone urbane.

Le piante, dotate di una loro dignità e meritorie di rispetto, possono anche essere un ottimo esempio di vita cooperativa: esperte in mutuo appoggio sulla Terra, con i loro apparati radicali sostengono anche ceppi apparentemente morti. Perché? Innanzitutto nel mondo vegetale non esiste l’individualismo che stiamo invece sperimentando noi umani, e poi ci sono vantaggi concreti per entrambe le parti, che possiamo approfondire nel libro.

Sono tante le curiosità che affollano La pianta del mondo: ad esempio, l’abete rosso è il materiale preferito da Stradivari per creare i suoi violini, ma c’è qualcosa che sfugge alla razionalità nella creazione di questi capolavori. Mancuso e la sua equipe hanno potuto studiare a fondo gli strumenti antichi presenti nel celebre museo cremonese, ma anche le analisi più approfondite non riescono a giustificare quella pienezza di suono che nessun liutaio è riuscito a eguagliare.

Dopo le emozioni del capitolo sulla musica, l’autore sceglie di strapparci più di un sorriso con il racconto di come un modo di dire come “scivolare su una buccia di banana” possa trasformarsi in ossessione. Perché proprio la banana? In fondo ogni buccia è potenzialmente scivolosa… Parte da questa domanda una ricerca che ha dell’incredibile, e d’altra parte la banana ha una vicenda particolare, che attraversa la storia, l’economia, la botanica, fino a regalarci la tanto sospirata risposta al quesito iniziale. Anche questo capitolo, apparentemente più lieve di altri, prova alcuni dei requisiti fondamentali di ogni scienziato, ovvero “una curiosità insaziabile e un amore inappagato per ogni possibile campo dello scibile” (p. 104). Sono parole che Mancuso non rivolge a sé stesso, chiaramente, ma che potremmo riadattare e dedicargli.

Che dire, poi, del ruolo determinante che hanno avuto le analisi dei botanici forensi per incastrare questo o quell’indiziato? Se non avete mai sentito parlare di questa professione, non è strano: semplicemente, come spesso fa notare Mancuso, la botanica non fa sensazione, e dunque spesso è relegata in secondo piano, nonostante ad esempio lo studio dei pollini abbia risolto crimini di guerra nella ex Germania Est, o abbia permesso di conoscere gli ultimi spostamenti effettuati da Ötzi, l’uomo del Similaun.

Chiude la trattazione un capitolo che ci presenta addirittura i misconosciuti “alberi della luna”, generati da una serie di semi che sono stati portati nello spazio durante la missione dell’Apollo 14 e che sono stati poi piantati successivamente sulla Terra, per cadere nell’oblio.

Al termine della lettura di La pianta del mondo, sarà impossibile guardare al mondo vegetale con noncuranza. L’autore, con ironia, ma anche con la precisione dello scienziato e la piacevolezza dell’esperto divulgatore, ci offre storie che si intrecciano profondamente alla sua (l’elemento autobiografico è sempre presente, ma senza mai scalzare le piante dal loro ruolo di protagoniste) e, in fin dei conti, alla nostra, ricordandoci che la conoscenza è sempre generatrice di possibilità (p. 179).

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