“Credo che tutti, in fondo, abbiamo bisogno di essere ascoltati. Sentivo che dopo tanti anni di carriera non c’era più lo stesso stupore di un tempo verso le mie nuove canzoni. Magari, inconsciamente, ho scritto questo romanzo per dire delle cose che con le canzoni non riesco più a veicolare con la forza di una volta”. Tiziano Ferro si racconta a ilLibraio.it in occasione della pubblicazione di “La felicità al principio”: “Inutile nasconderlo, sia i fan sia gli amici vogliono sapere quanto c’è di me nelle vicissitudini del protagonista. Ed è chiaro che c’è molto di Tiziano in Angelo. A questo personaggio ho prestato tanto del mio dolore”. La popstar si sofferma su numerosi aspetti, a partire dalla genesi del libro (“Era un periodo di insonnia pesante, che mi mandava come in uno stato di trance. Una condizione difficile da descrivere, che ho tentato di trasformare in creatività…”). Tra le ispirazioni cita Giorgio Faletti (“Per ben due volte è stato in grado di fare un salto di carriera in un territorio sconosciuto, e in entrambi i casi ha spaccato, perché tutto nasceva da un’urgenza creativa”). Il cantante, che non esclude di dirigere l’eventuale film tratto dal libro, parla della sua passione per i thriller (“Allenano il cervello all’inaspettato, mi piacerebbe provare a scriverne uno”), del suo approccio alla scrittura (“Non mi sarei mai fatto aiutare da un ghostwriter. Solo l’idea di un’operazione di quel tipo, costruita a tavolino, mi annoia”), del suo rapporto con la lettura (“Dire che leggere da ragazzo Oscar Wilde mi scombussolò, ovviamente è dire poco…”) e di molto altro (compreso il difficile momento familiare che sta vivendo) – L’intervista

“Sono dovuto rimanere qui negli Stati Uniti. Avendo un divorzio in corso, potrei sì uscire dalla California, ma senza i bambini. E non per colpa delle leggi italiane, ma per un fastidioso tecnicismo. Ci saranno delle udienze, devo avere pazienza, spero che il giudice si pronunci presto, perché mi piacerebbe tornare in Italia con i piccoli e incontrare presto i lettori e le lettrici del romanzo. Non vedevo l’ora di farlo…”.

Non è andata esattamente come Tiziano Ferro aveva immaginato, l’uscita del suo primo romanzo, La felicità al principio, pubblicato lo scorso 3 ottobre da Mondadori. E non certo per la risposta del pubblico (il libro è subito entrato in top ten).

L’artista avrebbe dovuto presentarlo in un tour nei teatri ma, come ben sanno le fan e i fan del cantante, lo scorso 19 settembre lui stesso ha spiegato via social della dolorosa separazione dal marito americano Victor Allen (“abbiamo avviato le pratiche del divorzio“). Tiziano Ferro ha così annullato gli appuntamenti in Italia per restare oltreoceano, dove vivono i figli, Margherita e Andres.

Molto, ovviamente, si è detto e scritto di questa delicata vicenda. Al tempo stesso, l’operazione compiuta dall’artista nel suo primo romanzo vale la pena di essere approfondita, provando a mettere per un attimo da parte il difficile momento personale che l’uomo (e padre) Tiziano sta vivendo.

La popstar, che si racconta con generosità a ilLibraio.it in un’intervista via Zoom, nel libro si è divertita a creare ambiguità, scegliendo per protagonista un cantante, Angelo Galassi.

Approfittando di un errore burocratico, Galassi si finge morto per dieci anni. In realtà si nasconde tra i grattacieli di New York. Non a caso, l’autore (nato il 21 febbraio del 1980 a Latina) all’inizio aveva pensato a un titolo che poi ha cambiato, d’accordo con la casa editrice: il sarcastico Stavo meglio da morto.

Galassi ha diversi problemi, a partire da quelli con l’alcol (probabilmente i passaggi più riusciti del romanzo sono quelli in cui Angelo descrive il suo alcolismo e la sua solitudine attraverso dettagli conturbanti, a partire dall’alcolismo del padre del protagonista, che lo portava a diventare violento), con il cibo (da piccolo era bullizzato per il suo peso, e ora soffre di bulimia) e con la propria identità sessuale (per timore delle reazioni dell’ambiente dello spettacolo, dei fan e della sua stessa famiglia).

La “fuga” di Angelo riesce, ma per sua fortuna non dura per sempre. Nella sua “non vita” entra a sorpresa Sophia, una bambina di quattro anni. Identica a lui, è nata dopo una notte passata con una fan altrettanto stravolta dalle dipendenze. Non parla (i medici lo definiscono “mutismo selettivo”, causato da un trauma), ma “Pazzetta“, come la chiama suo padre, riuscirà a tirare fuori il meglio di Galassi, ad aiutarlo a trovare la forza di prendersi cura di sé.

E così per il cantante sembra arrivare la svolta, la scossa decisiva. Nel suo diario appunta di sentirsi come  “instupidito dalla felicità“. E anche se i problemi con le dipendenze in parte permangono, pur facendo di tutto per nasconderli alla figlia, la popstar “in fase di rinascita” riesce a scrivere una nuova canzone, Cronaca (“…Mentre piangi piangi piangi / in questo fiume in cui morivo / cronaca / di un amore in ritardo mai in arrivo…”), per poi decidere di tornare al mondo, in Italia. Sarà fino in fondo “resurrezione”?

La felicità al principio libro Tiziano Ferro

Tiziano Ferro, partiamo dal personaggio di Sophia. Considerando che la prima stesura di La felicità al principio è del 2021, lei allora non era ancora padre: come ha immaginato questa figura e il suo rapporto, speciale, con il protagonista, che lo travolge in positivo, spingendolo a riavvicinarsi alla musica, alla vita?
“Sarò onesto: non ricordo come sono nati tanti dettagli della storia. Stavo aspettando la nascita della mia prima figlia, questo senza dubbio ha influito. Era un periodo di insonnia pesante, che mi mandava come in uno stato di trance. Una condizione difficile da descrivere, che ho tentato di trasformare in creatività”.

Provi a descriverla.
“Più che un flusso di coscienza, lo definirei quasi un delirio creativo, ma giuro di non essermi fatto aiutare dall’assenzio, o da qualche droga! Ricordo che dopo intere nottate passate a scrivere, al mattino, sentendo da un lato l’esigenza di uscire alla luce del sole, e dall’altro non volendo interrompere il flusso creativo, mi ritrovavo a continuare ad appuntarmi brani del libro direttamente sullo smartphone, mentre ero in palestra sul tapis roulant! Ripeto, davvero non ricordo tanti particolari e faccio fatica a rispondere a certe domande. Quello che invece non posso dimenticare è quel mio scrivere ossessivo, notturno, per un mese intero. Non a caso, nella prima stesura la storia era lunga duecentocinquanta pagine. Poi ne ho tagliate una cinquantina. Era trascorso quasi un anno quando ho ripreso in mano il manoscritto, l’ho lasciato a decantare”.

Ma sapeva sin dall’inizio di volerlo pubblicare?
“No, anzi. Non mi sentivo all’altezza. Non credo nell’improvvisazione, ma nello studio e nell’applicazione”.

Però la scrittura fa parte della sua vita.
“Da sempre. Prima a scuola, poi all’università, quindi le canzoni, senza dimenticare i diari, che mi accompagnano dall’adolescenza. Ma solo quando ho ripreso in mano il manoscritto parecchi mesi dopo la conclusione della prima stesura, quella in stato di trance, ho sentito che quei capitoli potevano diventare un romanzo, e ci ho rimesso un po’ mano”.

Si è fatto aiutare da un ghostwriter?
“Sa che me lo hanno chiesto anche diversi amici… ma non esiste! Ho 43 anni, 25 di carriera alle spalle. Certo, non avevo mai scritto un romanzo prima, ma neppure per un secondo ho pensato di farmi aiutare. Solo l’idea di un’operazione di quel tipo, costruita a tavolino, mi annoia. Il romanzo ha tutti i limiti di un esordio, ne sono consapevole, ma devo dire che il risultato mi rende orgoglioso. Altro che farmi aiutare da un ghostwriter… la cosa più bella è stata scrivere il romanzo, riuscire a portarlo a termine. Tutto è avvenuto all’insegna della libertà”.

Senza aspettative?
“Sì, per una volta senza troppe pressioni, proprio perché non sono un romanziere di professione. Mi è venuta l’idea della storia e, a modo mio, mi sono goduto il piacere di scriverla, tutto qui”.

“Una storia che parla di sogni, di rivalsa e di felicità”, ha definito così il suo primo romanzo. Che reazioni sta ricevendo?
“Inutile nasconderlo, sia i fan sia gli amici vogliono sapere quanto c’è di vero, quanto c’è di me nelle vicissitudini del protagonista. Ed è chiaro che c’è molto di Tiziano in Angelo, non serve prendersi in giro, girarci attorno. A questo personaggio ho prestato tanto del mio dolore”.

È vero che leggendo il libro suo padre si è preoccupato? Anche lui tende a scambiare la sofferenza del protagonista per quella di suo figlio?
“Come no! Mio papà è andato in paranoia, ho dovuto tranquillizzarlo e ricordargli che è un romanzo, con tanti elementi di finzione. Al tempo stesso non ho paura di ammettere che ho provato molti dei farmaci presi da Angelo, o a dire che anch’io sono andato avanti interi giorni a bere alcolici senza mangiare, e che ho assistito a dei maltrattamenti verso gli animali, e non a caso racconto il dolore del protagonista davanti a un cane massacrato, una visione terribile, che mi ha segnato”.

Di solito è la domanda da non porre a una scrittrice o una scrittore, quella legata agli eventuali passaggi autobiografici presenti in un libro…
“Sono abituato a raccontarmi, nelle canzoni, nelle interviste, nel mio diario. Se proprio dobbiamo giocare al gioco della verità, allora voglio chiarire che non è vera la storia d’amore che descrivo nel romanzo, perché a differenza di Angelo non avrei mai potuto innamorarmi di una persona come Fabio, così egocentrica e insensibile”.

Perché ha sentito il bisogno di scrivere questo romanzo, in cui ha “giocato volutamente con l’ambiguità”?
“Credo che tutti, in fondo, abbiamo bisogno di essere ascoltati. Sentivo che dopo tanti anni di carriera non c’era più lo stesso stupore di un tempo verso le mie nuove canzoni. Magari, inconsciamente, ho scritto questo romanzo per dire delle cose che con le canzoni non riesco più a veicolare con la forza di una volta”.

Di rado si sente fare autocritica agli scrittori, ai cantanti, e in generale agli artisti.
“Invece è giusto farlo. Sono orgoglioso di questo libro, e al tempo stesso gli sono grato, perché sta ricreando quel dialogo che cerco, e che a volte con le canzoni non si genera più, penso anche per una questione di abitudine da parte del pubblico. Ad esempio, quando uscirono brani come Sere nere o Il regalo più grande, tutti volevano sapere cosa c’era dietro. La felicità al principio ha riacceso la scintilla della curiosità, ed è quello che inseguivo da un po'”.

Ha evidenziato che, rispetto a quanto fa abitualmente nelle canzoni, nelle interviste e sui social, scrivendo il romanzo ha potuto inventare, non sentendosi in obbligo di dire la verità. Ora che ha scoperto che le riesce bene, vorrebbe provare a scrivere brani con protagonisti e situazioni frutto dell’immaginazione?
“Perché no? Mi sono sempre consegnato al processo creativo in maniera completamente aperta, e non ho mai pianificato di ‘(ri)fare Tiziano Ferro’. Per intenderci, non ho mai provato a scrivere ‘Sere nere 2’ o ‘Perdono 2′, ma ho voluto scrivere canzoni che avessero una vita propria. Se questo libro mi ha aiutato a spolverare un po’ la creatività musicale, ben venga. Ho consapevolezza del fatto che il romanzo sia figlio di un’urgenza, che non sia perfetto e che sono riuscito a portarlo a termine in un momento difficile… non sono mica andato in un eremo a scrivere, ma mi sono sporcato le mani, diciamo così… adesso non so perché mi sta venendo in mente un ricordo piuttosto particolare…”.

Quale?
“Ho ripensato a un concerto dei Cure che andai a vedere in provincia di Padova più o meno vent’anni fa… dopo tre-quattro canzoni, il cantante, Robert Smith, si interruppe all’improvviso, vomitò sul palco e se ne andò, lasciando il pubblico pietrificato, deluso. Quel gesto mi fece capire che lo stato di necessità che crea l’arte, il salire sul palco, è superiore a quanto stai bene o male… beato chi programma di voler scrivere una canzone… non sono fatto così, ma sono tra quelli che vogliono salire sul palco anche se sanno di stare male, e che potrebbero vomitare davanti ai fan. A rifletterci, non a caso la scorsa estate ho fatto un tour con un polipo alle corde vocali (che fortunatamente è regredito senza la necessità di un intervento, ndr)…”.

I suoi testi non sono programmati, ma sono sempre legati all’ispirazione del momento, allo stato d’animo che vive, all’urgenza creativa.
“Quelli che sono entrati nel cuore dei fan sono stati i testi che ho scritto preso dall’ispirazione improvvisa, che ho appuntato direttamente sugli scontrini, nell’attesa in banca, come ai tempi di Sere nere. Oggi anche nel mio caso lo smartphone ha cambiato l’approccio alla scrittura, ed è ancora più facile appuntarsi dei versi o registrare istintivamente una melodia, ma l’atteggiamento non cambia”.

Quindi guai a chiederle testi su commissione…
“Assolutamente, è un incubo. Non riesco a scrivere testi su commissione, quando me lo chiedono vado in crisi, mentre è più semplice scrivere musica su richiesta”.

A proposito di canzoni, in La felicità al principio cita diversi brani, ma ha svelato di aver scritto il romanzo “nel silenzio assoluto”. Eppure la sua scrittura, che ha la velocità di un thriller, farebbe pensare a un sottofondo rock, quasi punk.
“Quando scrivo il ritmo è importante. Il mio motto è ‘azione, azione, azione’. Riprendendo in mano la prima bozza, ho lavorato proprio su questo aspetto, eliminando quei passaggi non propedeutici allo sviluppo della trama. Amo i romanzi e i film che non ti lasciano tregua. Ecco perché, ad esempio, apprezzo i thriller di Donato Carrisi”.

Ha detto molto sulle urgenze e sulla situazione personale che l’hanno portata a scrivere La felicità al principio. C’è un libro, un autore che l’ha ispirata, che l’ha spinta a portare a termine il romanzo?
“Quando ho iniziato a pensare che forse valeva la pena pubblicare il romanzo, mi è venuto in mente un autore che ha fatto un percorso particolare: prima comico, poi cantante, quindi scrittore di successo. Sì, parlo di Giorgio Faletti. Per ben due volte è stato in grado di fare un salto di carriera in un territorio sconosciuto, e in entrambi i casi ha spaccato, perché tutto nasceva da un’urgenza creativa. Prima a Sanremo con Signor tenente, poi con il thriller Io Uccido. Più che per lo stile di scrittura, Faletti mi ha ispirato per l’atteggiamento. Si è messo completamente in gioco in più fasi della carriera. La sua storia mi è d’ispirazione, e uno dei miei rimpianti più grandi è non averlo incontrato”.

Parliamo adesso del suo rapporto con i libri e le storie altrui. Andando indietro, quali letture l’hanno colpita durante l’adolescenza?
“Da ragazzo leggevo molto, e chiedevo ulteriori consigli ai miei insegnanti, perché sentivo forte la necessità di andare più a fondo, di scoprire nuovi autori. Ricordo ad esempio che lessi con passione Il nome della rosa di Umberto Eco e Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. Dire che leggere Oscar Wilde, che tra l’altro cito nel romanzo, mi scombussolò, ovviamente è dire poco…”.

E oggi che lettore è Tiziano Ferro? Tradizionale o digitale?
“Amo collezionare libri cartacei. Li sottolineo, faccio le orecchie alle pagine… ho un rapporto fisico con l’oggetto libro, devo toccare e odorare le copertine e le pagine”.

Quindi niente ebook. E gli audiolibri?
“Non ce la faccio a non essere sincero: anche se sta per uscire l’audiolibro del mio romanzo, letto da me, tra l’altro, ammetto di non concepire l’ascolto di un audiolibro, ci ho provato, ma non riesco a tenere alta l’attenzione. Ci tengo però a dire che mi sono impegnato particolarmentte nella registrazione, ci tenevo, ho cercato di non provare a fare l’attore. E confesso che è stato faticosissimo, ore e ore e ore in piedi in studio a registrare… e sì che a lavorare in studio sono abituato!”.

Il ritmo della sua scrittura narrativa è cinematografico, e anche la trama a colpi di flashback si presterebbe a una trasposizione…
“Mi piacerebbe trarre un film dal romanzo, e ci sono già delle belle proposte. Forse i tempi saranno lunghi, ma sento che questo desiderio un giorno si avvererà. Nel caso, l’importante sarà poter collaborare alla sceneggiatura, entrare nelle scelte. Mentre scrivevo già vedevo diverse scene nella testa, fin nei dettagli. Se aiutato da professionisti, potrei addirittura improvvisarmi regista del film tratto dal mio romanzo. Chissà…”.

A proposito del futuro, prima di questo romanzo aveva pubblicato due opere autobiografiche, con Kowalski: nel 2010 Trent’anni e una chiacchierata con papà, e nel 2012 L’amore è una cosa semplice. Prima o poi scriverà un nuovo romanzo?
“Se dovesse scattare nuovamente la scintilla, se dovessero tornare quella trance, quel ‘delirio’, perché no? Mi piacerebbe scrivere un noir, una storia con un intreccio da thriller, ma anche un pizzico di umanità, di psicologia. Amo i thriller perché allenano il cervello all’inaspettato”.

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