Nel suo romanzo d’esordio, “Una questione di famiglia”, Claire Lynch racconta, con lucidità e delicatezza, l’omofobia sistemica che alla fine del secolo scorso ha portato alla separazione di centinaia di madri omosessuali dai propri figli. In un’alternanza continua di piani temporali, tra l’Inghilterra del 1982 e quella di quarant’anni dopo, la storia di Dawn, Heron e Maggie non è solo un dramma familiare, ma è anche una riflessione sul pregiudizio istituzionalizzato, sulla forza dell’amore e sulla possibilità del perdono…
“Heron era un bravo ragazzo, e ora è un brav’uomo. Ci crede fermamente. Non corre troppo con la macchina. Di norma non dice parolacce, perlomeno non quelle troppo volgari, e comunque mai davanti a una donna”. Ma. C’è sempre un ma quando il ritratto dipinto dalle prime tre o quattro parole di una frase è troppo roseo. “Non sono razzista, ma”, “Non penso male dei meridionali, ma”, “Non ho niente contro le coppie omosessuali, ma”. Non poteva non esserci un ma anche in questa storia.
Heron Barnes è un brav’uomo, ma ha chiesto e ottenuto la piena custodia della sua bambina, Maggie, strappandola per sempre dalle braccia della madre, sua moglie. Braccia che lui e i suoi avvocati considerano perverse e depravate perché si innamorano, stringono e accarezzano altre braccia. Quelle di una donna.
Una questione di famiglia, romanzo d’esordio di Claire Lynch (Fazi Editore, traduzione di Velia Februari), è la storia di Heron, un uomo pacato, un padre amorevole e tranquillo, che per quarant’anni nasconde alla figlia la verità sulla madre, e quando scopre di avere il cancro si ritrova a fare i conti con il passato.
È la storia di Dawn, che nel 1982, a soli ventitré anni, con una figlia di tre e un marito, si innamora teneramente di una donna, Hazel, e vede la sua vita sgretolarsi in pochi istanti. Ed è la storia di Maggie, ormai moglie e madre a sua volta, che conosce solo l’amore pragmatico del padre e ignora quello che la madre le ha donato da vicino, fino a quando ha potuto, e che le ha riservato silenziosamente da lontano, per tutta la vita restante.
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Claire Lynch, con una prosa delicata e ingannevolmente semplice, delinea un’Inghilterra degli anni ’80 crudele ma spaventosamente vicina e tangibile. Nonostante Una questione di famiglia non si basi su uno specifico caso, e quindi i protagonisti siano frutto di inventiva, il romanzo trae spunto dal trattamento che il sistema giuridico britannico (ma non solo) riservò a diverse famiglie nell’ultimo ventennio del ‘900.
L’autrice lo riporta in modo puntuale: nel Regno Unito, negli anni ’80, circa il 90% delle madri omosessuali coinvolte in casi di divorzio perdevano sistematicamente la custodia dei figli. Gli esiti dei processi erano anzi così prevedibili che, spesso, molte madri sceglievano di non rivolgersi nemmeno a un tribunale.

Claire Lynch nella foto di Neeq Serene
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Sebbene il principio giuridico generale nei casi di affidamento tra genitori eterosessuali prevedesse solitamente che i figli sotto i sei anni venissero affidati alla madre, tale modus operandi non si applicava a madri come Dawn. Una giovane donna – una bambina, quasi – che a soli ventitré ha già alle spalle un matrimonio e un parto, perché crede che debba andare così, perché nessuno le ha mai insegnato di avere delle alternative. Si innamora di Hazel, in un modo tenero e delicato, e lo racconta al marito, perché è un uomo buono, perché sarà sicuramente in grado di capire. Ma Dawn è troppo ingenua: Heron non capisce, non può farlo. E così, nel silenzio di una casa che non sarà più la sua, Dawn legge la sentenza:
È ampiamente risaputo che tali donne siano prive di naturale istinto materno. È nei migliori interessi della minore, dunque, che questo tribunale attribuisce la piena custodia, la cura e il controllo della figlia a Mr Barnes. Molto probabilmente Mr Barnes si risposerà. A quel punto la minore si troverà, anche agli occhi del mondo, a far parte di una famiglia perfettamente normale. Nessuno dovrà mai venire a conoscenza della perversione della madre.
Questo accadeva nel 1982. Quarant’anni fa. L’età del padre di un adolescente di oggi. L’età di Windows, di Caruso di Lucio Dalla. Nello stesso momento e nello stesso luogo in cui gli Eurythmics uscivano con Sweet Dreams (Are Made of This), era normale che i magistrati prescrivessero l’allontanamento immediato delle madri omosessuali dai propri figli, e inammissibile che queste potessero prendersene cura senza trasmettere loro la propria perversione.
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Una questione di famiglia, insomma, denuncia le derive di un sistema e di un pensiero che fanno parte della nostra storia recente e di cui ancora oggi si percepisce l’eco. Ma, nel farlo, nel ripercorrere con rammarico e sofferenza la vergogna e la stigmatizzazione di quel tempo, si mostra empatico e indulgente. Ed è questa la sua vera forza. La scrittura di Lynch non cede mai al vittimismo, ma muove verso la compassione. Condanna, ma contemporaneamente perdona.
È vero quello che scrive del romanzo Mark Haddon: Una questione di famiglia “riesce a essere critico verso una cultura e un sistema, e al tempo stesso compassionevole verso gli esseri umani messi l’uno contro l’altro all’interno di quel sistema”. Questa caratteristica – unita a una prosa asciutta e fredda, che tacendo tutto rivela ogni cosa – è ciò che evita al romanzo la facile caduta nella banalità. Non è stucchevole, né scontato. È tenero, e per questo lascia quasi un po’ di amaro in bocca. Lo si apre e si è arrabbiati. Lo si chiude e si ha come la sensazione che il mondo, ancora molto distante dall’essere giusto, abbia però una speranza.
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