Capita di leggere di episodi violenti nei confronti degli insegnanti, a opera sia di ragazzi sia dei loro genitori. E quasi sempre la miccia è innescata dalla valutazione. Sì perché “dare i voti”, in ogni ordine di studi, sta diventando sempre più un affare spinoso… – Su ilLibraio.it la riflessione di Simonetta Tassinari, che insegna Storia e Filosofia nei licei ed è autrice di saggi e romanzi

Capita ogni tanto – per fortuna piuttosto di rado, in proporzione ai grandi numeri che riguardano il mondo della scuola – di leggere di episodi violenti nei confronti degli insegnanti, a opera sia di ragazzi sia dei loro genitori. Quasi sempre la miccia è innescata dalla valutazione, nel caso non riscuota l’approvazione di chi viene valutato: anzi, dell’intera famiglia di quest’ultimo.

A me non è mai accaduto di venir minacciata, né apostrofata verbalmente a causa di un voto, per così dire, poco gradito; me ne  sono state richieste le motivazioni, il che è del tutto comprensibile, e io le ho date. Che poi il ragazzo in questione, o i suoi genitori, si siano messi il cuore in pace, nel senso che abbiano infine considerato equo il mio voto rispetto alla prova,  non potrei giurarlo; tuttavia, il rapporto educativo è proseguito senza ulteriori scosse.

Eppure confermo che la valutazione, in ogni ordine di studi, sta diventando sempre  più un affare spinoso – la valutazione che è un dovere d’ufficio, intendiamoci, non una scelta del singolo insegnante- perché tutti o quasi, a cominciare dai genitori, la tengono nel mirino, sovente assai più della preparazione in generale.  Serpeggia, in molte famiglie, la rivendicazione di una specie di “diritto”  di intervenire nei voti scolastici  dei propri figli per calibrarli con aggiustamenti, specificazioni e, si capisce, ritocchi verso l’alto.

Il problema è che spesso le reazioni dei genitori sono comparative: “Come mai mio figlio si ferma all’”otto” (un tempo considerato un bellissimo voto, adesso, invece, non più chissà che), mentre il suo compagno di banco, che ne sa quanto lui (secondo mio figlio, e dunque anche secondo me) arriva regolarmente al “nove”?.

Innanzitutto, i resoconti dei ragazzi talvolta andrebbero presi con le molle. L’ho sperimentato non solo come insegnante, ma anche come madre.

Ricordo perfettamente una dei miei figli che tornava a casa da scuola e riferiva, “Sono stata interrogata in matematica”, al che io, come tutte le mamme, le chiedevo: “E come sei andata?”, e lei: “Benissimo!”. Senonché poi scoprivo che in realtà aveva avuto un’insufficienza. Perché “Benissimo” spesso per i ragazzi significa “Ho parlato, ho detto qualcosa, mica sono rimasto zitto”, oppure, come si dice qui in Molise, “L’ho spetacciato”, nel senso di “Con la mia loquela l’ho stracciato, meravigliato, colpito, fatto a pezzi”. Se un genitore si sente raccontare dal proprio figlio che ha spetacciato il professore, e poi sul registro elettronico legge “5”, o magari “4”, non se ne fa una ragione, grida immediatamente all’ingiustizia, vuole spiegazioni, giustificazioni, delucidazioni, ma come, ti ha spetacciato e tu lo tratti così?

I ragazzi non hanno, per forza di cose – sarebbero dei mostri, altrimenti – né i mezzi, né la maturità, né il dominio e la conoscenza dell’intero argomento per potersi compiutamente valutare, a eccezione, magari, di un tipo di prova come i quesiti a risposta multipla, dove si conteggiano le soluzioni corrette (benché comunque le variabili non manchino ugualmente).

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Bisognerebbe per di più ricordare che gli insegnanti non giudicano la persona, bensì la prova; che non potrebbero mai giudicare la persona, non ne possiedono gli strumenti (e chi li possiede?) e neppure l’intenzione. Una prova, inoltre, prodotta durante un periodo limitato, indicativa solo del livello raggiunto in quell’argomento, in quel momento, in quella giornata; una prova che va a comporre un quadro ben più articolato e complesso che ha come obiettivo la formazione e l’educazione. Un voto ottenuto in  una prova non è assolutamente rivelatore di quel che accadrà in futuro, anzi di quel che accadrà dopo una settimana o un  mese; è una quantificazione, necessaria e propedeutica a quel che si farà in seguito; i nostri figli, i nostri alunni non sono tutti lì.

Infiniti casi di studenti svogliati o mediocri, o perché ancora poco consapevoli e immaturi, o perché costretti a seguire un corso di studi per il quale non provavano inclinazione, o semplicemente perché l’adolescenza e la prima giovinezza sono così, passano e passando ci cambiano, sono poi fioriti, esplosi, hanno raggiunto grandi mete (e, naturalmente, vale anche il contrario).

Per l’appunto, siamo spesso noi adulti a drammatizzare e a fare paragoni. Sarebbe preferibile, per evitare contestazioni, stress,  rinfacci, rivalità tra i ragazzi o  la “gara” tra i genitori con i loro incendiari gruppi whatsapp che, come all’università,  anche nelle scuole superiori si svolgessero i corsi delle lezioni e poi, al termine, ci fosse un unico esame, scritto o orale, asettico e “scientifico”, in cui il confronto con gli altri non sarebbe così quotidiano, assillante, martellante e perfino (per alcuni genitori, soprattutto), angosciante? Ci sarebbero forse meno proteste, meno indignazioni che corrono e bollono in chat, meno tensioni, meno messaggi che giungono ai numeri personali dei prof, del tipo:

 “Scusi, come mai mio figlio oggi ha preso 5 in storia?”.

“Mi ha detto che la battaglia di Legnano è stata vinta da Federico Barbarossa e che il maggese era un contadino”.

“A me non sembra non così grave”.

“Bé, a me sì, abbastanza”.

Dovremmo spiegare passo passo le fasi della valutazione, impegno serio e delicato? I parametri di riferimento, ogni volta? Ricordare che esiste la docimologia, che non sarà una scienza esatta, d’accordo, ma che fornisce comunque una guida?

Indubbiamente – e notevoli studi lo dimostrano – esiste una soggettività anche nel tentativo più estremo di oggettività. Ad esempio, due commissioni diverse assegneranno con ogni probabilità un giudizio (di solito, però, lievemente) diverso a uno stesso candidato che  abbia dato le stesse risposte. Siamo esseri umani. La variabilità è una nostra condizione. Se non si parte da questo, non si giungerà mai al concetto di oggettività comunque soggettiva.

E allora? Dovremmo mettere in dubbio tutto, compreso  quel patto silente di fiducia che è alla base di ogni comunità? Pensare che la diagnosi del nostro medico possa essere inesatta perché non aveva ben digerito, che l’ingegnere che sta progettando un ponte non abbia dormito bene sicché sbaglierà i calcoli, o che il giardiniere che ci pota gli alberi si intenda di piante come io mi intendo di archeologia bizantina? E girare di classe in classe, di scuola in scuola, fino a imbatterci in un presupposto optimum ? E chi stabilisce le regole, chi è che può decretare l’optimum o il pessimum, l’optimum è il “nove” che nostro figlio finalmente raggiunge?

L’IA valuterebbe meglio di noi i ragazzi?

Un tale scetticismo, per di più, non fa bene proprio a loro, ai ragazzi, fomenta da un lato la loro insicurezza, dall’altro mina la loro serenità perché li fa stare sul chi va là, concentrati sul mezzo voto altrui più che su sé stessi.  La meta è sempre il pensiero critico, sicché non è auspicabile che gli alunni prendano per oro colato tutto ciò che dicono i loro prof (e, veramente, tutto ciò che dice chiunque altro), né ritengano  che siano intoccabili e perfetti. Piuttosto, dovremmo testimoniare che nella stragrande maggioranza dei casi gli insegnanti  cercano di far bene quel che fanno, in buona fede, con cuore, intelletto e scienza, e che tentano  di essere il più possibile accoglienti, lucidi, imparziali, coscienziosi, stimolanti. Non si può non sbagliare; ma va praticato, tra insegnanti e famiglie, il dialogo costruttivo, non quello impositivo; un dialogo di scambio, e non quello di rinfaccio e d’accusa “a prescindere”; un dialogo aperto e democratico con l’obiettivo di intendersi e di progredire.

Un voto non desiderato non è una sconfitta, bensì un episodio talmente banale e comune che, se uscissimo per strada gridando: “Chi è che non ha mai preso neanche un brutto voto in vita sua alzi la mano!”, e i passanti fossero sinceri, di mani alzate non ne vedremmo. È un episodio comune, ma dal quale trarre molti e importanti insegnamenti, un episodio che dovrebbe darci la carica più ancora di un successo, un modo per calibrare il tiro e migliorare, per comprendere e quindi per apprendere meglio  e far correre meglio le nostre idee.

 

il libro rosa della filosofia simonetta tassinari

L’AUTRICE – Simonetta Tassinari insegna Storia e Filosofia nei licei. Ha insegnato “Laboratorio di didattica della filosofia” presso l’Università del Molise, è stata tutor universitario del TFA (Tirocinio Formativo Attivo), da anni coltiva la Psicologia relazionale, la Psicologia dell’età evolutiva, il counseling filosofico e la divulgazione filosofica per bambini e ragazzi. È l’animatrice di partecipati “Caffè filosofici” e tiene conferenze e presentazioni in tutta Italia.

Ha pubblicato romanzi, testi di argomento storico e filosofico (tra gli altri, per Einaudi scuola) e il saggio “brillante” – sull’insegnamento della filosofia nelle scuole – La sorella di Schopenhauer era una escort (Corbaccio). Con Corbaccio ha pubblicato anche Donna Fortuna e i suoi amori, La casa di tutte le guerre e Le donne dei Calabri di Montebello.

Per Feltrinelli ha pubblicato nel 2019 Il filosofo che c’è in te; S.O.S. filosofia. Le risposte dei filosofi ai ragazzi per affrontare le emergenze della vita, rivolto agli adolescenti; Il filosofo influencer. Togliersi i paraocchi e pensare con la propria testa (2020); per Gribaudo Instant Filosofia (2020) e Le 40 parole della filosofia (2021).

Ora è in libreria per Gribaudo con Il libro rosa della filosofia – Da Aspasia a Luce Irigaray, la storia mai raccontata del pensiero al femminile, che parte da queste domande: è vero che le donne e gli uomini ragionano (e filosofano) in modo diverso? Da che cosa deriva la “cattiva fama” delle donne presso i filosofi? Soprattutto, che cosa ha perso il mondo impedendo al genere femminile di esprimere la propria voce? Il volume cerca di dare alcune risposte attraverso la vita e il pensiero delle filosofe nel corso della storia umana. Un racconto che parla di filosofia ma che, in controluce, ritrae anche tutti noi.

Qui i suoi articoli per ilLibraio.it.

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