“Il libero scambio di informazioni e di idee, la linfa vitale di una società liberale, incontra sempre più limitazioni”. Sono oltre 150 i firmatari (tra cui scrittrici e scrittori di fama mondiale) di una lettera-petizione destinata a far discutere, che sta portando in superficie un dibattito in corso nelle redazioni dei giornali, nelle università, nelle case editrici e nei musei sul costo che il “free speech” rischia di pagare a fronte dei necessari radicali passi avanti sul fronte dell’inclusione – I particolari e i diversi punti di vista (sui social in queste ore non mancano infatti le voci critiche)

Scrittrici e scrittori di fama mondiale come Margaret Atwood, J.K Rowling, Salman Rushdie, Jeffrey Eugenides, Elliot Ackerman, Martin Amis e John Banville. Saggisti, filosofi, intellettuali e giornalisti come Noam Chomsky, Francis Fukuyama, Paul Berman, Gloria Steinem e Anne Applebaum. Sono oltre 150 i firmatari di una lettera-petizione destinata a far discutere, che si sono ritrovati uniti nella lotta l’intolleranza culturale, in difesa della libertà di pensiero.

IL CONTESTO IN CUI SI E’ APERTO IL DIBATTITO

Un documento che arriva dopo le settimane di proteste anti-razziste a seguito dell’assassinio di George Floyd (che hanno superato il confine degli Usa), il dibattito sulle statue che ha coinvolto diversi Paesi e che, come nota l’Ansa, ha portato in superficie un dibattito in corso nelle redazioni dei giornali, nelle università, nelle case editrici e nei musei sul costo che il “free speech” rischia di pagare a fronte dei necessari radicali passi avanti sul fronte dell’inclusione.

COSA DICE L’APPELLO

Ma cosa si legge nella lettera, pubblicata da Harper’s Magazine e che, soprattutto sui social Usa, sta generando un inevitabile dibattito? Il testo (pubblicato integralmente da La Repubblica) inizia così: “Le nostre istituzioni culturali stanno affrontando un momento difficile. Le imponenti proteste per la giustizia razziale e sociale stanno portando a sacrosante richieste di riforma della polizia, insieme ad appelli più generali per una maggiore uguaglianza e inclusione nella nostra società, anche e soprattutto nell’istruzione superiore, nel giornalismo, nella filantropia e nelle arti. Ma questo indispensabile redde rationem ha avuto anche l’effetto di intensificare un insieme di atteggiamenti morali e impegni politici che tendono a indebolire le nostre norme di dibattito aperto e tolleranza delle differenze e a favorire il conformismo ideologico…”. E più avanti: “(…) Il libero scambio di informazioni e di idee, la linfa vitale di una società liberale, incontra sempre più limitazioni. Se dalla destra radicale ormai ce lo aspettiamo, l’atteggiamento censorio si sta diffondendo ad ampio raggio anche nella nostra cultura: un’intolleranza verso le opinioni contrarie, la moda della gogna pubblica e dell’ostracismo e la tendenza a dissolvere questioni politiche complesse in una certezza morale accecante. Noi affermiamo l’importanza delle opinioni contrarie, espresse con forza e anche in modo tagliente, da qualunque parte provengano. Ma oggi è fin troppo comune sentire appelli a immediate e severe ritorsioni in risposta a trasgressioni percepite della parola e del pensiero. Cosa ancora più inquietante, esponenti istituzionali, in uno spirito di controllo dei danni figlio del panico, stanno comminando punizioni frettolose e sproporzionate invece di procedere a riforme meditate…”. E ancora: “A prescindere dalle argomentazioni specifiche di ognuno di questi episodi, il risultato è un costante restringimento dei confini di quello che si può dire senza timore di incorrere in ritorsioni. Stiamo già pagandone il prezzo, sotto forma di una maggiore avversione al rischio fra scrittori, artisti e giornalisti, che temono di perdere il lavoro se si discostano dal consenso generale, o addirittura se non esprimono il loro assenso con sufficiente entusiasmo. Questa atmosfera soffocante finirà per nuocere alle cause più importanti della nostra epoca”.

NON MANCANO LE VOCI CRITICHE

Si diceva sopra del dibattito che, negli Usa e nel Regno Unito in particolare, sta generando questo appello, come sottolinea il Guardian, che si sofferma anche sui (non pochi) commenti critici apparsi sui social in queste ore. E sempre il Guardian (che ha ospitato 4 diversi punti di vista sulla questione) fa notare che alcuni firmatari hanno chiesto alla rivista di eliminare il proprio nome dall’elenco.

C’è chi, inoltre, sottolinea come tra i firmatari della lettera ci siano nomi il cui pensiero gode già di grande attenzione e, in sostanza, di un privilegio. Sui social in queste ore stanno così emergono anche le voci e i punti di vista di chi non ha voluto firmare la petizione, oltre che di chi la attacca.

Della discussione generata dall’appello ha dato conto il New York Times in un approfondimento, e dal canto suo LitHub ha ospitato una riflessione di Gabrielle Bellot dal titolo “Freedom Means Can Rather Than Should: What the Harper’s Open Letter Gets Wrong”. Tra i commenti critici, anche quello dell’autrice femminista Jessica Valenti apparso su Medium (“Cancel Culture” Is How the Powerful Play Victim).

L’IDEATORE DELLA PETIZIONE LA DIFENDE

Thomas Chatterton Williams, promotore dell’appello, al New York Times ha dichiarato: “Inizialmente eravamo preoccupati per la tempistica. Il dibattito su questi temi ci stava a cuore da tempo, ma non volevamo che la lettera venisse considerata una reazione alle proteste contro gli abusi della polizia“. E specifica che tra i firmatari dell’appello ci sono intellettuali neri, musulmani, ebrei, trans, gay, anziani, giovani, pensatori di destra e di sinistra.

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