Esce in contemporanea mondiale il primo libro della 23enne Amanda Gorman, anticipato da un acceso dibattito sulle traduzioni della poesia, declamata nel giorno dell’insediamento di Joe Biden, e sulla rappresentazione delle minoranze. ilLibraio.it ne ha parlato con la traduttrice italiana di “The hill we climb”, Francesca Spinelli: “Spero che la polemica spinga alcune traduttrici e alcuni traduttori a considerare sotto una luce nuova il proprio mestiere. (…) Se i cambiamenti sono stati così radicali in tanti altri ambiti, perché lo stesso non dovrebbe valere per la traduzione?”. Per Elisabetta Migliavada (direttrice della narrativa della Garzanti), “il messaggio che la Gorman ha voluto lanciare al mondo è politico, è volto all’inclusione e alla rappresentanza, è un invito ad accogliere le differenze e valorizzarle, dando spazio e voce anche a chi fino a ora ne ha avuti meno”. L’approfondimento dedicato alla discussione

Esce in contemporanea mondiale The Hill We Climb, il primo libro della 23enne Amanda Gorman, l’autrice afroamericana, laureata ad Harvard e certificata National Youth Poet Laureate, che ha accompagnato Joe Biden nel giorno dell’insediamento. 

In Italia a pubblicare il volume è Garzanti (il libro è disponibile anche in edicola con il Corriere della Sera). Non sarà il suo unico testo in libreria quest’anno: dopo l’edizione speciale di The Hill We Climb, a settembre saranno proposti il libro illustrato Change Sings e la raccolta di poesie The Hill We Climb and Other Poems.

amanda-gorman-the-hill-we-climb

IL VALORE SIMBOLICO E POLITICO DELLA POESIA DI GORMAN

Il video che la vede protagonista ha fatto il giro del mondo e ha reso Gorman il simbolo di un cambiamento possibile, dopo una fase molto difficile per gli Stati Uniti, segnata da un lato dalla pandemia e dagli anni della presidenza Donald Trump (trascorsi all’insegna delle tensioni e delle divisioni), e dall’altro da diversi casi di violenza da parte delle forze di polizia ai danni di cittadini non bianchi (afroamericani in particolare), che hanno portato alla morte di George Floyd lo scorso maggio a Minneapolis (non si è trattata certo dell’unica vittima degli abusi, che vanno avanti da anni) e che negli Usa hanno provocato numerose proteste anti-razziste, e la contemporanea ascesa mediatica del movimento Black Lives Matter (nato diversi anni prima).

Nella sua poesia, che esce accompagnata dalla prefazione di Oprah Winfrey, Amanda Gorman, che vive a Los Angeles ed è “un’attivista impegnata nella difesa dell’ambiente, dell’uguaglianza razziale e della giustizia di genere”, racconta la sua storia di “ragazzina magra, cresciuta da una mamma single che sognava un giorno di diventare presidente e oggi recita all’insediamento di un presidente”. 

LA POLEMICA IN OLANDA

E veniamo alla polemica che si è sviluppata nelle ultime settimane.

Tutto è partito dall’Olanda, dove la casa editrice Meulenhoff aveva inizialmente affidato la traduzione della poesia di Gorman a Marieke Lucas Rijneveld, poetessa e scrittrice 29enne dall’identità sessuale dichiaratamente “non-binaria” (qui la nostra recensione  del suo bel romanzo d’esordio, Il disagio della sera, che nel 2020 ha ottenuto il Man Booker International Prize).

Sui social olandesi si è però sviluppata una protesta contro la scelta, polemica che è arrivata anche sui giornali con questa presa di posizione, su De Volkskrant, di Janice Deul, in cui l’attivista propone una serie di altri nomi, non bianchi, di “talenti che arricchiscono il panorama letterario olandese e che in molti casi lottano da anni per un riconoscimento”, che avrebbero potuto rendere il messaggio di Gorman “più potente”

Utile chiarire che Rijneveld non è stata criticata perché “troppo bianca” per tradurre Gorman. Lo ha spiegato Canan Marasligil, traduttrice figlia di immigrati turco-musulmani, su Readmyworld.nl  scrivendo che la maggior parte delle critiche in realtà si è concentrata sulla scelta dell’editore “in un contesto di razzismo sistemico in corso contro le voci olandesi non bianche, e in particolare nei confronti di quelle nere”, e auspicando “una maggiore diversità nella traduzione letteraria nel contesto europeo”

Tornando alla cronaca, gli attacchi hanno spinto Rijneveld a rinunciare all’incarico: “Sono scioccata dal clamore intorno al mio coinvolgimento nella diffusione del messaggio di Amanda Gorman, ma capisco chi si è sente ferito dalla scelta della casa editrice Meulenhoff”. La stessa Rijneveld successivamente ha anche scritto una poesia legata a quanto avvenuto.

Amanda Gorman - foto di Anne Kelia

Amanda Gorman (foto di Anne Kelia)

IL CASO CATALANO

Dall’Olanda alla Spagna, dove il profilo del traduttore Victor Obiols (che ha reso in catalano le opere di William Shakespeare e di Oscar Wilde, oltre che di altri autori americani), scelto dalla casa editrice Univers di Barcellona (parte di Group Enciclopèdia), è stato ritenuto inadatto dall’editore americano, Viking Books. Intervistato dalla radio catalana RAC1, Obiols, ha riconosciuto: “È una questione molto complicata, non può essere certo trattata con leggerezza… Ma se non posso tradurre una poetessa perché donna, giovane e afroamericana nel mio medesimo secolo, non posso neanche tradurre Omero giacché non sono un greco dell’ottavo secolo a.C. E nemmeno, Shakespeare non essendo un inglese del 16esimo secolo”. E su Twitter ha aggiunto: “Per trovare in Catalogna una potenziale traduttrice donna e nera bisognerà puntare su qualche studiosa nata in Africa Occidentale. Niente da ridire, ma comunque culturalmente distante da un’autrice afroamericana nata a Los Angeles, laureata ad Harvard e con una carriera di modella davanti”.

LE SCELTE DEGLI EDITORI FRANCESI E TEDESCHI

Il dibattito è arrivato anche in Francia, dove a tradurre il libro è la 23enne Marie-Pierra Kakoma (nome d’arte Lous and the Yakuza), cantante belga di origine congolese, e dove Le Monde ha ospitato il punto di vista del traduttore e scrittore André Markowicz, dal titolo “Nessuno ha il diritto di dirmi quello che ho il diritto di tradurre o meno”.

Come ricorda Il Post, in Germania l’editore Hoffmann und Campe ha selezionato un gruppo di tre donne per lavorare alla traduzione: l’attivista Kübra Gümüşay, autrice di un libro sul ruolo del linguaggio per una comunicazione rispettosa; Hadija Haruna-Oelker, giornalista afrotedesca che ha scritto una ricerca sulle migrazioni, e la specialista di traduzione poetica Uda Strätling, che ha già tradotto opere di autori afroamericani.

IL CONTESTO IN CUI SI INSERISCE IL DIBATTITO

La polemica sulle traduzioni si inserisce in un ben più ampio dibattito, di cui abbiamo provato a scrivere nei giorni scorsi, che tocca svariati aspetti e problematiche (dall’appropriazione culturale alle nuove sensibilità che fanno sentire la loro voce, dalle polemiche sul cosiddetto ‘politicamente corretto’ al dibattito sull’inclusività della lingua, dall’importanza che le minoranze trovino finalmente sempre più voce a vecchi privilegi e stereotipi razzisti difficili da estirpare). 

Viviamo infatti in un momento storico in cui, pur stando attenti a non ingigantire i fenomeni, nel mondo occidentale, dall’editoria alla moda, dal cinema alla musica, dall’arte al giornalismo, dalla comicità al mondo accademico, non c’è ambito della creatività, della cultura e della comunicazione che non venga messo in discussione

Lo scontro in atto è in parte culturale e in parte generazionale. Prima di schierarsi con decisione da una parte o dall’altra, partendo dalla premessa che non andava certo tutto bene nel “vecchio mondo”, e che limiti e problematicità sono presenti anche nel nuovo corso, per costruire un dialogo proficuo è utile ascoltare i diversi punti di vista. Inoltre, è bene valutare da caso a caso perché, anche se potrebbe sembrare l’esatto contrario, ogni polemica su questi temi è diversa dall’altra, e le letture superficiali delle singole vicende abbondano (mentre il quadro è decisamente più complesso, come dimostra l’analisi della scrittrice e traduttrice Claudia Durastanti pubblicata da Internazionale nei giorni scorsi).

Come abbiamo scritto lo scorso 4 marzo, in questo contesto non mancano le implicazioni legate al mondo del libro, e l’ennesima conferma arriva proprio dal caso delle traduzioni della poesia di Amanda Gorman.

LA SCELTA DI GARZANTI

Veniamo così all’Italia, dove Garzanti, storica casa editrice che nel suo catalogo può vantare nomi come Malala Yousafzai, Michelle e Barack Obama e Carola Rackete, ha affidato la traduzione a Francesca Spinelli, giornalista e traduttrice, che su Internazionale, la scorsa estate, ha raccontato i “dilemmi di una traduttrice a partire da un articolo degli autori nigeriani Boluwatife Akinro e Joshua Segun-Lean secondo cui “i rapporti di potere distorcono le rappresentazioni europee dell’Africa, ma queste distorsioni appaiono anche nelle opere intellettuali della diaspora nera contemporanea”. Spinelli si è soffermata sulla traduzione del termine blackness citando le scelte di alcune traduttrici e ha parlato anche di altri “processi di risemantizzazione” in corso. Sempre su Internazionale, lo scorso 10 ottobre ha pubblicato una riflessione dal titolo “Traduzione, violenza e pluralismo”, a partire dal saggio Traduction et violence firmato da Tiphaine Samoyault, comparatista, scrittrice e traduttrice francese. Scrive Spinelli che la premessa da cui parte  Samoyault, “oltre al rifiuto dell’autocelebrazione, spesso istituzionale, dell’atto del tradurre”, è quella di “una ‘negatività attiva’ della traduzione: ‘La negatività non consiste solo nella presunta perdita che si produce nel passaggio da una lingua all’altra. Come spazio di relazione, la traduzione è anche il luogo di un conflitto che bisogna regolare per preservare una forma di pluralismo’…”.

ELISABETTA MIGLIAVADA: “IL PROFILO DI FRANCESCA SPINELLI APPREZZATO DA AMANDA GORMAN”

In merito al dibattito, che è arrivato anche in Italia (nelle scorse settimane sono intervenuti autrici, autori e traduttrici come Ilide Carmignani, Jonathan Bazzi, Durastanti, Nicola Lagioia, Martina Testa, Ginevra Bompiani, Tiziana Lo Porto, Francesco Pacifico e altri) Elisabetta Migliavada, direttrice della narrativa della Garzanti, ci ha spiegato che “Francesca Spinelli ha rappresentato sin da subito la scelta migliore e condivisa per la traduzione di Amanda Gorman: già traduttrice di Chimamanda Ngozi Adichie, e giornalista di Internazionale, ha scritto su diversi temi legati alla traduzione di scrittori neri. Il suo profilo è stato apprezzato da Amanda Gorman“. “Siamo felici del lavoro di Francesca anche in prospettiva delle opere future dell’autrice, come la raccolta di poesie che uscirà questo autunno per Garzanti – aggiunge Migliavada – Il messaggio che la Gorman ha voluto lanciare al mondo è politico, è volto all’inclusione e alla rappresentanza, è un invito ad accogliere le differenze e valorizzarle, dando spazio e voce anche a chi fino a ora ne ha avuti meno. Il suo poema inaugurale, The Hill We Climb, è soltanto l’inizio di quella che auspico essere una lunga e brillante carriera, non soltanto in campo letterario“.

Francesca Spinelli

Francesca Spinelli (foto di Caroline Lessire/Passa Porta)

L’INTERVISTA ALLA TRADUTTRICE FRANCESCA SPINELLI

Abbiamo intervistato Francesca Spinelli, che (prima della polemica di queste settimane) aveva scritto: “Tradurre è spesso un’operazione violenta: si parte all’attacco (di un libro, di un articolo, di una poesia), comincia la lotta (con il testo originale, con i suoi aspetti formali e i suoi molteplici significati, con l’autrice o l’autore, spesso irraggiungibili, che sembrano provocarci da lontano, con la lingua di arrivo che si fa sfuggente, irritante) e si continua a battagliare fino alla data di consegna. Alla fine ci si ritira, quasi mai vittoriosi, quasi sempre stremati, a volte con un senso di vergogna per quella soluzione di ripiego così poco convincente”. E le abbiamo chiesto come ha vissuto il dibattito, che abbiamo sintetizzato sopra, e com’è stato, quindi, tradurre la poesia di Amanda Gorman alla luce di tutti i discorsi che sono stati fatti: “Quando Garzanti mi ha chiesto di tradurre The hill we climb la polemica non era ancora scoppiata. Marieke Lucas Rijneveld aveva da poco annunciato su Twitter di essere stata scelta per tradurre la poesia in neerlandese. Mi sono messa all’opera – i tempi di consegna erano strettissimi – e poco dopo Rijenveld ha rinunciato all’incarico. Ho deciso di non seguire il caso, perché avevo pochissimi giorni per finire la traduzione e non volevo lasciarmi distrarre. Ho però notato che la vicenda, nata in un contesto preciso, era stata decontestualizzata e si stava trasformando in un dibattito infuocato e un po’ confuso, in cui tutti dicevano la loro, spesso senza parlare della stessa cosa. Mi sono quindi concentrata sulla resa del testo – come restituire la forza espressiva, la musicalità e il ritmo dello stile di Gorman. In fase di editing, per seguire le indicazioni date dal suo team, è stata accentuata la fedeltà al contenuto. Aspetto con molta curiosità l’uscita delle altre traduzioni per vedere  quali scelte sono state fatte in altre lingue”.

LEGGI ANCHE – Traduzioni, impegno e identità, l’analisi di Claudia Durastanti (da Internazionale

Spinelli prosegue raccontando che, “una volta consegnata la traduzione, mi sono immersa nella lettura dei tanti articoli e commenti che erano già usciti. E mi sono detta che dovremmo essere grati ad Amanda Gorman per aver involontariamente scatenato quello che può essere considerato il primo dibattito mondiale sulla traduzione. Chi lavora in questo ambito si riconosce senz’altro nel titolo del recente libro di Renata Colorni, Il mestiere dell’ombra. Tradurre letteratura. È così che ci sentiamo quando, chini sul testo, all’ombra dell’autore o dell’autrice da tradurre, sondiamo, lavoriamo, sperimentiamo la lingua di arrivo alla ricerca delle corrispondenze con il testo originale. Ed ecco che una poesia declamata all’insediamento di un presidente statunitense riesce a scatenare un dibattito tale da spingere ogni traduttore e traduttrice sul pianeta a esprimersi sulla questione”.

A proposito dei tanti interventi che sono stati fatti, per Francesca Spinelli “alcune reazioni sono state molto accese. Penso sia in parte perché chi traduce è appunto abituato a farlo nella penombra, lontano dai riflettori e dalle polemiche. È un mestiere svolto per passione, quando non per abnegazione, in una dimensione di grande libertà e di grande discrezione. Certi traduttori si sono quindi risentiti sentendo affermare – anche se in realtà nessuno l’ha affermato – che solo alcune persone possono tradurre alcuni testi. Le reazioni più stizzite sono arrivate da chi traduce da più tempo, forse perché dall’alto di tanta esperienza si fa più fatica ad accettare le critiche. Ma penso che il motivo sia soprattutto un altro: chi entra nel mondo della traduzione oggi lo fa con una sensibilità diversa rispetto a chi si lanciava in questo mestiere quaranta o cinquant’anni fa“. A questo proposito, per Spinelli “i traduttori più giovani non hanno aspettato la polemica su Amanda Gorman per interrogarsi sulla legittimità del loro ruolo, sulla valenza politica dell’atto del tradurre, sulla necessità di sapersi tirare indietro in alcune circostanze. Sono riflessioni che interessavano meno i traduttori di una o due generazioni fa, perché il mondo è cambiato. E se i cambiamenti sono stati così radicali in tanti altri ambiti, perché lo stesso non dovrebbe valere per la traduzione? Eppure c’è chi continua a presentarlo come un mestiere fuori dal tempo, un’operazione di trasmissione della bellezza scollegata dall’epoca in cui viviamo”.

Le abbiamo poi chiesto quanto questa discussione abbia a che fare con l’atto del tradurre e quanto, invece, in questo caso sia in parte stata un pretesto per parlare d’altro, ovvero della scarsa rappresentazione delle minoranze, in tanti ambiti, compreso quello editoriale e letterario: “Janice Deul l’ha precisato subito, e anche il suo articolo su De Volkskrant era piuttosto chiaro: le critiche non riguardavano l’atto del tradurre ma la scelta dell’editore Meulenhoff di affidare la traduzione a Marieke Lucas Rijneveld. A parità di profili – giovane, donna, scrittrice, sensibile alle questioni della diversità e della discriminazione – perché non dare il lavoro a un’artista afro-olandese? Perché sprecare un’occasione così facile di scrollare il mondo dell’editoria dalla sua innegabile omogeneità? In Francia la casa editrice Fayard è stata molto più accorta di Meulenhoff. Affidando la traduzione alla cantante belgo-congolese Marie-Pierra Kakoma (in arte Lous and the Yakuza), ha fatto una scelta inattaccabile. Quindi sì, il caso originale – quello olandese – riguardava il problema della scarsa rappresentazione delle minoranze, più precisamente delle persone nere, in ambito culturale ma non solo. Il dibattito si è esteso, per ovvi motivi linguistici, alle vicine Fiandre. Lì uno dei momenti più intensi è stato il dibattito televisivo tra Lisette Ma Neza, bravissima artista olandese che vive in Belgio (citata da Janice Deul come possibile alternativa a Rijneveld), e Assita Kanko, giornalista e politica belga di origine burkinabé, passata nel 2018 dal Mouvement réformateur (partito belga dei liberali francofoni) alla N-VA (i nazionalisti fiamminghi), con i quali è stata eletta al Parlamento europeo nel 2019. Lisette Ma Neza ha provato a spiegare le ragioni della protesta contro la scelta dell’editore Meulenhoff, Assita Kanko ha risposto con meloniana perentorietà, scagliandosi contro il razzismo al contrario, attaccando chi riduce le persone al loro colore e via dicendo. Ecco il contesto in cui Rijneveld ha giustamente deciso di rinunciare all’incarico. E altrettanto giustamente Janice Deul e altri avevano sollevato dubbi sulla scelta di Meulenhoff. Perché non avrebbero dovuto?”.

Torniamo, per chiudere l’intervista, al messaggio di Amanda Gorman, che è politico. E chiediamo a Francesca Spinelli quanto la traduzione abbia a che fare con la politica (tra l’altro, è un tema centrale del saggio di Tiphaine Samoyault citato sopra, ndr): “Il saggio di Tiphaine Samoyault mi ha colpito molto per il modo in cui ribalta una certa visione ‘innocente’ della traduzione, arricchendo la nostra comprensione dell’atto del tradurre. Se la traduzione è relazione, e la relazione è rapporto di forze, allora ogni traduzione è politica. È quanto afferma in un recente intervento su Libération il filosofo Paul B. Preciado, secondo il quale ‘la traduzione è sempre un processo politico‘ e le pratiche nel campo della traduzione illustrano meglio di ogni altra cosa le politiche culturali di un paese. ‘In questi giorni si è parlato molto della qualità delle traduzioni in francese di testi di Toni Morrison e James Baldwin da parte di autori bianchi, e non ne dubito’, scrive Preciado. ‘Ma non è stato fatto nessun esempio di un illustre autore bianco tradotto da una donna nera’. Preciado si dice ottimista perché ‘le opere di Amanda Gorman e di Marieke Lucas Rijneveld sono rappresentative del cambiamento di paradigma in atto e sono pubblicate, tradotte e lette’. Non condivido il suo ottimismo, credo sia troppo presto per parlare di cambiamento di paradigma. Ma spero che la polemica sulle traduzioni di The hill we climb spinga alcune traduttrici e alcuni traduttori a considerare sotto una luce nuova il proprio mestiere“.

TRADUZIONI, COLONIALISMO E POTERE NELLA STORIA

Tra le numerose riflessioni nate a seguito di questa polemica, vale infine la pena soffermarsi su quella di Mridula Nath Chakraborty, che lavora in Australia per la Monash University. Tra i meriti della sua analisi, pubblicata da The Conversation con il provocatorio titolo “Is this the end of translation?” (“questa è la fine della traduzione?“), c’è quello di non lasciare spazio a prese di posizioni affrettate e di allargare il discorso analizzando storicamente l’impatto delle traduzioni anche in ambiti non letterari. L’autrice cita Tejaswini Niranjana, secondo cui la traduzione “shapes, and takes shape within, the asymmetrical relations of power that operate under colonialism”. L’atto di tradurre “non è mai neutro”. Si tratta di un saggio che ha senso leggere per intero, perché tocca svariati aspetti, sia direttamente legati al caso Gorman, sia più in generale a un mondo dell’editoria in cui il numero di lavoratrici e lavoratori (e dirigenti) “non bianchi” è assai limitato, e sia legato al rapporto tra traduzione, storia, colonialismo e potere. Secondo l’autrice, “non essendoci condizioni di parità tra gli autori per far sentire la propria voce nel mercato editoriale globale, devono essere presente una consapevolezza storica e una sensibilità postcoloniale”. Inoltre, “per raggiungere l’equità, la trasformazione deve essere strutturale e non può ricadere sulle spalle di un singolo traduttore, rendendolo un capro espiatorio“.

Abbiamo parlato di...