Dopo “Papaya Salad”, Elisa Macellari, illustratrice italo-thailandese, torna con un graphic novel dedicato a Yayoi Kusama, artista che vive volutamente in un istituto psichiatrico

Elisa Macellari è un’illustratrice italo-thailandese, nata a Perugia e attualmente residente a Milano. Papaya Salad è stato il suo primo romanzo grafico, pubblicato in Italia da Bao Publishing (2018) e in Francia da édition Steinkis (2019).

Macellari, che ha collaborato, tra gli altri, con The New York Times, Women’s Health UK, Cartoon Network, Corriere della Sera, Linus, Mondadori, Feltrinelli, Einaudi, Giunti, Piemme, Zanichelli e Nobrow Press, torna ora in libreria per Centauria con un graphic novel dedicato a Yayoi Kusama.

kusama

Distese di zucche maculate, grappoli di falli, pois, ramificazioni, tentacoli che svettano da terra e tentacoli annodati di mille colori incandescenti, piante e fiori che si spingono fino al soffitto. Dentro ogni cosa, lei, Yayoi Kusama (Matsumoto, 1929), l’artista camaleonte che ha trasformato la paranoia, le allucinazioni uditive e visive, l’ansia ossessiva e le aritmie in un loop di forme e colori, in un habitat al contempo fiabesco, sospeso e sinistro dove la ripetizione è decostruzione della paura.

Nella storia della donna che ora vive volutamente in un istituto psichiatrico, sempre con i colori alla mano a farle da scudo magico, convivono l’infanzia tra le voci dei campi di violette, le tele strappate dalla madre, i tradimenti del padre che era costretta a spiare. E poi la lettera a Giorgia O’Keefee, la fuga a New York, in valigia sessanta kimono e duemila tra disegni e dipinti da vendere. In America Kusama soffre la fame, la depersonalizzazione e la fobia sono tali che non basta dipingere una tela, bisogna dipingere tutto quello che c’è attorno e lì restare. E mentre resta Yayoi cavalca la rivoluzione hippie, conosce Cornell, Warhol, Read e Smith, invade le gallerie, trova il coraggio di tornare in Giappone, tenta il suicidio, e dopo venti anni in cui il vuoto spezza la fama, una retrospettiva a New York la rimette al suo post

Macellari, che ha scelto una palette in cui tra i neri e i bianchi si accendono il rosso e il turchese, usa delle linee gentili, e sempre curate nei dettagli, per creare delle immagini che non sono mai didascaliche, ma che anzi compiono sempre un salto di immaginazione volto a restituire lo spirito della donna e lo spirito dell’opera Kusama. Lo stesso accade con la sceneggiatura, che ripercorre l’intera esistenza di Yayoi mostrando cosa significhi lottare con le mortificazioni familiari, salvarsi e creare intorno alla psicosi un mondo che assottiglia la paranoia con la ripetizione e un innato senso del fiabesco.

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