Che cos’è l’anastrofe, e come si usa? Ecco una guida rapida a questa figura retorica molto diffusa e dalla forte espressività, con esempi in ambito letterario e non solo

L’anastrofe è una figura retorica di ordine che si basa sull’inversione della consueta posizione di due o più termini.

La disposizione delle parole in una frase proviene dal suo utilizzo usuale, che coincide quasi sempre con le regole della grammatica italiana, in cui l’ordine sintattico generalmente è di tipo SVG, cioè soggetto – verbo – oggetto.

Cos’è l’anastrofe: la definizione

La definizione di anastrofe è quindi: figura retorica che consiste nell’inversione di due o più parole, nel verso poetico o nel periodo. L’etimologia della parola proviene infatti dal latino anastrŏphe, a suo volta derivato dal greco ἀναστροϕή, che significa per l’appunto inversione.

Per quanto riguarda la pronuncia in italiano, l’accento nella parola anastrofe ricade sulla terz’ultima sillaba, e cioè sulla seconda a: anàstrofe.

La funzione dell’anastrofe è quella di cogliere l’attenzione di lettrici e lettori, che aspettandosi di trovare le parole in un certo ordine vengono invece “sorpresi” da questo cambiamento.

In poche parole, per chi si chiedesse a che serve l’anastrofe, la risposta è che serve a dare enfasi a un determinato concetto, che viene posto nella frase in una posizione diversa rispetto al solito.

Ma non solo: l’anastrofe infatti può anche servire a ottenere determinati effetti fonici e ritmici, soprattutto nei componimenti poetici in cui c’è la necessità di ottenere versi con un determinato numero di sillabe, o di far sì che gli accenti delle parole ricadano in una particolare posizione del verso.

Alcune teorie linguistiche sostengono che l’anastrofe provenga dalla maggior libertà nell’ordine delle parole tipico della lingua latina, che tramite questa figura retorica si sarebbe poi specchiata nell’italiano. Quello che è sicuro è che l’anastrofe è una figura retorica di utilizzo molto comune, sia nel parlato che in letteratura: vediamone quindi alcuni esempi.

Esempi di anastrofe

Il quadro Le banquet di Magritte, rappresentazione figurativa della metafor, mentre viene appeso

Il dipinto Le Banquet di René Magritte può essere interpretato come una rapprentazione figurativa dell’anastrofe. Nella realtà infatti avremmo trovato gli alberi in primo piano, e il sole al tramonto dietro di loro. In questo caso però l’ordine viene invertito. Il dipinto presenta infatti il sole davanti agli alberi. Quest’inversione innaturale si scontra con il realismo del resto del quadro, facendo sì che l’attenzione ricada proprio sul sole, che non si trova dove ce lo aspetteremmo. (Photo by Alexi Rosenfeld/Getty Images)

Partiamo da alcuni degli esempi più semplici di anastrofe, cioè quelli che provengono da espressioni comuni anche nel linguaggio parlato, come “eccezion fatta” (normalmente si direbbe “fatta eccezione”) o “cammin / strada facendo“.

Altri esempi di utilizzo dell’anastrofe si possono trarre da alcuni dialetti, in cui è comune porre il verbo alla fine della frase al posto che tra soggetto e oggetto. In questi potrebbe essere comune sentire inversioni simili a “La mela mangia” (al posto di “Mangia la mela”).

Al di là dei singoli dialetti, questo utilizzo dell’anastrofe nel parlato serve a dare enfasi all’oggetto al posto che all’azione: in questo caso quindi alla mela e non all’atto del mangiare.

Forse meno comuni oggi, ma in passato diffuse nel linguaggio scritto e parlato, sono poi “meco“, “teco“, e “seco“, anastrofi provenienti dal latino che traggono origine dalle espressioni “mecum”, “tecum”, “secum”, e che quindi stanno a significare “con me”, “con te” e “con sé”.

Veniamo ora a degli esempi tratti dalla poesia e in particolare dai componimenti di alcuni autori che hanno fatto la storia della letteratura italiana. Uno dei più celebri esempi di anastrofe si trova ne l’Infinito di Giacomo Leopardi, ma non mancano esempi anche in Dante Alighieri, Ugo Foscolo ed Eugenio Montale (solo per citarne alcuni):

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
E questa siepe, che da tanta parte
Dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.”
(G.  Leopardi, L’infinito, Canti)

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.”
(E. Montale, Spesso il male di vivere ho incontrato, Ossi di seppia)

“Sonavan le quiete
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo canto,
Allor che all’opre femminili intenta
Sedevi, assai contenta
Di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
Così menare il giorno.”
(G. Leopardi, A Silvia, Canti)

“Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua devèn, tremando, muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta,
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.”
(D. Alighieri, Tanto gentile e tanto onesta pare, Vita Nova)

“Venere, e fea quelle isole feconde
col suo primo sorriso, onde non tacque
le tue limpide nubi e le tue fronde
l’inclito verso di colui che l’acque

cantò fatali, ed il diverso esiglio
per cui bello di fama e di sventura
baciò la sua petrosa Itaca Ulisse.”
(U. Foscolo, A Zacinto, I Sonetti)

Cercavano il miglio gli uccelli
ed erano subito di neve;
così le parole.”
(S. Quasimodo, Antico inverno, Acque e terra)

Differenza tra anastrofe e iperbato

Qual è la differenza tra anastrofe e iperbato? La struttura di queste due figure retoriche è molto simile, e riconoscerle può essere reso difficile dal fatto che spesso le due vengono utilizzate insieme.

L’anastrofe, come abbiamo visto, prevede l’inversione nell’ordine tra due o più termini: schematizzando, se normalmente troveremmo A e poi B, con l’anastrofe troveremmo invece B e poi A.

L’iperbato invece funziona separando due parole solitamente accostate, inserendone una o più tra di esse. Mantenendo l’esempio: se ci aspettassimo di trovare A e poi B, con l’iperbato troveremmo invece A, C e poi B.

Infine, nel caso vengano utilizzate contemporaneamente anastrofe e iperbato (quindi inversione più interruzione) questa sarebbe la nuova disposizione delle parole: B, C e poi A.

Chi invece si chiedesse la differenza tra anastrofe e anafora, per via della confusione creata tra la similitudine dei nomi di queste figure retoriche, può trovare dei chiarimenti in questo approfondimento dedicato proprio all’anafora.

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