“Al di qua del fiume” di Alessandra Selmi è la storia del primo villaggio operaio in Italia, Crespi: un sogno diventato una grande realtà, a cavallo tra mondo contadino e mondo industriale, un sito all’avanguardia, e a misura d’uomo. L’autrice del romanzo fa affiorare i contorni di racconti emozionanti e reali, di gente coraggiosa, di amori, sacrifici e libertà, che insieme hanno reso possibile un progetto che merita senza dubbi né ombre di essere patrimonio di tutta l’umanità…

“Lì comincia il futuro. Nessuno sa davvero come sarà. C’è chi dice che sarà migliore, chi invece resta scettico e chi non si sbilancia. «Ci sarà lavoro per tutti, per tutto l’anno», profetizza uno, versandosi da bere”.

Un triangolo di terra di ottantacinque ettari, dove il Brembo si butta nell’Adda: agli occhi del piccolo Silvio Crespi è solo terra incolta. Suo padre Cristoforo invece è gonfio d’orgoglio, lui vede tutto nella sua testa, lo stabilimento, il canale, la ciminiera, gli edifici con le stelle a otto punte, tanto netta è in lui l’immagine della sua città ideale, un villaggio operaio, una fabbrica che è un insediamento umano, dove vivere e lavorare.

È il 1877 quando prende forma l’utopia di Cristoforo Crespi.

Diceva Adriano Olivetti che un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia a lavorarci. “E allora può diventare qualcosa di infinitamente più grande”.

Al di qua del fiume Selmi

Al di qua del fiume di Alessandra Selmi (Nord) è la storia del primo villaggio industriale in Italia, Crespi: un sogno diventato una grande realtà, a cavallo tra mondo contadino e mondo industriale, un sito all’avanguardia, e a misura d’uomo. Consapevole istintivamente dell’importanza dei servizi come diritto dei lavoratori, Crespi ha fatto suo il dovere sciale di garantire un futuro agli uomini e alle donne del suo cotonificio, mettendo davanti a tutto il loro benessere.

“Gli uomini non dovranno venire da lontano, sprecando energie e tempo prezioso nel tragitto; vivranno qui e la fabbrica sarà la loro seconda casa. Ci saranno anche un emporio e un albergo, le stalle, tutto il necessario”.

Case con orto, una scuola, un ospedale, un cimitero: il villaggio Crespi era non solo autonomo e permetteva una vita salubre e facile, ma anche bello. La vera rivoluzione di intervento sociale risiede proprio in questa consapevolezza che unisce i progetti di Crespi e di Olivetti: la responsabilità della bellezza, che è un diritto, perché gli uomini circondati da bellezza lavorano meglio.

Quel sogno diventato “infinitamente più grande” ha cambiato la vita a tanta gente e ha rappresentato un vero esempio di welfare di chi aveva a cuore prima delle macchine, le persone.

“Noi siamo imprenditori del cotone grazie agli uomini, e agli uomini dobbiamo ogni cosa. Per questo è importante conoscerli tutti, di persona, i tuoi operai”.

È proprio sulle persone che Alessandra Selmi costruisce il suo racconto di oltre cinquant’anni di vita del Villaggio Crespi: non solo una storia di imprenditoria, ma una storia umana, che incrocia universi sociali accomunati da un solo progetto.

Al di qua del fiume è un’epopea di sognatori, imprenditori e operai, diversi per opportunità, uguali nella coscienza di un cambiamento possibile. Perché la visione resa realtà dai Crespi è stata proprio quella: la speranza di un domani differente.

Per gli operai che fin dal primo giorno, nel fango, si dannano per costruire le basi del cotonificio, e poi occupano le case, crescono le famiglie, vivono, lavorano, il villaggio rappresenta il senso di un cambiamento verso la dignità di una vita vissuta per bene.

Carlo e Amalia sanno che la figlia Emilia potrà sperare in un futuro di libertà, perché oltre al lavoro, c’è la scuola, lo studio che permette di non essere schiavi. Per Luigi c’è una seconda possibilità come oste, ed è solo grazie a quella solidità che suo figlio potrà un giorno alzare la testa e pensare in grande, all’America.

Il villaggio è un mondo descritto come una società, con tutte le sue disgrazie, le fatiche del lavoro, la sua quotidianità vera, la coesione. C’è alla base la caparbietà dura e pragmatica di Cristoforo, un uomo ostinato, che conosce il valore dei suoi danè, che grazie al progetto Crespi sente di essere completo, orgoglioso di specchiarsi riflesso nella bellezza della sua pinacoteca, ma anche nello sguardo dei suoi operai, dio benevolo capace di sedersi con loro di fronte a un piatto di zuppa. Perché se i capitali e il cervello sono di casa nel lussuoso appartamento di Milano, il cuore Crespi batte a Canonica, negli ottantacinque ettari di terra che gli investitori guardano con sufficienza. Cristoforo è un uomo solido, ed è tutto nella raccomandazione con la quale si congeda dal figlio: Tegn de cönt la me roba.

L’affresco umano di Alessandra Selmi abbraccia il confronto tra generazioni: la preveggenza del figlio Silvio segna un periodo florido per gli affari, con la nascita della centrale di Trezzo, e abbraccia la politica, le relazioni pubbliche, ma anche il conflitto umano di chi si sente imprigionato al senso del dovere. Silvio rinuncia all’amore, al giornalismo, a un’idea di vita che aveva sperato per sé: non è solo spirito liberale, è il senso pratico del fondatore che, figlio di un tengitt, di un tintore, conosceva il sacrificio e lo considerava indistricabile dal lavoro e dalla famiglia. Silvio ne è l’erede, con i suoi privilegi e le sue frustrazioni: imprenditore e politico sfrontato, è uomo solo che di nascosto piange le sue paure. Solo Emilia lo conosce a fondo, da quando erano bambini, ed è diventata parte attiva del villaggio. Loro, così diversi, così uniti, sono i volti di un progetto di comunità destinato a rimanere per sempre, a ricordare a tutti cosa i Crespi hanno creato, la capacità di sognare.

“«Certamente tu e la tua famiglia avete eretto un intero villaggio, e non è cosa da poco, ma non è questa la più importante: i Crespi hanno dato a un sacco di persone un’esistenza dignitosa, la fiducia in un domani migliore, un posto dove crescere i figli e invecchiare serenamente circondati dalla bellezza. Una comunità di cui sentirsi parte integrante»”.

E se il sogno Crespi ha avuto la forza di realizzarsi, la dignità del fallimento ha uguale sostanza e merita uguale rispetto e ammirazione. La guerra, il fascismo, la crisi del settore, le lotte operaie: al di là del fiume il mondo si trasforma, e tutte le difficoltà si riversano sulla ditta Crespi, che cede il cotonificio, ma non toglie luce alla memoria di ciò che è stato.

Al di qua del fiume è un romanzo appassionante perché profondamente vero, e nella sua coralità di voci, semplici o privilegiate, riesce a restituire vita a un microcosmo che si ripopola di famiglie, di capannelli di donne al lavatoio, di bambini che giocano in strada, di uomini che varcano i cancelli della fabbrica, di treni diretti in ogni parte del mondo, del sciur Crespi che si aggira attento a tutto e a tutti (“L’è töt a post?”).

In mezzo alla nebbia che sale dal fiume, la penna di Alessandra Selmi, che è titolare dell’agenzia letteraria Lorem Ipsum e insegna Scrittura editoriale all’Università Cattolica di Milano, fa affiorare, col mestiere e con il cuore, i contorni di storie emozionanti e reali, di gente coraggiosa, di amori, sacrifici e libertà, che insieme hanno reso possibile un progetto che merita senza dubbi né ombre di essere patrimonio di tutta l’umanità.

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