Alba de Céspedes (11 marzo 1911 – 14 novembre 1997) è la protagonista del romanzo “Dalla parte di Alba” di Michela Monferrini, una storia che è anche una riflessione sul senso della scrittura come eredità di una vita. L’autrice e femminista ha infatti trascorso la sua esistenza in bilico tra continenti e rivoluzioni, all’inseguimento dei suoi genitori, alla ricerca dei suoi personaggi, alla conquista di una stanza tutta per sé per dedicarsi a ciò a cui si sentiva destinata fin da bambina: scrivere, scrivere, scrivere – Su ilLibraio.it un estratto

Un’anziana scrittrice riceve nel suo appartamento parigino una studentessa di lettere e nel dialogo con lei riaccende le stanze dell’infanzia, le avventure della giovinezza, le pagine della maturità.

Non ci troviamo davanti a un’autrice qualsiasi, bensì alla nota intellettuale femminista Alba de Céspedes (1911-1997), che rivive fra le pagine del nuovo romanzo di Michela Monferrini (Roma, 1986), intitolato proprio Dalla parte di Alba ed edito da Ponte alle Grazie.

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Dopo due guide letterarie dedicate alla Napoli di Raffaele La Capria (1922-2022) e al Portogallo di Antonio Tabucchi (1943-2012), un ritratto della giornalista Grazia Cherchi (1937-1995) e romanzi per adulti e ragazzi che hanno ricevuto diversi riconoscimenti, Monferrini torna infatti in libreria rendendo a sua volta Alba de Céspedes la protagonista di una storia che è anche una riflessione sul senso della scrittura come eredità di una vita.

La scrittrice Michela Monferrini

Michela Monferrini (Courtesy©2019 Rino Bianchi – All rights reserved)

Figlia di un diplomatico cubano e di un’ammirata donna della borghesia romana, Alba de Céspedes ha trascorso una vita in bilico tra continenti e rivoluzioni, all’inseguimento dei suoi genitori, alla ricerca dei suoi personaggi, alla conquista di una stanza tutta per sé per dedicarsi a ciò a cui si sentiva destinata fin da bambina: scrivere, scrivere, scrivere.

Carica di storia – il nonno, poeta e combattente, è stato il primo presidente in armi di Cuba – ha attraversato il Novecento in prima persona, prestando la voce alla Resistenza e il cuore a uomini che non potevano capirla fino in fondo.

Intrecciati a zie e maggiordomi, amanti e conoscenti, amici e cartomanti, fanno la loro comparsa tra le righe Natalia Ginzburg (1916-1991) e Simone De Beauvoir (1908-1986), Thomas Mann (1875-1955) e Fidel Castro (1926-2016), Benedetto Croce (1866-1952) e Italo Calvino (1923-1985), ma soprattutto le ombre letterarie dei suoi personaggi femminili

Copertina del libro Dalla parte di Alba di Michela Monferrini

Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, pubblichiamo un capitolo del romanzo:

L’intervista, quarto appuntamento
Parigi, 31 quai de Bourbon, febbraio 1991

Ha pensato per giorni a come riprendere il discorso con la ragazza, ed ecco quello che le dirà: che il suo modo di guardare nei libri è viziato da un errore, che tutto quell’andare alla ricerca della verità – la Verità! – non ha senso, che un racconto o un romanzo non possono essere indagati come si fa con gli indizi sulla scena di un crimine.

Il rapporto tra la vita e l’opera: non si fa che parlare di questo, lo sa bene, anche lei legge i giornali (quando ne ha il tempo, e non ne ha molto a essere sincera, più segue la cronaca e l’informazione meno si sente creativa, ecco la verità, ecco la realtà!), e giusto un anno fa un’altra studentessa è venuta a casa sua, più volte, per lo stesso tipo di ricerca, con le stesse domande. Non si è mai negata, ha preparato il tè, ha raccontato, poi magari ha chiesto di tagliare qualcosa di troppo personale che si è lasciata sfuggire, ma si è data con slancio e generosità, non ha risposto come avrebbero fatto tante altre scrittrici che lei ha conosciuto, e dall’opera ben più modesta della sua: per me, parlano i miei libri. Se i vostri libri si trovano ancora, care mie!

Ma insomma, questo sguardo voyeuristico dentro l’opera di un autore, di un’autrice, non l’ha mai convinta, e ora addirittura c’è questa studentessa cresciuta pensando che lei potesse svelarle qualcosa della sua famiglia, questa ragazza ferita a cui hanno messo in mano dei libri senza spiegarle cos’è una poesia, cosa un romanzo… tanto valeva metterle in mano una pistola.

Quando apre la porta, sulle prime non se ne accorge. Vede Léna, ha un giubbotto verde militare e gli spallacci fucsia di uno zaino. Così le sembra. Poi, mentre la fa entrare e viene superata, capisce che non è uno zaino: la ragazza ha la testa di una bambina appoggiata alla schiena, le sue piccole gambe a ogni passo dondolano dandole calcetti sul sedere.

«Mi scusi, non sapevo dove lasciarla, ho litigato con mia madre e…»

«Spero che la cosa non mi riguardi, stavolta».

«No, niente, davvero. Solo che non volevo disdire, e visto che questa è l’ora in cui Marie deve dormire… Infatti guardi, si è addormentata mentre arrivavamo qui, e dormirà un paio d’ore».

«C’è il letto di là».

«No, se la sfilo si sveglia. Se non le dispiace mi basta una sedia, la tengo così».

«Ma come fa a stare seduta con quel coso dietro? Con la bambina nello zaino, voglio dire».

«Guardi, lo so che non è elegante, ma posso stare così?» Léna ha preso una sedia e si è seduta al contrario, con lo schienale contro la pancia e lo zaino marsupio che poggia bene sulla seduta. C’è dell’ordine nella sua disorganizzazione, o quantomeno dell’estro.

«Le apro almeno un po’ di finestra perché non può tenersi addosso quel giaccone per due ore con i riscaldamenti accesi. Ecco. Prima che avvii il registratore vorrei dirle che…»

«Non voglio parlare di quello che mi ha raccontato la volta scorsa. Io ho capito».

«No, mi ascolti, io penso che lei legga male». Non era così che doveva iniziare il suo discorso. Ora la ragazza sarà di nuovo offesa.

«Ho letto male le sue poesie». Non è offesa, forse ha capito davvero.

«Lasci stare il caso delle poesie, lei…»

«Non deve parlare per forza sottovoce, può usare un tono normale. Non si preoccupi, Marie ha un sonno pesante, quando crolla crolla e intorno può succederle di tutto. L’altro giorno è venuta con me alla manifestazione di place de la République, accanto a noi tutti cantavano e strillavano, e lei si è addormentata!»

«Va bene, ci provo senza esagerare. Le dicevo che lei ha creduto a quella mia nota firmata e non ha alcuna colpa, se non proprio questa: non deve mai credere a uno scrittore, sono i più grandi mentitori, e se non lo sono… allora i loro libri non saranno granché. Ma ascolti qualcosa che può davvero interessarle, anche per il suo lavoro di tesi. Se vuole può accendere quello, va bene? Io ho sempre scritto ciò che sentivo di vivere nella mia essenza, nella parte più profonda di me. Non le cose come le viveva questo corpo ormai vecchio, ma come le viveva il mio spirito. Nei racconti, nei romanzi, io facevo… il ritratto di stati d’animo che avevo vissuto, ecco. Ma dentro a una cornice, dentro storie, dentro personaggi del tutto inventati, che mi servivano come contenitori».

Léna annuisce in silenzio, la bambina ha già girato la testa un paio di volte con difficoltà contro la schiena di sua madre. Ora mostra una guancia tutta rossa e segnata dalle pieghe del giubbotto.

«Io non sono mai stata la protagonista di un mio romanzo, e di sicuro non sono Alessandra, come tanti avevano invece creduto, e scritto! Non ho ucciso mio marito. Anzi, le dico di più: se proprio in quel romanzo devo esser ravvisata in qualcuno, allora forse sarei nel giudice che dà ad Alessandra trent’anni di galera, altrimenti il romanzo non sarebbe finito così, avrei trovato per lei un finale diverso. Ma di me, in un mio racconto, in un romanzo, persino in una poesia che è la cosa più intima che si possa produrre, c’è tutto e… niente».

Léna continua a stare in silenzio, Alba capisce che è anche per non svegliare Marie, a cui il corpo della mamma farebbe da grancassa a ogni parola. Poco male, perché ha molto da dire.

«Naturalmente il romanzo cubano che sto scrivendo fa eccezione perché è davvero una sorta di autobiografia, o di biografia della mia famiglia, e lì ci sono episodi, persone… Ma è proprio per questo che le interessa meno, vero? Voi studentesse volete capire quanta vita sia finita nella narrativa pura».

«Voi studentesse?»

«Mi scusi se ho detto così, è che prima che arrivasse avevo giusto ripensato a una studentessa che come lei venne a intervistarmi lo scorso anno, e l’argomento era molto simile… Anzi, se vuole potrei metterla in contatto».

«Grazie. Comunque in effetti, come già le dicevo, il punto non sono le opere autobiografiche – anche se il suo lavoro sulle origini cubane mi interessa moltissimo – ma l’osmosi tra l’esperienza personale e la creazione letteraria».

«Sì, lo avevo capito. Ancora capisco le cose. Sa, ora che la vedo seduta così penso che sia proprio come per questa sedia, è la stessa storia. Io guardo questa sedia e penso che lei arriverà qui senza bambina e – oh, guardi, si è sentita nominata, ha alzato la manina. Penso che lei si toglierà la giacca e si siederà forse incrociando le gambe, forse no, ma comunque con la schiena contro lo schienale. Eppure, c’è uno sbaglio: non bisognerebbe partire dalla sedia, ma dalla persona, ed ecco che arriva lei e si siede al contrario, e io so qualcosa in più di lei – qualcosa di più vero – e la sedia è sempre una sedia. Così non bisogna partire dallo scrittore, ma dai suoi libri, perché i libri diranno tutto di lui, l’intera mia vita è dentro ai miei libri, e io in un certo senso nei miei libri sono proprio seduta al contrario».

«Credo di aver capito».

«Se lei parte da quel che presume di sapere di me, della mia vita personale per giunta, allora mi cercherà anche nei libri con la schiena ben dritta sullo schienale, e non troverà la vera me».

Léna annuisce, i movimenti di Marie si fanno più frequenti.

«Una volta la Mansfield… Lei ha letto la Mansfield?»

«Sì, qualcosa».

«Una volta ha scritto in una lettera di aver messo a bagno alcune delle sue petunie dentro a un racconto, così, per farle vivere più a lungo. Le petunie vere saranno sfiorite da quasi un secolo, ma sa che quelle del racconto sono ancora vive? A lei devono interessare le petunie vive».

Marie si sveglia gemendo, con un breve lamento improvviso, da cucciolo di animale. Alba lo sapeva: stava scomoda, ma sua madre è troppo cocciuta.

«Le dispiace se la sfilo di qui, la riaddormento e la tengo un po’ in braccio mentre parliamo?»

Alba allarga le braccia, le sembra che rispondere sia inutile, Léna è già partita per il corridoio in penombra, la sente percorrerlo velocemente su e giù facendo un lungo sibilo con la bocca; sembra quasi che non prenda mai fiato.

«Ad ogni modo non penso ci sia scrittore che io abbia amato come ho amato Katherine Mansfield» le dice quando Léna torna con la bambina in braccio, addormentata di traverso. «Lei vorrebbe anche scrivere?»

«In che senso?»

«Mi chiedevo se ha in mente di scrivere un libro, di pubblicare».

«Forse. Forse ho un’idea, appunti, niente di che. Credo mi manchi il coraggio».

«Per il coraggio si trova sempre rimedio, ma spero che non le manchi l’aiuto. Con una bambina, e gli studi… è molto complicato, soprattutto per una donna, ancora oggi. Io non avrei mai scritto se mio figlio non avesse avuto sempre, da che è venuto al mondo, una bambinaia, e se non avessi avuto l’apporto dei miei. Di mio padre, voglio dire».

«L’ha aiutata molto, da quel che mi ha raccontato».

«Ha fatto di più. Mi ha permesso, anche dopo essere diventata la mamma di Franzi, di restare una figlia. Lo sono stata fino alla sua morte, e dopo la mia vita è cambiata completamente… per come si sono messe le cose in Italia, ma anche perché lui non c’era più, non poteva più guidarmi. Credo che dopo il nostro ultimo appuntamento, Léna, la sua tenace ricerca tra le mie poesie per il desiderio di conoscere suo padre mi ha riportata al mio, e a certe giornate lontane. È strano pensare che oggi sono tanto più anziana di com’era lui quando se ne andò. Ma forse le dà noia questo argomento, mi taccio». Alba fa una pausa, Léna sta per dire qualcosa, poi «Comunque, se vuole, mi porti quello che ha scritto».

«No… voglio dire grazie, però aspetti, in realtà vorrei tanto sentirla parlare di suo padre».

«Ma… cosa dirle? Sa, mio figlio due anni fa è riuscito a far istituire una cattedra a suo nome alla Brown University. Se lo sapesse mia nonna, dopo tutto quel che soffrì da sola negli Stati Uniti… Io mi ricordo bene l’ultimo viaggio che feci verso di lui. Verso mio padre ancora vivo, intendo. Era il primo giorno di febbraio, come oggi».

(continua in libreria…)

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