Andrea Frediani, autore di romanzi storici di successo, torna in libreria con “L’ultimo soldato di Mussolini”, la storia di un soldato fascista che, dopo aver vissuto le violenze sanguinarie della guerra, apre infine gli occhi sull’orrore del regime. Su ilLibraio.it lo scrittore e divulga­tore storico racconta cosa ha significato mettersi nei panni di un Repubblichino durante la stesura del testo, e cosa significava allora scegliere di aderire alla RSI in un momento in cui le circostanze erano assai confuse…

La guerra civile che caratterizzò i 20 mesi tra l’8 settembre 1943 e il 25 aprile (e oltre) 1945 è un evento che divide ancora profondamente la società italiana. Io stesso, se devo dire la verità, mi sono accostato all’argomento con un certo grado di prevenzione, che poi ho stemperato nel corso dell’approfondimento dello studio dei testi e della stesura del mio nuovo romanzo.

Adesso noi disponiamo di una prospettiva storica, siamo meno coinvolti emotivamente e abbiamo tutti gli elementi per giudicare come un fallimento annunciato l’esperienza della Repubblica Sociale Italiana. Ma allora le circostanze erano assai più confuse. Chi aderì alla RSI poteva non essere necessariamente fascista fino al midollo.

Certo, poteva essere un ragazzino forgiato dalla martellante propaganda del Ventennio e privo di coscienza critica, permeato della retorica fascista che si riflette anche su un linguaggio pieno di ridondanze che talvolta fanno sorridere, ma anche un militare nauseato dal comportamento del re e di Badoglio, fuggiti con tutto lo stato maggiore dell’esercito senza lasciare ordini, condannando così centinaia di migliaia di soldati alla morte e alla deportazione; o un civile traumatizzato dai bombardamenti angloamericani, che si sarebbe alleato anche col diavolo, pur di vendicarsi della perdita di un familiare o della casa o di qualche amico durante un’incursione aerea.

E mettiamoci anche il terrore per la rivoluzione comunista, che da tempo permeava gran parte dell’Europa, inducendo molti – anche in seno alla Chiesa – a ritenere che solo fascismo e nazismo avrebbero potuto scongiurarla. L’insieme di tutti questi elementi poteva lecitamente spingere qualcuno tra le braccia della Repubblica Sociale con la convinzione di aver fatto la scelta più giusta, per sé stessi e soprattutto per la patria, per la salvezza dell’Italia. Non è un caso che entrambe le parti abbiano evocato ripetutamente la figura di Garibaldi, visto dagli uni come il simbolo dell’eroe repubblicano, dagli altri come il campione della libertà.

Nei giorni seguiti all’armistizio, col caos che ne derivò per la colpevole evanescenza dei vertici istituzionali, era oggettivamente difficile scegliere da che parte stare. E l’aspetto emotivo giocò la sua parte. Ci volle anche del tempo per capire che i tedeschi, fino a quel momento glorificati dalla propaganda di regime come una invincibile macchina da guerra e un alleato modello, non lasciavano alcun margine di autonomia al regime di Salò, creatura del nazismo utile per dare una parvenza di legittimità alla ferrea occupazione germanica. Va anche considerato che molti fascisti si sentivano in colpa per non aver agito all’indomani della destituzione e dell’arresto di Mussolini, il 25 luglio, ed erano convinti che il destino avesse dato loro una seconda occasione per dimostrare la loro devozione al duce.

Primo piano dello scrittore Andrea Frediani

Andrea Frediani (foto di Giliola Chistè)

Ci fu anche chi aderì alla RSI per una forma di ottusa coerenza, rifiutandosi di sparare contro chi da anni gli era stato indicato come alleato, e di allearsi con chi gli era stato indicato per anni come nemico. La favoletta delle armi segrete di Hitler, che avrebbero dovuto cambiare il corso della guerra, spinse molti a continuare ad avere fiducia nell’alleanza nazifascista, e anche quando ci si rese conto che era, per l’appunto, una pia illusione, molti scelsero di dimostrarsi coerenti e di non essere tipi da abbandonare una barca che affonda, accusando i tantissimi disertori dell’ultim’ora – che la propaganda chiamava “assenti arbitrari” – di opportunismo e codardia.

Fu spesso un malinteso senso dell’onore, insomma, alla base della scelta di rimanere con la RSI; per i fascisti, il “tradimento” del re e di Badoglio nei confronti dell’alleato si sommava a quello che i governanti avevano perpetrato ai danni di tutti gli italiani con la loro fuga. E poco importava che Hitler desse a intendere di voler proseguire una lotta senza speranza rischiando la distruzione totale perfino del proprio Paese; che i tedeschi saccheggiassero le risorse dell’Italia, massacrassero soldati e civili, trattassero Mussolini (e lui non faceva altro che lamentarsene) come un mero esecutore dei loro ordini: l’onore, quello stesso onore di cui i repubblichini si dimenticavano, evidentemente, quando collaboravano alle feroci rappresaglie naziste verso la popolazione civile, li spingeva a cercare la “bella morte” di cui parla Carlo Mazzantini nel suo romanzo autobiografico come membro della Legione Tagliamento…

Copertina del libro L'ultimo soldato di Mussolini

L’AUTORE E IL LIBRO – Andrea Frediani è nato a Roma nel 1963. Divulga­tore storico, ha collaborato con numerose riviste specializzate. Con Newton Com­pton ha pubblicato diversi saggi e romanzi storici di successo, tradotti in sette lingue, tra i quali Jerusalem, la trilo­gia Dictator (L’ombra di Cesare, Il ne­mico di Cesare e Il trionfo di Cesare, quest’ultimo vincitore del Premio Selezione Bancarella 2011), 300 guerrieri, Il co­spiratore, La guerra infinita, Il biblio­tecario di Auschwitz, I tre cavalieri di Roma e I lupi di Roma.

E veniamo al suo nuovo romanzo, L’ultimo soldato di Mussolini (Newton Compton), la storia di un soldato fascista che, dopo aver vissuto le violenze sanguinarie della guerra, apre infine gli occhi sull’orrore del regime. Il libro si apre con l’epico confronto tra le squadre di Italia e Germania, nella semifinale di Coppa del mondo del 1970, che spinge Flavia Savino, una donna intristita da frustranti rapporti familiari, a fare i conti con il passato del padre. Un passato che a lungo ha rifiutato di affrontare.

All’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, infatti, la vita di Ulisse Savino, un reduce della milizia fascista, è distrutta. Respinto dalla fidanzata, ignorato dalla stessa figlia, perseguitato dalla ex moglie, disorientato dalla caduta di Mussolini e del fascismo, e pieno di vergogna per il tradimento italiano nei confronti della Germania nazista, non vede altra via d’uscita che il suicidio. Ma la creazione della Repubblica di Salò fa rinascere in lui nuove speranze.

Unitosi con ritrovato entusiasmo alle file dei repubblichini della Legione d’assalto Tagliamento, non vede l’ora di poter affiancare i nazisti nella lotta contro gli Alleati. La realtà che lo attende però è ben diversa e lo porterà a scontrarsi contro i partigiani e la popolazione che li sostiene, e a confrontarsi con rastrellamenti, fucilazioni, violenze e soprusi di ogni sorta. Col progredire di questa guerra fratricida, le sue convinzioni cominciano a vacillare, e i suoi occhi prendono a guardare in modo diverso coloro che si battono per liberare l’Italia dal giogo del nazifascismo e della dominazione straniera…

Abbiamo parlato di...