“È da qualche anno che penso a come poter raccontare un passato molto vicino, che ancora non siamo forse pronti ad analizzare. I primi Duemila per la mia generazione sono stati gli anni della caduta e della disillusione. Per riprenderci ci abbiamo messo quasi vent’anni…”. Carlotta Vagnoli racconta a ilLibraio.it il suo primo romanzo, “Animali notturni”. Parla del suo rapporto “non buono” con Milano, la città in cui è ambientata la storia (“Se con noi millennials è stato cattiva, con la GenZ non sta avendo pietà”) e della sua generazione, quella post-G8 di Genova: “A differenza della mia, la Z non ha paura di protestare”. E ancora: “Con noi nessuno si è schierato, credo sia arrivato il momento di farlo verso di loro, per provare a offrirli un futuro migliore”. Quanto ai social, l’attivista e autrice sottolinea: “Sono mesi che ho un rapporto sempre meno stretto con il mezzo digitale. Mi risulta, per paradosso, claustrofobico. Con le sue continue richieste di coerenza estrema, do ut des, leggi non scritte, polarizzazioni, mi è diventato un pianeta straniero. Al tempo stesso…” – L’intervista

Alla fine degli anni Zero, Milano è il centro dell’universo: appena cala il sole, un’intera generazione si ritrova sottoterra a far festa fino all’alba. Musica indie o club con la selezione all’ingresso, sbronze e skinny jeans. Spesso, tanta cocaina.

Animali notturni (Einaudi) è il primo romanzo (generazionale) di Carlotta Vagnoli, e viene presentato come un libro “sintetico e acido, che è insieme denuncia e grido feroce”. Un libro duro e dallo stile cinematografico.

L’autrice ha già pubblicato libri come Maledetta sfortuna. Vedere, riconoscere e rifiutare la violenza di genere (Fabbri, 2021) e il più recente Memoria delle mie puttane allegre (Marsilio, 2022), oltre al saggio breve Poverine – Come non si racconta il femminicidio per la collana digitale Quanti di Einaudi. Nel suo debutto narrativo punta a realizzare un ritratto senza pietà di una generazione, quella post-G8 di Genova, quella dei millennials.

Se hai vent’anni negli anni Zero, infatti, le possibilità sono poche. Il mito del lavoro in giacca e cravatta, con mutuo e aspirazioni borghesi, è pura utopia.

Da qui l’obiettivo, ben più tangibile, di partecipare a un party quasi infinito, perché se tutti quanti lo desiderano nello stesso istante, magari il giorno dopo il sole su Milano non sorgerà… Ma quando le persone cominciano a buttarsi dai palazzi, e quando la presenza di un predatore sessuale genera un clima di psicosi, gli animali notturni capiscono che il loro territorio è sotto attacco

Nel romanzo “pulp” di Vagnoli l’impero della notte è caotico e disperato, e proprio per questo non può durare. Quando G si getta dal sesto piano, è come se si portasse dietro tutto quanto. Come se, dopo una lunga caduta, per gli animali notturni fosse arrivato il momento dell’atterraggio…

Animali notturni di Carlotta Vagnoli

 

Carlotta Vagnoli, da quanto aveva in mente questa storia, questo ritratto notturno di una certa Milano, tra feste, droga e disperazione?
“È da qualche anno che penso a come poter raccontare un passato molto vicino, che ancora non siamo forse pronti ad analizzare. I primi Duemila per la mia generazione sono stati gli anni della caduta e della disillusione. Per riprenderci ci abbiamo messo quasi vent’anni. Milano, la città che ho abitato per un decennio, era un’ambientazione perfetta per questa storia: cupa e piena di neon, con locali sotterranei e feste fino all’alba, il circuito intramontabile dei locali notturni che hanno capito come capitalizzare su una fetta ben precisa di clientela, il vuoto istituzionale e lavorativo riempito dalla droga. Ma Milano non era poi molto diversa da altre città in cui accadeva la stessa disfatta, nel medesimo periodo: Londra, Berlino, New York, perfino Roma per certi aspetti si sono popolate di storie e vicissitudini molto simili tra loro. Quando ho deciso di mettermi a scrivere, volevo partire dalla storia di G, che cade da un palazzo: di storie come la sua ne conosco ahimè molte. In modo naturale mi sono poi mossa tra spazi, dinamiche, ansie – ed eccessi – che avevo visto e conoscevo bene. Sono stati due anni di tira e molla con questa storia: l’amavo e la odiavo, mi divorava. Vomitarla fuori è stato quasi terapeutico”.

Qual è oggi il suo rapporto con il capoluogo lombardo, una città inevitabilmente contraddittoria e discussa, in particolare negli ultimi anni, tra crisi economica, crisi immobiliare e nuove forme di schiavitù, anche legate al mondo digitale?
“Non ho più un buon rapporto con Milano, che per me è stata casa per molti anni. Anzi, quando devo andarci per lavoro cerco di tornare sempre in giornata. Non solo per i ricordi alienanti che ho legati a quel luogo, ma anche per la situazione che vedo a oggi peggiorare sempre più. Se con noi millennial quel luogo è stato cattivo, con la GenZ non sta avendo pietà”.

In che modo?
“Le proteste per gli affitti ne sono un esempio, idem la possibilità di vivere una città sicura, accogliente, davvero contemporanea, che conosca il valore di integrazione e valorizzazione dei propri giovani. Non è così, e vederlo mi è straziante. Una città boutique piegata a dei turni spesso inumani, che sputa sempre più verso l’esterno chi non fattura a dovere o regge il ritmo: da Expo 2015 a oggi le cose sono solo che andate a peggiorare”.

Scopri il nostro canale Telegram

Seguici su Telegram
Le news del libro sul tuo smartphone

Ogni giorno dalla redazione de ilLibraio.it notizie, interviste, storie, approfondimenti e interventi d’autore per rimanere sempre aggiornati

Inizia a seguirci ora su Telegram Inizia a seguirci ora

Scrivere questo romanzo l’ha “costretta” a riflettere sulla sua generazione, quella dei millennials, quella post-G8 di Genova? Le ha fatto cambiare idea su qualche aspetto?
“Ho iniziato a pensare alla mia generazione invisibile durante il lockdown. Qualcosa stava cambiando: molte persone a me coetanee si stavano attivando di nuovo, con rinnovato interesse verso le questioni sociali, politiche, civili e culturali. Sono nati movimenti e voci libere dopo vent’anni dal G8 di Genova. E ho compreso che ci abbiamo messo tutto questo tempo per rialzare la nostra voce. E se lo abbiamo fatto è stato grazie alla nuova generazione, la Z, che non solo sta vivendo esattamente ciò che è toccato a noi, ma che non ha paura di protestare. Credo sia scattato per molti di noi un bisogno di interrompere la catena”.

Cioè?
“Con noi nessuno si è schierato, credo sia arrivato il momento di farlo verso di loro, per provare a offrirli un futuro migliore. In questi anni ho compreso molte cose su di ‘noi’, in primis quanto sia stato difficile fare i conti con un mondo che non ci ha mai lasciato spazio e che ci tratta ancora da bambocci, nonostante abbiamo ormai 40 anni”.

Su Instagram lei ha parlato di una storia “pulp”. Per il suo primo romanzo aveva in mente dei modelli letterari, dei libri, delle autrici o degli autori da cui, anche in modo indiretto, ha tratto delle ispirazioni per Animali notturni?
“Non ho avuto modelli, ma ho tenuto molto a mente le parole di Bret Easton Ellis sull’importanza dell’architettura narrativa: volevo quindi provare a trovare strutture nuove, non usuali, o quantomeno funzionali alla mia storia, che potessero agevolare il senso di caduta nel lettore. Perciò ho scelto questa forma ‘a imbuto’, dove le storie dei tre personaggi, narrate con voci e tempi diversi, precipitano sul finale, ricongiungendosi. Mi piaceva l’idea di una cinepresa immaginaria che seguisse velocemente la ragazza dai capelli rossi (Schultz, devo il suo nome ai tuoi Peanuts), Michele detto Mick, come Jagger, e Mon Chéri (tre personaggi con nickname, nomi fittizi, di cui non sappiamo mai le generalità). Certo, ogni tanto ho pensato fortemente ‘come lo avrebbe descritto questo Chuck Palahniuk?’. Ma. come ben sapete, tra il dire e il fare c’è di mezzo il talento (suo)…”.

Scopri la nostra pagina Linkedin

Seguici su Telegram
Scopri la nostra pagina LinkedIn

Notizie, approfondimenti, retroscena e anteprime sul mondo dell’editoria e della lettura: ogni giorno con ilLibraio.it

Seguici su LinkedIn Seguici su LinkedIn

Un’ultima curiosità: negli ultimi tempi è cambiato il suo approccio ai social? Oggi crede sia possibile un utilizzo costruttivo di questi strumenti?
“Sono mesi – direi un annetto – che ho un rapporto sempre meno stretto con il mezzo digitale. Mi risulta, per paradosso, claustrofobico. Con le sue continue richieste di coerenza estrema, do ut des, leggi non scritte, polarizzazioni, mi è diventato un pianeta straniero, dove approdo quando ho bisogno di scrivere qualcosa di sensato. Ho anche deciso di cancellare del tutto l’aspetto personale dal mio profilo Instagram, che era già scarso, perché mi disturba l’idea di una folla senza volto che si fa i cavoli miei, della mia famiglia, dei miei amici o colleghi di lavoro. Lo trovo abbrutente e quando sono vittima di shitstorm purtroppo sono i miei congiunti a farne le spese, contattati da profili che li insultano o augurano la morte, rei di essermi vicini. Ma in questi mesi, in cui la situazione in Palestina sta di nuovo precipitando e lo sterminio da parte di Israele sta raggiungendo dimensioni genocidiarie, i social stanno facendo da mezzo di comunicazione e controinformazione preziosissimo. Se fino a qualche anno fa i crimini di guerra potevano passare inosservati, adesso abbiamo i telefoni. E molti coordinamenti passano proprio dai social. Ecco, quando penso a questa dimensione, trovo il digitale un bel luogo da abitare. Quasi come nel 2006”.

Scopri le nostre Newsletter

Iscrizione alla Newsletter
Il mondo della lettura a portata di mail

Notizie, approfondimenti e curiosità su libri, autori ed editori, selezionate dalla redazione de ilLibraio.it

scegli la tua newsletter Scegli la tua newsletter gratuita

Fotografia header: Carlotta Vagnoli, nella foto di Pietro Baroni

Libri consigliati