Su ilLibraio.it un capitolo da “Eccomi”, il nuovo romanzo di Jonathan Safran Foer, tra le novità editoriali più importanti dell’anno

Eccomi, il nuovo atteso romanzo di Jonathan Safran Foer in libreria per Guanda, del quale qui di seguito proponiamo un intenso capitolo, è senza dubbio uno dei libri più importanti pubblicati nel 2016, e non solo per la grande attenzione che sta dedicando al libro la stampa internazionale.

Foer, che ha esordito a venticinque anni con Ogni cosa è illuminata (2002), e che ha poi pubblicato Molto forte, incredibilmente vicino (2005), per poi scrivere il saggio-reportage Se niente importa. Perché mangiamo gli animali? (2010), torna dopo anni (qui quello che c’è da sapere sui suoi incontri in Italia, ndr) con un potente romanzo di oltre 600 pagine,  un’ambiziosa storia famigliare, un’opera che ha una portata universale, ma allo stesso tempo indaga i risvolti più intimi e significativi della vita quotidiana di una famiglia americana.

Su ilLibraio.it un capitolo:

Julia rimase incinta di Sam un anno dopo. Poi di Max. Poi di Benjy. Cambiò il suo corpo, ma non il desiderio di Jacob. Fu il volume delle cose che si tenevano dentro a cambiare. Continuarono a fare sesso, ma quello che era sempre venuto spontaneo arrivò ad avere bisogno di uno stimolo (sbronzarsi, guardare La vita di Adele sul portatile di Jacob a letto, San Valentino) o di uno sforzo per vincere il disagio e l’ipotetico imbarazzo, il che di solito portava a orgasmi potenti e niente baci. Capitava ancora che si dicessero cose che, un attimo dopo essere venuti, suonavano così umilianti da indurre il bisogno di sparire fisicamente andandosi a prendere un bicchiere d’acqua non desiderato. Tutti e due si masturbavano ancora pensando all’altro, anche se quelle fantasie non avevano alcuna parentela con la vita vissuta e spesso coinvolgevano qualche altro altro. Ma persino il ricordo di quella notte in Pennsylvania dovevano tenerlo dentro, perché segnava una tacca sullo stipite della porta: Guarda come siamo cambiati.

C’erano cose che Jacob voleva e che voleva da Julia. Ma la possibilità di condividere i desideri diminuiva mentre il bisogno di Julia di sentirseli dire aumentava. E viceversa. Amavano sinceramente la compagnia reciproca, più che stare soli o in compagnia di chiunque altro, ma più stavano bene insieme, più vita condividevano, più si estraniavano dalle rispettive vite interiori.

All’inizio era tutto un consumarsi a vicenda o consumare il mondo insieme. Tutti i bambini vogliono vedere le tacche salire sullo stipite della porta, ma quante coppie sono in grado di considerare un progresso il semplice rimanere uguali? Quanti sono capaci di guadagnare di più senza fantasticare su quello che potrebbero comprarsi? Quanti, quando si avvicina la fine degli anni di fertilità, possono dire di avere il giusto numero di figli?

Jacob e Julia non erano mai stati di quelli che si oppongono per principio alle convenzioni, ma non si erano neppure mai immaginati di diventare così convenzionali: avevano preso una seconda macchina (e l’assicurazione sulla seconda macchina); si erano iscritti in una palestra con un’offerta di corsi di venti pagine; avevano smesso di fare la dichiarazione dei redditi congiunta; ogni tanto avevano mandato indietro una bottiglia di vino; avevano comprato una casa con i doppi lavandini (e l’assicurazione sulla casa); avevano raddoppiato saponi e dentifrici; si erano fatti costruire uno steccato di tek per i bidoni della spazzatura; avevano sostituito la cucina con una più bella; avevano fatto un figlio (e avevano fatto l’assicurazione sulla vita); avevano ordinato vitamine dalla California e materassi dalla Svezia; avevano comprato vestitini bio il cui prezzo, diviso per il numero di volte in cui erano stati indossati, in pratica rendeva necessario fare un altro figlio per ammortizzarli. Avevano fatto un altro figlio. Avevano valutato se un tappeto avrebbe conservato il suo valore, imparato qual era il meglio di tutto (aspirapolvere Miele, frullatore Vitamix, coltelli Misono, vernice Farrow and Ball), consumato quantità freudiane di sushi e lavorato di più per potersi permettere i migliori baby-sitter a cui affidare i loro figli mentre lavoravano. Avevano fatto un altro figlio.

Le loro vite interiori erano schiacciate da tutto quel vivere: non solo per il tempo e l’energia richiesti da una famiglia di cinque persone, ma per i muscoli che erano costretti a potenziarsi e quelli costretti ad atrofizzarsi. L’incrollabile padronanza di sé che Julia dimostrava con i figli era cresciuta fino a sembrare onnipazienza, mentre la sua capacità di esprimere pulsioni con suo marito si era ridotta agli sms con la poesia del giorno. L’abilità con cui Jacob toglieva il reggiseno a Julia senza mani era stata rimpiazzata dalla straordinaria e deprimente abilità nel montare il box dei bambini mentre lo portava su per le scale. Julia sapeva tagliare le unghie di un neonato con i denti e allattare mentre preparava le lasagne e togliere schegge senza pinzette né dolore e farsi implorare dai bambini perché li pettinasse con il pettine contro i pidocchi e imporre il sonno con un massaggio del terzo occhio, ma aveva dimenticato come toccare suo marito. Jacob insegnava ai bambini la differenza tra altro e altrui, ma non sapeva più come parlare a sua moglie.

Alimentarono le loro vite interiori in privato. Julia progettava case per se stessa; Jacob lavorava alla sua bibbia e si era comprato un secondo telefono, e tra loro si era innescato un ciclo distruttivo: con l’incapacità di Julia di esprimere pulsioni, Jacob era diventato sempre meno sicuro di essere desiderato e sempre più timoroso di rischiare il ridicolo, e così la distanza tra la mano di Julia e il corpo di Jacob era ulteriormente aumentata, senza che Jacob avesse parole per definirla. Il desiderio era diventato una minaccia – un nemico – nella loro vita domestica.

(continua in libreria…)

nota: Jonathan Safran Foer, foto ©Heike STEINWEG/Opale/Leemage

Fotografia header: Jonathan Safran Foer - foto ©Heike STEINWEG/Opale/Leemage

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