Il nuovo numero di “The Passenger” è dedicato a quella che viene spesso descritta come “la città più felice del mondo”: Copenaghen. Qualità della vita e attenzione all’ambiente sono al centro di un grande rinnovamento urbano che, a partire dagli anni Novanta, ha trasformato la capitale danese in un modello invidiato in tutta Europa e laboratorio di radicale sperimentazione urbanistica che le è valso il titolo Unesco di Capitale mondiale dell’architettura. Ma non mancano gli aspetti critici (tra questi, un mercato immobiliare sempre più inaccessibile). Su ilLibraio.it un estratto dal reportage di Maya Tekeli sulla “città libera” di Christiania
Il nuovo numero di The Passenger, serie di libri-rivista proposti da Iperborea, è dedicato a quella che viene spesso descritta come “la città più felice del mondo”: Copenaghen.
Qualità della vita e attenzione all’ambiente sono al centro di un grande rinnovamento urbano che, a partire dagli anni Novanta, ha trasformato la capitale danese in un modello invidiato in tutta Europa e in un laboratorio di radicale sperimentazione urbanistica che le è valso il titolo Unesco di Capitale mondiale dell’architettura.
Nel nuovo numero di The Passenger, lo scrittore e ambientalista islandese Andri Snær Magnason risolve il dilemma di molti genitori in vacanza con figli di età e interessi diversi, pianificando un tour fai-da-te delle opere di Bjarke Ingels, il migliore rappresentante di un’architettura che vuole “dare forma al futuro”, svelando una città a misura di bambini, con piste ciclabili sopraelevate, parchi giochi sui tetti di parcheggi multipiano e trampolini per fare i tuffi nelle acque ripulite e balneabili del porto.
È anche una città a misura di genitori, come scopre la scrittrice e neomamma Sara Rahmeh, cresciuta in una famiglia immigrata e meravigliata dalle file di passeggini incustoditi fuori dai locali, con dentro ignari bebè che dormono tranquilli.
La zona di Vesterbro simboleggia meglio di altre i cambiamenti che la città ha attraversato: un tempo quartiere a luci rosse, oggi è il fiore all’occhiello di una gentrificazione studiata a tavolino, anche se per chi ci ha sempre vissuto, come la scrittrice originaria delle Faroe Siri Ranva Hjelm Jacobsen, i segni del passato rimangono visibili almeno quanto quelli più cospicui del rinnovamento, come i ristoranti stellati della Nuova cucina nordica e gli innumerevoli wine bar.
È l’esperta di enogastronomia Lisa Abend a raccontare come una città nota per la birra e l’acquavite è diventata una capitale mondiale dei vini naturali, mentre il giornalista Morten Beiter fa da contraltare, offrendo l’esilarante punto di vista degli abitanti dello Jutland, la provincia profonda, increduli che i loro compatrioti della capitale siano disposti a pagare “mille corone” per un caffè.
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Un altro quartiere in cui si trovano ben più che sole tracce della storia recente è la “città libera” di Christiania, un baluardo di individualità e resistenza nella marcia incessante della modernità. È lì che la giornalista Maya Tekeli si è trasferita, con l’ambizioso progetto di restaurare una casa in un’ex fabbrica di razzi, e dove scopre i valori dell’autogestione, della partecipazione democratica e del fai-da-te – alcune delle qualità che, non a caso, fin dagli anni Settanta distinguono la scena artistica cittadina, caratterizzata da collettivi e collaborazioni, come spiega l’artista e regista Joachim Hamou, che di quel mondo fa parte da decenni, e che ne lamenta la progressiva istituzionalizzazione e incapacità di reagire alle trasformazioni di una società sempre meno omogenea.
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La giornalista Kathrine Tschemerinsky, editor della Cultura del quotidiano Weekendavisen, cerca una casa in affitto in modo più tradizionale, tra le promesse e le delusioni di un mercato immobiliare sempre più inaccessibile. Costruire più case è l’imperativo per evitare la crisi abitativa che investe altre capitali europee: nel mirino del comune e degli immobiliaristi ci sono sia i quartieri identificati come “ghetti”, dove nuove abitazioni private prendono il posto dell’edilizia popolare con lo scopo di forzare l’integrazione delle minoranze, sia gli spazi considerati vuoti, come il grande parco di Amager Fælled, al centro della riflessione sul valore delle terre comuni di Emma Holten, autore di un bestseller sul lavoro femminile non retribuito che arriverà presto in Italia.
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Per non parlare di un altro spazio “vuoto”: il mare di fronte al porto, dove sorgerà Lynetteholmen, un enorme nuovo quartiere costruito su un’isola artificiale. Un reportage del giornalista tedesco Alex Rühle illustra i compromessi ambientali del più grande progetto edilizio della storia danese che, bloccando il flusso delle acque nello stretto dell’Øresund, rischia di cambiare per sempre la salinità del Mar Baltico, provocando un disastro ecologico.
Il volume, illustrato interamente da fotografie di Charlotte de la Fuente, si chiude con i consueti consigli per approfondimenti affidati alla scrittrice Janne Teller e con una playlist della musicista e artista Sonja LaBianca.
Su ilLibraio.it, per gentile concessione della casa editrice, proponiamo un estratto dal reportage di Maya Tekeli sulla “città libera” di Christiania:
di Maya Tekeli
(…) All’inizio del 2023 ho abbandonato la zona nord di Copenaghen, e la società. Qualcuno direbbe che faceva parte di una crisi di identità più ampia che si esprimeva anche nel fatto di aver lasciato un impiego stabile come giornalista d’inchiesta per una rispettata agenzia di stampa, essermi presa un cane ed essere tornata a pettinarmi con la frangia. Io sostengo che avevo solo bisogno di cambiare aria.
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Il mio appartamento – che ero riuscita ad affittare nonostante la sempre più acuta crisi abitativa – mi annoiava, perché si trovava, come tutti gli altri, in un quartiere di recente costruzione nella parte nord di Copenaghen, dove tra parentesi sono cresciuta. Le pareti erano bianche, le stanze quadrate, il balcone assomigliava alle altre cinquanta scatole montate le une sulle altre in quel comprensorio sorto su una vecchia fabbrica di imballaggi metallici, demolita diversi anni prima. Un paio di volte mi era capitato di infilarmi in casa del vicino, perché non vedevo alcuna differenza tra il suo ingresso e il mio, e una sera, quando è successo di nuovo, ho deciso di accettare l’offerta di trasferirmi in una comune nell’ultima zona franca di Copenaghen. È stato difficile spiegare ai miei amici che proprio io, una giornalista relativamente critica, volessi lasciare il mio spazioso appartamento per un quartiere noto, tra chi non ci abita, per essere la mecca della microcriminalità. Per essere lasciata un po’ in pace, ho cercato di incuriosirli con la sua storia peculiare.
Pochissimi, per esempio, descriverebbero Christiania – così si chiama quel piccolo quartiere nel centro della capitale – come una caserma, anche se in realtà lo era, prima che un gruppo di giovani alternativi, nel settembre del 1971, sfondasse la recinzione che lo circondava, dando il via a quella che oggi è considerata una zona franca per gli hippie – e per qualche piccolo delinquente – nel bel mezzo di Christianshavn. (…)

Copenaghen, Christiania – foto di Charlotte de la Fuente
Tra le sue casette colorate e sbilenche si trovava la caserma di Bådsmandsstræde, nota anche come caserma di Prinsessegade, che a partire dal 1836 occupava un’area di 34 ettari delimitata da una fortificazione chiamata Nyværk. La caserma ospitava l’Artiglieria reale, la Scuola reclute dell’Arma dei materiali, l’Arsenale delle munizioni e, per un breve periodo, la compagnia della Guardia reale. Nel 1968 cessò di essere utilizzata e, a poco a poco, vi si trasferirono senzatetto, studenti e giovani che avevano rotto con la famiglia e la società. In parte perché non avevano un altro posto dove abitare, ma in parte anche sull’onda delle proteste giovanili degli anni Sessanta, che si opponevano a una filosofia del progresso puramente materiale. Alcuni dei nuovi abitanti appartenevano dunque a formazioni politiche che ambivano a fondare una società alternativa, dando vita a quello che si potrebbe descrivere come un esperimento sociale. (…)

Copenaghen, Christiania – foto di Charlotte de la Fuente
Portare le proprie idee a spasso nel mondo
In quanto padrona di un cane, ho cominciato fin da subito a perlustrare Christiania in lungo e in largo, e nel giro di poche settimane mi sono sentita accolta e accettata. Cosa altrettanto importante, però, è che le mie passeggiate quotidiane nel quartiere mi hanno regalato delle storie che da visitatrice mi erano sempre sfuggite.
Sapevo da prima che Christiania si era sviluppata come una comunità di pionieri, con l’obiettivo utopico di darsi una forma di governo democratico basato sul consenso, e avevo avuto modo di leggere che da tempo i residenti prendevano ogni decisione collettivamente, tenendo conto del bene comune, nel corso di assemblee generali. Diversamente dalla democrazia tradizionale, in cui spesso le decisioni vengono prese attraverso il voto, la democrazia del consenso cerca di includere tutte le prospettive e di trovare una soluzione che chiunque possa accettare, anche se non è quella preferita da tutti, e nonostante non si tratti del modo più veloce di raggiungere un’intesa. D’altro canto, c’è senz’altro un particolare senso di giustizia nella possibilità, da parte del singolo, di bloccare il processo decisionale facendo opposizione sufficientemente a lungo. (…)
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Due tratti comuni all’intero quartiere sono la radicata, e piuttosto evidente, cultura del fai-da-te e l’attenzione pratica, perlomeno all’inizio, al riuso edilizio, che col tempo è diventato uno dei fondamenti della peculiare cultura di Christiania. Siccome numerosi edifici del quartiere sono vincolati, i residenti sono tenuti a restaurarli e a preservarne la storia, aggiungendoci la loro vita e la loro esperienza. Oltre a diminuire il rischio di scambiare il proprio ingresso con quello di un altro, questo fa sì che esplorare Christiania significhi fare un viaggio nella storia della Danimarca. L’occhio attento scorgerà un granaio degli anni Trenta nell’edificio che adesso ospita il teatro Operaen, un bastione nella sala da concerti Den grå hal, il magazzino d’artiglieria dell’esercito nel Multihuset, che oggi è un condominio. Fare una passeggiata lungo i fossati di Dyssen, che circondano il quartiere, consente di ripercorrere gran parte delle vicende militari danesi.

Copenaghen, Christiania – foto di Charlotte de la Fuente
Trovare una casa
Mi sono innamorata di una scala a chiocciola gialla, in metallo, in un appartamento a due piani in completo sfacelo, oltre il portale rosso che conduce all’isolato noto come Mælkebøtten («dente di leone»). Nell’abitazione, all’ingresso di quella che un tempo era una polveriera e una fabbrica di munizioni, non c’era nulla a parte la scala, un bagno devastato senza porta e un enorme squarcio in entrambe le pareti del piano di sopra. Ho notato subito che la scala non era originale, ma che era stata recuperata da una nave i cui ponti avevano la stessa altezza dell’appartamento. Si attorcigliava gialla, storta e non proprio bellissima nel mezzo della stanza che, nonostante fosse estate, era fredda per via dei muri in mattoni grezzi che ci proteggevano dal sole. La luce entrava da due finestre, belle ma in pessime condizioni.
«C’è parecchio da fare» ha detto Denice. Abitava nell’appartamento sull’altro lato dell’androne, e le volte in cui l’avevo incontrata al Grønne genbrugshal – il centro del riciclaggio verde, dove si possono vendere e comprare materiali di recupero, e dove lei lavora – mi aveva sempre rivolto un sorriso caloroso.
«Sì» ho detto io, ipnotizzata dalla scala al centro della stanza. Ho scattato una foto della scala e della gigantesca falla nel soffitto spiovente che lasciava intravedere il tetto. Nell’annuncio, pubblicato sul nostro settimanale Ugespejlet, avevo letto che il tetto perdeva e andava rifatto con urgenza, e che sarebbe stato un lavoro non da poco. Non mi importava.
«Non te lo immagini già che corre su e giù per la scala?» ho detto a Tanja, riferendomi al mio cane (…)
(traduzione di Andrea Berardini)
(continua in libreria…)
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